La figura della regalità svolge un ruolo fondamentale nella cultura elisabettiana e la natura del sovrano si propone come problema di grande attualità e interesse ai contemporanei di Shakespeare, dal punto di vista sia giuridico che epistemologico. Seguendo paradigmi che partivano dalla concezione pagana secondo la quale il sovrano, come discendente di Odino, ne ereditava l’energia soprannaturale, attraverso il contributo della cultura cristiana, la figura del sovrano aveva rafforzato il carattere divino e il ruolo di intermediario tra gli dei e gli uomini. Ai tempi di Shakespeare vengono riproposte le dottrine della sacralità del re e delle prescrizioni connesse: il sovrano è allora l’unto del Signore, suo vicario in terra; la sua natura gli attribuisce poteri taumaturgici e il suo benessere è direttamente connesso con la prosperità e la salute del paese. Il re è unico e, secondo legami analogici, la sua dimensione divina ripete nella gerarchia umana la posizione di preminenza del sole fra i corpi celesti, della mente nel microcosmo umano, di Dio stesso nell’universo. Il suddito è tenuto dunque a legami di obbedienza e di non resistenza, e il sovrano non può essere deposto, anche se tiranno. Furono i giuristi elisabettiani, infine, a elaborare e insistere sulla teoria del doppio corpo del re, fisico e politico: sulla natura umana e divina insieme, a salvaguardia di una istituzione affidata al corpo di un sovrano bambino, o di un sovrano donna (Kantorowicz 1989; Bloch 1973). La dinastia Tudor sviluppò una articolata strategia per costruire il consenso e autenticare il proprio potere, incerto per la mancanza di una convalida religiosa autorevole e per la scarsa limpidezza della discendenza sia nel passato sia nelle prospettive future. In particolare Elisabetta I, in trono dal 1558 al 1603, iniziò il suo regno con un evidente svantaggio di partenza: governava un paese diviso, la sua legittimità di successione e di nascita era contrastata da metà delle corti d’Europa, era una donna, rientrando dunque pienamente nella controversia sullo scandalo della ginecocrazia, del governo di un sovrano donna. La teoria dei due corpi del re attribuiva al sovrano una scissione tra un “corpo naturale (…) soggetto a tutte le infermità naturali e accidentali, alla debolezza dell’infanzia e della vecchiaia”, e un corpo politico “che non può essere visto né toccato, consistente di condotta politica e di governo (…), e questo corpo è palesemente privo di infanzia e di vecchiaia”(Kantorowicz 1989: 7). Dunque l’identità di Elisabetta, e del sovrano del Rinascimento inglese nasce con un io scisso, come persona ficta, in entrambe le condizioni segnata dalla maschera. “I am but one body naturally considered”, dichiara la regina Elisabetta nel discorso di accessione al trono, “though by His permission a Body Politic to govern” (Marcus 2000: 52). Il concetto di autorità e di rappresentazione di tale doppia identità coinvolge il teatro, e del resto proprio il rapporto tra stage e state, tra trono e palcoscenico, è oggetto di riflessione teorica e luogo di analogie e contaminazioni: “Se la collana, lo scettro, la porpora, il corteggio fanno un re, cosa impedisce di considerare re gli istrioni delle tragedie che compaiono in scena con gli stessi ornamenti?” (Erasmo da Rotterdam [1996:23]), scrive Erasmo da Rotterdam, segnalando l’inquietante contiguità tra sovrano e attore e additando nel secondo un pericoloso doppio del primo. D’altra parte la teoria dei corpi del sovrano dà origine a una creatura polimorfa, mortale e divina allo stesso tempo: “the mortal king was God-made, but the immortal king man-made.” il re mortale simile a Dio, ma il re immortale simile all’uomo. Questa creatura teatrale si pone come ipostasi del soggetto, un soggetto instabile, la cui identità deriva dall’inserimento in un ordine sociale generato dal sovrano stesso, di cui il soggetto è letteralmente funzione. Guardare il sovrano equivale a guardare il carattere scisso, teatrale del soggetto: dunque, del self fashioning che caratterizza il periodo, inteso come processo di formazione di un individuo per il quale natura è già cultura, il sovrano è epitome e materializzazione visiva, spettacolare (Greenblatt 19…). In un’epoca di dubbi e scetticismo come il tardo Rinascimento inglese, segnato da una definizione di soggetto frammentato, senza ancoraggi stabili e per il quale l’interiorità dovrà ancora assumere il peso ideologico che avrà nell’era borghese, il teatro risulta la forma migliore per rappresentare la discontinuità della natura umana e delle sue cristallizzazioni sociali (Pye 1990; Dollimore 1984).
L'io diviso: i drammi storici / Montini, Donatella. - (2024), pp. 187-206.
