L’arte del mondo classico, in particolare dal VI al IV secolo a.C., va considerata sotto l’aspetto di un alto artigianato, e l’intensità artistica del disegno su un vaso attico può uguagliare una metopa del Partenone, ha notato Ranuccio Bianchi Bandinelli. Eppure, nell’antichità i lavori di prim’ordine furono naturalmente riconosciuti come tali. Nel IV secolo a.C., Isocrate, all’inizio dell’Antidosis, lamenta come alcuni sofisti lo calunniassero sminuendone l’attività, ridotta alla confezione di discorsi per i tribunali, quando era invece capace di scrivere opuscoli filosofico-politici; sarebbe stato come apostrofare Fidia quale fabbricante di bambole o dire che Zeusi e Parrasio esercitavano la stessa techne dei pittori di tavolette votive. Il volume, con contributi perlopiù derivanti da un convegno tenutosi alla Sapienza, Università di Roma (15-16 giugno 2023), organizzato da Massimiliano Papini (affiancato nel comitato scientifico da Andrea Cucchiarelli e Giorgio Piras), intende affrontare da più punti di vista alcuni aspetti relativi ai più illustri artefici greci – pittori, scultori, incisori di gemme –, approfondendone la ricezione attraverso i secoli, in particolare a Roma, dove persino gli uomini più eminenti potevano restare come intontiti nella contemplazione di un quadro di Aezione o di una statua di Policleto (così Cicerone nei Paradoxa stoicorum). Il suo titolo è in parte ispirato a uno degli ultimi romanzi di Thomas Bernhard (Antichi Maestri. Commedia, 1985), nel quale un anziano musicologo di nome Reger ogni due giorni si siede nella Sala Bordone del Kunsthistorisches Museum di Vienna per guardare un quadro di Tintoretto e sostiene che gli storici dell’arte sono dei parolai perché «raccontano sull’arte una gran quantità di chiacchere finché non uccidono l’arte a forza di chiacchere…»; viceversa, è una vera gioia ascoltare il custode mentre illustra un quadro in qualità di modesto informatore perché «lascia l’opera d’arte aperta per colui che la sta osservando, che non gliela chiude a forza di chiacchere». Può essere vero, a volte. In fondo, ogni uomo, in virtù di un incosciente istinto, è capace di giudicare i pregi e i difetti anche di quadri e statue, benché la natura lo abbia dotato di pochi strumenti per una loro adeguata intellegentia (sempre Cicerone, nel terzo libro del De oratore); e certe opere dilettano gli occhi anche di chi non ne capisce un granché. Ma chiunque sia solo un poco umano non può, per esempio, ignorare Prassitele a causa della sua maestria, come dice M. Terenzio Varrone nel primo libro delle Antiquitates rerum humanarum. Perché rientra nella buona cultura e nell’educazione, in breve nella humanitas, conoscere anche i sommi artefici.
Antichi maestri in Grecia e a Roma / Papini, Massimiliano. - In: THIASOS. - ISSN 2279-7297. - (2024), pp. 1-245.
Antichi maestri in Grecia e a Roma
Massimiliano Papini
2024
Abstract
L’arte del mondo classico, in particolare dal VI al IV secolo a.C., va considerata sotto l’aspetto di un alto artigianato, e l’intensità artistica del disegno su un vaso attico può uguagliare una metopa del Partenone, ha notato Ranuccio Bianchi Bandinelli. Eppure, nell’antichità i lavori di prim’ordine furono naturalmente riconosciuti come tali. Nel IV secolo a.C., Isocrate, all’inizio dell’Antidosis, lamenta come alcuni sofisti lo calunniassero sminuendone l’attività, ridotta alla confezione di discorsi per i tribunali, quando era invece capace di scrivere opuscoli filosofico-politici; sarebbe stato come apostrofare Fidia quale fabbricante di bambole o dire che Zeusi e Parrasio esercitavano la stessa techne dei pittori di tavolette votive. Il volume, con contributi perlopiù derivanti da un convegno tenutosi alla Sapienza, Università di Roma (15-16 giugno 2023), organizzato da Massimiliano Papini (affiancato nel comitato scientifico da Andrea Cucchiarelli e Giorgio Piras), intende affrontare da più punti di vista alcuni aspetti relativi ai più illustri artefici greci – pittori, scultori, incisori di gemme –, approfondendone la ricezione attraverso i secoli, in particolare a Roma, dove persino gli uomini più eminenti potevano restare come intontiti nella contemplazione di un quadro di Aezione o di una statua di Policleto (così Cicerone nei Paradoxa stoicorum). Il suo titolo è in parte ispirato a uno degli ultimi romanzi di Thomas Bernhard (Antichi Maestri. Commedia, 1985), nel quale un anziano musicologo di nome Reger ogni due giorni si siede nella Sala Bordone del Kunsthistorisches Museum di Vienna per guardare un quadro di Tintoretto e sostiene che gli storici dell’arte sono dei parolai perché «raccontano sull’arte una gran quantità di chiacchere finché non uccidono l’arte a forza di chiacchere…»; viceversa, è una vera gioia ascoltare il custode mentre illustra un quadro in qualità di modesto informatore perché «lascia l’opera d’arte aperta per colui che la sta osservando, che non gliela chiude a forza di chiacchere». Può essere vero, a volte. In fondo, ogni uomo, in virtù di un incosciente istinto, è capace di giudicare i pregi e i difetti anche di quadri e statue, benché la natura lo abbia dotato di pochi strumenti per una loro adeguata intellegentia (sempre Cicerone, nel terzo libro del De oratore); e certe opere dilettano gli occhi anche di chi non ne capisce un granché. Ma chiunque sia solo un poco umano non può, per esempio, ignorare Prassitele a causa della sua maestria, come dice M. Terenzio Varrone nel primo libro delle Antiquitates rerum humanarum. Perché rientra nella buona cultura e nell’educazione, in breve nella humanitas, conoscere anche i sommi artefici.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.