Nel presente volume l’A. provvede ad esaminare la fonte regolamentare regionale che, dopo la riforma del titolo V, è al centro di un rinnovato interesse da parte della dottrina. E’ indubbio che prima della riforma il regolamento regionale abbia occupato uno spazio del tutto residuale nel sistema delle fonti: si può infatti a ragione sostenere che si sia troppo spesso trattato di una fonte prevista solo sulla carta ma di fatto non utilizzata nella prassi, in particolare a causa della previsione di cui all’art. 121 Cost., nella sua originaria formulazione, in base alla quale spetta al Consiglio regionale l’adozione di regolamenti. Lo scarso utilizzo della fonte regolamentare può infatti ascriversi in primo luogo alla ristrettezza degli ambiti materiali delle competenze ripartite, sempre più schiacciate dall’ingombrante presenza della normazione statale; inoltre al fatto che è risultato più facile ricomprendere anche gli aspetti di ulteriore dettaglio nella legge piuttosto che procedere ad approvare un nuovo atto regolamentare da parte dello stesso Consiglio. Inoltre, non va sottaciuto che quell’attività di normazione secondaria che sarebbe spettata al Consiglio è apparsa molto spesso in capo alla Giunta che non ha mancato infatti di adottare atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi attraverso il ricorso alla sfuggente categoria degli atti amministrativi generali. E’ indubbio che la riforma introduca quindi novità di rilievo che a detta dei primi commentatori avrebbero dovuto innescare un “circolo virtuoso” grazie all’eliminazione della previsione di cui all’art. 121 Cost. della obbligatoria adozione dei regolamenti da parte dell’organo rappresentativo della Regione, secondo quanto previsto dalla riforma costituzionale n. 1 del 1999. Inoltre, grazie alla successiva riforma n. 3 del 2001 che nel 6° c. dell’art. 117 Cost. introduce la previsione in base alla quale lo Stato può adottare regolamenti statali solo nell’ambito delle materie di competenza esclusiva statale mentre spetta al regolamento regionale intervenire sia con riferimento alle materie di competenza ripartita Stato/Regione che nelle materie residuali regionali. A ben vedere tuttavia il “cammino” della fonte regolamentare regionale appare ben più complesso e gli esiti, in realtà, non così scontati come potrebbe apparire ad una prima analisi del dato costituzionale. Infatti, in primo luogo, secondo quanto previsto dalla stessa Corte costituzionale nella sent. n. 313 del 2003, la modifica dell’art. 121 Cost. non implica un’automatica attribuzione della competenza all’adozione dei regolamenti alla Giunta, ma solo l’attribuzione di una gamma di possibili scelte diverse agli Statuti regionali. La tardiva adozione di questi fa sì allora che, dopo una prima fase in cui è invalsa l’interpretazione secondo cui la competenza all’adozione di regolamenti è della Giunta e si assiste quindi a un più ampio ricorso alla fonte regolamentare, segue una lunga fase in cui si ritorna alla prassi precedente la riforma e dunque ad un utilizzo quanto mai ridotto della fonte regolamentare da parte dei Consigli e ad un uso certo ampio di atti amministrativi generali con contenuto normativo da parte delle Giunte. Con riferimento poi alla previsione di cui al 6° c. dell’art. 117 Cost. non mancano sin dall’inizio problemi interpretativi in ragione della rigidità della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni che sembra difficilmente conciliarsi con il criterio elastico contenuto invece nell’art. 118 Cost. con riferimento alla possibile attrazione in via sussidiaria delle funzioni amministrative, per esigenze di carattere unitario. In un primo tempo la Corte applica tale criterio ascensionale oltre che alle funzioni amministrative anche alle corrispondenti competenze legislative (sent. n. 303 del 2003) - con il risultato quindi di attribuire allo Stato sia le une che le altre – mentre sembra escludere che l’attivazione dello strumento dinamico della sussidiarietà comporti la parallela attribuzione allo Stato anche della competenza regolamentare. Nella giurisprudenza successiva la rigidità della ripartizione di competenze tra lo Stato e le Regioni prevista dal 6° c. dell’art. 117 Cost. inizia ad essere superato, anche se in casi isolati e del tutto peculiari, ma aprendo tuttavia un varco che non mancherà di divenire un ampio passaggio negli anni successivi. Nella parte finale del volume l’A. provvede infine ad analizzare le previsioni statutarie con riferimento ai regolamenti regionali e cioè sia le diverse soluzioni prescelte in ordine all’attribuzione della competenza all’adozione di regolamenti in capo al Consiglio piuttosto che alla Giunta, con una netta prevalenza della seconda ipotesi; sia le diverse tipologie regolamentari presenti negli Statuti approvati, tendenzialmente riproduttivi dell’elenco contenuto nell’art. 17 della legge n. 400 del 1988. Viene inoltre esaminata la prassi applicativa e le tendenze in atto nella produzione regolamentare regionale che appaiono certamente indicare una evoluzione nel senso di un più ampio utilizzo della fonte regolamentare regionale rispetto al passato, anche se certo non una drastica corrispondente riduzione del ricorso alla fonte regolamentare statale come inizialmente preconizzato.

I regolamenti regionali / Rodomonte, Maria Grazia. - STAMPA. - (2006), pp. 1-239.