L'io diviso: i drammi storici
MONTINI, Donatella
2024
Abstract
La figura della regalità svolge un ruolo fondamentale nella cultura elisabettiana e la natura del sovrano si propone come problema di grande attualità e interesse ai contemporanei di Shakespeare, dal punto di vista sia giuridico che epistemologico. Seguendo paradigmi che partivano dalla concezione pagana secondo la quale il sovrano, come discendente di Odino, ne ereditava l’energia soprannaturale, attraverso il contributo della cultura cristiana, la figura del sovrano aveva rafforzato il carattere divino e il ruolo di intermediario tra gli dei e gli uomini. Ai tempi di Shakespeare vengono riproposte le dottrine della sacralità del re e delle prescrizioni connesse: il sovrano è allora l’unto del Signore, suo vicario in terra; la sua natura gli attribuisce poteri taumaturgici e il suo benessere è direttamente connesso con la prosperità e la salute del paese. Il re è unico e, secondo legami analogici, la sua dimensione divina ripete nella gerarchia umana la posizione di preminenza del sole fra i corpi celesti, della mente nel microcosmo umano, di Dio stesso nell’universo. Il suddito è tenuto dunque a legami di obbedienza e di non resistenza, e il sovrano non può essere deposto, anche se tiranno. Furono i giuristi elisabettiani, infine, a elaborare e insistere sulla teoria del doppio corpo del re, fisico e politico: sulla natura umana e divina insieme, a salvaguardia di una istituzione affidata al corpo di un sovrano bambino, o di un sovrano donna (Kantorowicz 1989; Bloch 1973). La dinastia Tudor sviluppò una articolata strategia per costruire il consenso e autenticare il proprio potere, incerto per la mancanza di una convalida religiosa autorevole e per la scarsa limpidezza della discendenza sia nel passato sia nelle prospettive future. In particolare Elisabetta I, in trono dal 1558 al 1603, iniziò il suo regno con un evidente svantaggio di partenza: governava un paese diviso, la sua legittimità di successione e di nascita era contrastata da metà delle corti d’Europa, era una donna, rientrando dunque pienamente nella controversia sullo scandalo della ginecocrazia, del governo di un sovrano donna. La teoria dei due corpi del re attribuiva al sovrano una scissione tra un “corpo naturale (…) soggetto a tutte le infermità naturali e accidentali, alla debolezza dell’infanzia e della vecchiaia”, e un corpo politico “che non può essere visto né toccato, consistente di condotta politica e di governo (…), e questo corpo è palesemente privo di infanzia e di vecchiaia”(Kantorowicz 1989: 7). Dunque l’identità di Elisabetta, e del sovrano del Rinascimento inglese nasce con un io scisso, come persona ficta, in entrambe le condizioni segnata dalla maschera. “I am but one body naturally considered”, dichiara la regina Elisabetta nel discorso di accessione al trono, “though by His permission a Body Politic to govern” (Marcus 2000: 52). Il concetto di autorità e di rappresentazione di tale doppia identità coinvolge il teatro, e del resto proprio il rapporto tra stage e state, tra trono e palcoscenico, è oggetto di riflessione teorica e luogo di analogie e contaminazioni: “Se la collana, lo scettro, la porpora, il corteggio fanno un re, cosa impedisce di considerare re gli istrioni delle tragedie che compaiono in scena con gli stessi ornamenti?” (Erasmo da Rotterdam [1996:23]), scrive Erasmo da Rotterdam, segnalando l’inquietante contiguità tra sovrano e attore e additando nel secondo un pericoloso doppio del primo. D’altra parte la teoria dei corpi del sovrano dà origine a una creatura polimorfa, mortale e divina allo stesso tempo: “the mortal king was God-made, but the immortal king man-made.” il re mortale simile a Dio, ma il re immortale simile all’uomo. Questa creatura teatrale si pone come ipostasi del soggetto, un soggetto instabile, la cui identità deriva dall’inserimento in un ordine sociale generato dal sovrano stesso, di cui il soggetto è letteralmente funzione. Guardare il sovrano equivale a guardare il carattere scisso, teatrale del soggetto: dunque, del self fashioning che caratterizza il periodo, inteso come processo di formazione di un individuo per il quale natura è già cultura, il sovrano è epitome e materializzazione visiva, spettacolare (Greenblatt 19…). In un’epoca di dubbi e scetticismo come il tardo Rinascimento inglese, segnato da una definizione di soggetto frammentato, senza ancoraggi stabili e per il quale l’interiorità dovrà ancora assumere il peso ideologico che avrà nell’era borghese, il teatro risulta la forma migliore per rappresentare la discontinuità della natura umana e delle sue cristallizzazioni sociali (Pye 1990; Dollimore 1984).File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Montini_L'io-diviso_2024.pdf
solo gestori archivio
Tipologia:
Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza:
Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione
1.3 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.3 MB | Adobe PDF | Contatta l'autore |
Montini_frontespizio_indice_L'io-diviso_2024.pdf
solo gestori archivio
Note: Frontespizio, retro del frontespizio e indice del volume
Tipologia:
Altro materiale allegato
Licenza:
Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione
2.19 MB
Formato
Adobe PDF
|
2.19 MB | Adobe PDF | Contatta l'autore |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.