Lo scritto affronta in maniera critica, e non puramente ricognitiva, il processo di “stratificazione argomentativa” che la magistratura, nel corso di decenni, ha sviluppato per sostenere la rilevanza penale della c.d. «contraffazione palese» di prodotti industriali, consistente nella messa in vendita sulle strade di oggetti recanti marchi contraffatti di rinomate aziende di moda da parte di ambulanti, spesso soggetti poveri ed emarginati, in modo tale da rendere evidente al potenziale acquirente l’origine degli stessi. Per giustificare la sussumibilità sotto l’art. 474 C.p. di fatti palesemente inoffensivi per il bene giuridico selezionato (la fede pubblica), attraverso la “scoperta” di oggettività giuridiche diverse e incongruenti con quest’ultimo e l’individuazione di momenti futuri ed eventuali di offesa si è inevitabilmente pervenuti all’applicazione analogica in malam partem della fattispecie incriminatrice, in spregio al basilare principio di legalità. Per descrivere il particolare atteggiamento tenuto dagli organi giurisdizionali, di merito ma soprattutto di legittimità, dietro cui sembrano celarsi alcune note tendenze illiberali, si è utilizzata la locuzione “giurisprudenza penale del nemico”, sulla scia della nota teoria di matrice germanica del “diritto penale del nemico” (“Feindstrafrecht”). La vicenda giuridica della «contraffazione palese» testimonia, così, non solo la possibilità ma anche la facilità con cui si possa usare in maniera distorta il diritto penale, per perseguire finalità ad esso estranee, frutto di una scelta consapevole che suscita forti perplessità sotto il profilo della ragionevolezza e della giustizia, e altresì dell’utilità, della convenienza e dell’efficienza.
«Contraffazione palese» di prodotti industriali e "giurisprudenza penale del nemico". studio sull'uso distorto del diritto penale / Alesci, Michele. - (2024), pp. 1-552.
«Contraffazione palese» di prodotti industriali e "giurisprudenza penale del nemico". studio sull'uso distorto del diritto penale
Michele Alesci
2024
Abstract
Lo scritto affronta in maniera critica, e non puramente ricognitiva, il processo di “stratificazione argomentativa” che la magistratura, nel corso di decenni, ha sviluppato per sostenere la rilevanza penale della c.d. «contraffazione palese» di prodotti industriali, consistente nella messa in vendita sulle strade di oggetti recanti marchi contraffatti di rinomate aziende di moda da parte di ambulanti, spesso soggetti poveri ed emarginati, in modo tale da rendere evidente al potenziale acquirente l’origine degli stessi. Per giustificare la sussumibilità sotto l’art. 474 C.p. di fatti palesemente inoffensivi per il bene giuridico selezionato (la fede pubblica), attraverso la “scoperta” di oggettività giuridiche diverse e incongruenti con quest’ultimo e l’individuazione di momenti futuri ed eventuali di offesa si è inevitabilmente pervenuti all’applicazione analogica in malam partem della fattispecie incriminatrice, in spregio al basilare principio di legalità. Per descrivere il particolare atteggiamento tenuto dagli organi giurisdizionali, di merito ma soprattutto di legittimità, dietro cui sembrano celarsi alcune note tendenze illiberali, si è utilizzata la locuzione “giurisprudenza penale del nemico”, sulla scia della nota teoria di matrice germanica del “diritto penale del nemico” (“Feindstrafrecht”). La vicenda giuridica della «contraffazione palese» testimonia, così, non solo la possibilità ma anche la facilità con cui si possa usare in maniera distorta il diritto penale, per perseguire finalità ad esso estranee, frutto di una scelta consapevole che suscita forti perplessità sotto il profilo della ragionevolezza e della giustizia, e altresì dell’utilità, della convenienza e dell’efficienza.| File | Dimensione | Formato | |
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