I regolamenti regionali

RODOMONTE, Maria Grazia
2006

Abstract

Nel presente volume l’A. provvede ad esaminare la fonte regolamentare regionale che, dopo la riforma del titolo V, è al centro di un rinnovato interesse da parte della dottrina. E’ indubbio che prima della riforma il regolamento regionale abbia occupato uno spazio del tutto residuale nel sistema delle fonti: si può infatti a ragione sostenere che si sia troppo spesso trattato di una fonte prevista solo sulla carta ma di fatto non utilizzata nella prassi, in particolare a causa della previsione di cui all’art. 121 Cost., nella sua originaria formulazione, in base alla quale spetta al Consiglio regionale l’adozione di regolamenti. Lo scarso utilizzo della fonte regolamentare può infatti ascriversi in primo luogo alla ristrettezza degli ambiti materiali delle competenze ripartite, sempre più schiacciate dall’ingombrante presenza della normazione statale; inoltre al fatto che è risultato più facile ricomprendere anche gli aspetti di ulteriore dettaglio nella legge piuttosto che procedere ad approvare un nuovo atto regolamentare da parte dello stesso Consiglio. Inoltre, non va sottaciuto che quell’attività di normazione secondaria che sarebbe spettata al Consiglio è apparsa molto spesso in capo alla Giunta che non ha mancato infatti di adottare atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi attraverso il ricorso alla sfuggente categoria degli atti amministrativi generali. E’ indubbio che la riforma introduca quindi novità di rilievo che a detta dei primi commentatori avrebbero dovuto innescare un “circolo virtuoso” grazie all’eliminazione della previsione di cui all’art. 121 Cost. della obbligatoria adozione dei regolamenti da parte dell’organo rappresentativo della Regione, secondo quanto previsto dalla riforma costituzionale n. 1 del 1999. Inoltre, grazie alla successiva riforma n. 3 del 2001 che nel 6° c. dell’art. 117 Cost. introduce la previsione in base alla quale lo Stato può adottare regolamenti statali solo nell’ambito delle materie di competenza esclusiva statale mentre spetta al regolamento regionale intervenire sia con riferimento alle materie di competenza ripartita Stato/Regione che nelle materie residuali regionali. A ben vedere tuttavia il “cammino” della fonte regolamentare regionale appare ben più complesso e gli esiti, in realtà, non così scontati come potrebbe apparire ad una prima analisi del dato costituzionale. Infatti, in primo luogo, secondo quanto previsto dalla stessa Corte costituzionale nella sent. n. 313 del 2003, la modifica dell’art. 121 Cost. non implica un’automatica attribuzione della competenza all’adozione dei regolamenti alla Giunta, ma solo l’attribuzione di una gamma di possibili scelte diverse agli Statuti regionali. La tardiva adozione di questi fa sì allora che, dopo una prima fase in cui è invalsa l’interpretazione secondo cui la competenza all’adozione di regolamenti è della Giunta e si assiste quindi a un più ampio ricorso alla fonte regolamentare, segue una lunga fase in cui si ritorna alla prassi precedente la riforma e dunque ad un utilizzo quanto mai ridotto della fonte regolamentare da parte dei Consigli e ad un uso certo ampio di atti amministrativi generali con contenuto normativo da parte delle Giunte. Con riferimento poi alla previsione di cui al 6° c. dell’art. 117 Cost. non mancano sin dall’inizio problemi interpretativi in ragione della rigidità della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni che sembra difficilmente conciliarsi con il criterio elastico contenuto invece nell’art. 118 Cost. con riferimento alla possibile attrazione in via sussidiaria delle funzioni amministrative, per esigenze di carattere unitario. In un primo tempo la Corte applica tale criterio ascensionale oltre che alle funzioni amministrative anche alle corrispondenti competenze legislative (sent. n. 303 del 2003) - con il risultato quindi di attribuire allo Stato sia le une che le altre – mentre sembra escludere che l’attivazione dello strumento dinamico della sussidiarietà comporti la parallela attribuzione allo Stato anche della competenza regolamentare. Nella giurisprudenza successiva la rigidità della ripartizione di competenze tra lo Stato e le Regioni prevista dal 6° c. dell’art. 117 Cost. inizia ad essere superato, anche se in casi isolati e del tutto peculiari, ma aprendo tuttavia un varco che non mancherà di divenire un ampio passaggio negli anni successivi. Nella parte finale del volume l’A. provvede infine ad analizzare le previsioni statutarie con riferimento ai regolamenti regionali e cioè sia le diverse soluzioni prescelte in ordine all’attribuzione della competenza all’adozione di regolamenti in capo al Consiglio piuttosto che alla Giunta, con una netta prevalenza della seconda ipotesi; sia le diverse tipologie regolamentari presenti negli Statuti approvati, tendenzialmente riproduttivi dell’elenco contenuto nell’art. 17 della legge n. 400 del 1988. Viene inoltre esaminata la prassi applicativa e le tendenze in atto nella produzione regolamentare regionale che appaiono certamente indicare una evoluzione nel senso di un più ampio utilizzo della fonte regolamentare regionale rispetto al passato, anche se certo non una drastica corrispondente riduzione del ricorso alla fonte regolamentare statale come inizialmente preconizzato.
2006
8814132798
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
I regolamenti regionali / Rodomonte, Maria Grazia. - STAMPA. - (2006), pp. 1-239.
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