Figura di spicco nella curia romana, protettore degli interessi dei re di Francia e dei duchi di Ferrara, il cardinale Ippolito II d’Este fu costretto dai suoi molteplici incarichi diplomatici a continui spostamenti fra Roma, Ferrara e Fontainebleau; qui edificò residenze principesche e mantenne diversi rami della sua corte, organizzata dunque come uno spazio policentrico e fortemente dinamico. La storia della cappella musicale di Ippolito offre un punto di vista privilegiato sulla peculiare conformazione della corte del cardinale. La cappella era un organismo mobile, fluido, diviso in tanti tronconi paralleli quante erano le sedi dell’attività diplomatica di Ippolito. Ad ogni suo viaggio, l’Este selezionava i cantori che meglio lo avrebbero potuto rappresentare agli occhi dei potenti del luogo; di volta in volta, egli rimodulava l’assetto delle sue varie “cappelle parallele”, assumendo o trasferendo i musici che potessero più facilmente incontrare il gusto dei suoi interlocutori politici. Così facendo, Ippolito si pose quale vero e proprio “mediatore culturale” del suo tempo, facilitando il movimento e lo scambio di interpreti e repertori musicali fra Francia e Italia. Avvalendomi di alcuni modelli teorici elaborati nell’ambito dei “mobility studies” (Urry 2007; Greenblatt 2010), nel mio contributo discuto la configurazione spaziale e la mobilità interna che caratterizzarono la cappella musicale di Ippolito. Ciò mi permette, in senso più ampio, di apprezzare il dinamismo che contraddistinse le corti di prìncipi e diplomatici rinascimentali che, come Ippolito, viaggiarono continuamente da un luogo all’altro per espletare le loro funzioni di mediatori politici. In altri termini, il mio contributo mira a mettere in discussione l’idea che le corti italiane del Rinascimento fossero organismi fortemente centralizzati e per lo più radicati in una capitale (gli Este a Ferrara; i Gonzaga a Mantova, e via dicendo): la compattezza di tale modello spaziale, che può forse rivelarsi produttivo nel caso delle corti di Duchi e Monarchi (cfr. ad esempio Papagno-Quondam 1982), non restituisce il policentrismo e la fluidità di molte “corti particolari o minori” rette “da altri principi e principesse di sangue, (…) cardinali inclusi” (Guerzoni 2006).
Mobilità, corte e spazio nella storia della cappella musicale di Ippolito II d’Este / Danieli, Giuliano. - (2023), pp. 31-40.
Mobilità, corte e spazio nella storia della cappella musicale di Ippolito II d’Este
Giuliano Danieli
2023
Abstract
Figura di spicco nella curia romana, protettore degli interessi dei re di Francia e dei duchi di Ferrara, il cardinale Ippolito II d’Este fu costretto dai suoi molteplici incarichi diplomatici a continui spostamenti fra Roma, Ferrara e Fontainebleau; qui edificò residenze principesche e mantenne diversi rami della sua corte, organizzata dunque come uno spazio policentrico e fortemente dinamico. La storia della cappella musicale di Ippolito offre un punto di vista privilegiato sulla peculiare conformazione della corte del cardinale. La cappella era un organismo mobile, fluido, diviso in tanti tronconi paralleli quante erano le sedi dell’attività diplomatica di Ippolito. Ad ogni suo viaggio, l’Este selezionava i cantori che meglio lo avrebbero potuto rappresentare agli occhi dei potenti del luogo; di volta in volta, egli rimodulava l’assetto delle sue varie “cappelle parallele”, assumendo o trasferendo i musici che potessero più facilmente incontrare il gusto dei suoi interlocutori politici. Così facendo, Ippolito si pose quale vero e proprio “mediatore culturale” del suo tempo, facilitando il movimento e lo scambio di interpreti e repertori musicali fra Francia e Italia. Avvalendomi di alcuni modelli teorici elaborati nell’ambito dei “mobility studies” (Urry 2007; Greenblatt 2010), nel mio contributo discuto la configurazione spaziale e la mobilità interna che caratterizzarono la cappella musicale di Ippolito. Ciò mi permette, in senso più ampio, di apprezzare il dinamismo che contraddistinse le corti di prìncipi e diplomatici rinascimentali che, come Ippolito, viaggiarono continuamente da un luogo all’altro per espletare le loro funzioni di mediatori politici. In altri termini, il mio contributo mira a mettere in discussione l’idea che le corti italiane del Rinascimento fossero organismi fortemente centralizzati e per lo più radicati in una capitale (gli Este a Ferrara; i Gonzaga a Mantova, e via dicendo): la compattezza di tale modello spaziale, che può forse rivelarsi produttivo nel caso delle corti di Duchi e Monarchi (cfr. ad esempio Papagno-Quondam 1982), non restituisce il policentrismo e la fluidità di molte “corti particolari o minori” rette “da altri principi e principesse di sangue, (…) cardinali inclusi” (Guerzoni 2006).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.