Agli inizi del Novecento, in piena Restaurazione Meiji (1868-1912), il Giappone inizia a richiamare l’attenzione di alcuni architetti occidentali, la cui peculiare sensibilità spinge a guardare al di là della fascinazione mediterranea. Sebbene quest’ultima sia solo all’inizio del suo “successo” nell’ambito del moderno (si pensi a Le Corbusier piuttosto che a Kahn, Rudofsky, Sert, etc), le possibilità offerte da un contesto “vergine” - lontano dalla visione eurocentrica e coloniale che, in quegli anni, ancora estende la propria influenza su gran parte del mondo -, cominciano ad attrarre numerosi architetti e viaggiatori. Sulla scia di Frank Lloyd Wright, anche Bruno Taut, Georg de Lalande, Jan Letzel, Antonin Raymond e, qualche anno più tardi, Walter Gropius e Carlo Scarpa intraprendono l’ideale grand tour del Giappone, così come sarà codificato da Taut in un disegno del 1935 raffigurante il processo di evoluzione formale dell’architettura del Sol Levante. Pur consci delle naturali differenze storiche, estetiche e circostanziali che sussistono tra i due mondi, la Villa di Katsura e il tempio di Ise diventano gli equivalenti nipponici, rispettivamente, della Villa di Adriano a Tivoli e del Partenone ad Atene, tappe imprescindibili per comprendere l’estetica di una cultura lontana da qualsiasi affinità culturale. Il Giappone non è infatti solo architettura, quanto, e soprattutto, unità inscindibile di natura e artificio, paesaggio naturale e costruito, tangibile e intangibile. Questa caratteristica, che affascina la maggior parte di questi architetti-viaggiatori (Taut, Letzel, Scarpa), è considerata come una inedita via per la modernità, da contrapporre a quella macchinista di matrice occidentale. Lo scarpiano “Lì dove l’occhio pensa” (con cui l’architetto italiano descrive la Villa Imperiale di Katsura) versus il dominio della lecorbuseriana “machine à habiter”. Le letture e le interpretazioni degli architetti-viaggiatori in Giappone riusciranno a influenzare il Movimento Moderno in Occidente (una volta concluso il viaggio) ma, allo stesso tempo, condizioneranno profondamente alcuni caratteri dell’architettura moderna del Sol Levante, come testimoniano i fondamentali volumi “Ise: Prototype of Japanese Architecture” (di Tange e Kawazoe) e “Katsura. Tradition and creation in Japanese architecture” (di Tange, Gropius e Ishimoto). Il contributo analizza itinerari, protagonisti e influenze del Grand Tour nella terra di Yamato, sottolineando quei tratti distintivi che hanno influenzato – e continuano a influenzare – la visione del rapporto tra natura, paesaggio e architettura del Giappone.

Ad Oriente: il Grand Tour nella terra di Yamato / Ciotoli, Pina; Falsetti, Marco. - (2024), pp. 107-117.

Ad Oriente: il Grand Tour nella terra di Yamato

Ciotoli, Pina;
2024

Abstract

Agli inizi del Novecento, in piena Restaurazione Meiji (1868-1912), il Giappone inizia a richiamare l’attenzione di alcuni architetti occidentali, la cui peculiare sensibilità spinge a guardare al di là della fascinazione mediterranea. Sebbene quest’ultima sia solo all’inizio del suo “successo” nell’ambito del moderno (si pensi a Le Corbusier piuttosto che a Kahn, Rudofsky, Sert, etc), le possibilità offerte da un contesto “vergine” - lontano dalla visione eurocentrica e coloniale che, in quegli anni, ancora estende la propria influenza su gran parte del mondo -, cominciano ad attrarre numerosi architetti e viaggiatori. Sulla scia di Frank Lloyd Wright, anche Bruno Taut, Georg de Lalande, Jan Letzel, Antonin Raymond e, qualche anno più tardi, Walter Gropius e Carlo Scarpa intraprendono l’ideale grand tour del Giappone, così come sarà codificato da Taut in un disegno del 1935 raffigurante il processo di evoluzione formale dell’architettura del Sol Levante. Pur consci delle naturali differenze storiche, estetiche e circostanziali che sussistono tra i due mondi, la Villa di Katsura e il tempio di Ise diventano gli equivalenti nipponici, rispettivamente, della Villa di Adriano a Tivoli e del Partenone ad Atene, tappe imprescindibili per comprendere l’estetica di una cultura lontana da qualsiasi affinità culturale. Il Giappone non è infatti solo architettura, quanto, e soprattutto, unità inscindibile di natura e artificio, paesaggio naturale e costruito, tangibile e intangibile. Questa caratteristica, che affascina la maggior parte di questi architetti-viaggiatori (Taut, Letzel, Scarpa), è considerata come una inedita via per la modernità, da contrapporre a quella macchinista di matrice occidentale. Lo scarpiano “Lì dove l’occhio pensa” (con cui l’architetto italiano descrive la Villa Imperiale di Katsura) versus il dominio della lecorbuseriana “machine à habiter”. Le letture e le interpretazioni degli architetti-viaggiatori in Giappone riusciranno a influenzare il Movimento Moderno in Occidente (una volta concluso il viaggio) ma, allo stesso tempo, condizioneranno profondamente alcuni caratteri dell’architettura moderna del Sol Levante, come testimoniano i fondamentali volumi “Ise: Prototype of Japanese Architecture” (di Tange e Kawazoe) e “Katsura. Tradition and creation in Japanese architecture” (di Tange, Gropius e Ishimoto). Il contributo analizza itinerari, protagonisti e influenze del Grand Tour nella terra di Yamato, sottolineando quei tratti distintivi che hanno influenzato – e continuano a influenzare – la visione del rapporto tra natura, paesaggio e architettura del Giappone.
2024
I viaggi dell’architetto: la scoperta della natura e l’invenzione del paesaggio. Percezione, analisi e interpretazione dei territori oltre l’architettura, 1750-1989
979-12-80956-45-3
Bruno Taut; architettura giapponese; Kenzo Tange; progetto urbano; trasformazione; ricostruzione; modernismo
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Ad Oriente: il Grand Tour nella terra di Yamato / Ciotoli, Pina; Falsetti, Marco. - (2024), pp. 107-117.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1723671
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