L’evento traumatico della morte afferma di colpo il primato della natura sulla cultura, ribaltando il binomio che l’essere umano tenta di costruire lungo il corso della vita. Il rito funerario è l’ancestrale pratica umana volta a contrapporre alla morte naturale una morte culturale. Attraverso il rito si affronta il naufragio della presenza di chi resta, si permette alla coscienza ferita di rientrare in sé stessa. Il rito è una cerimonia di assimilazione dal trauma, la catarsi iniziale per il percorso di liberazione dalla sofferenza. Catarsi è il termine greco che significa purificazione. Per i pitagorici e per Platone è la liberazione dell’anima dopo la morte, ovvero il suo ritorno alla perfezione, dopo la costrizione limitante vissuta entro la materia. Nel pensiero aristotelico la catarsi è la finalità della tragedia greca, un’imitazione drammatica di fatti gravi e luttuosi, per cui lo spettatore si purifica dalle passioni, la sublimazione dei fatti in sentimenti. In psicologia la catarsi è la liberazione da un trauma o un conflitto interiore, una «via verso la moderazione più che una espulsione della passionalità»1. La catarsi è il viatico tra il razionale e l’irrazionale. La morte è il binomio tra presenza e assenza, tra luce e oscurità. La luce è la rappresentazione della ragione. Dall’oscurità del pensiero irrazionale attraverso il rito bisogna trovare il coraggio di riaffrontare la luce. Nel rito la luce è uno degli elementi della catarsi. Dove non c’è luce vi è la penombra per rifugiarsi, per soffrire, per comprendere, dove la luce arriva radente vi è la carezza per lenire e sopportare, dove la luce irradia vi è il ritorno alla vitalità, all’energia, al movimento
Catàrsi / DI EGIDIO, Alessandro. - (2024), pp. 76-79.
Catàrsi
Alessandro Di Egidio
2024
Abstract
L’evento traumatico della morte afferma di colpo il primato della natura sulla cultura, ribaltando il binomio che l’essere umano tenta di costruire lungo il corso della vita. Il rito funerario è l’ancestrale pratica umana volta a contrapporre alla morte naturale una morte culturale. Attraverso il rito si affronta il naufragio della presenza di chi resta, si permette alla coscienza ferita di rientrare in sé stessa. Il rito è una cerimonia di assimilazione dal trauma, la catarsi iniziale per il percorso di liberazione dalla sofferenza. Catarsi è il termine greco che significa purificazione. Per i pitagorici e per Platone è la liberazione dell’anima dopo la morte, ovvero il suo ritorno alla perfezione, dopo la costrizione limitante vissuta entro la materia. Nel pensiero aristotelico la catarsi è la finalità della tragedia greca, un’imitazione drammatica di fatti gravi e luttuosi, per cui lo spettatore si purifica dalle passioni, la sublimazione dei fatti in sentimenti. In psicologia la catarsi è la liberazione da un trauma o un conflitto interiore, una «via verso la moderazione più che una espulsione della passionalità»1. La catarsi è il viatico tra il razionale e l’irrazionale. La morte è il binomio tra presenza e assenza, tra luce e oscurità. La luce è la rappresentazione della ragione. Dall’oscurità del pensiero irrazionale attraverso il rito bisogna trovare il coraggio di riaffrontare la luce. Nel rito la luce è uno degli elementi della catarsi. Dove non c’è luce vi è la penombra per rifugiarsi, per soffrire, per comprendere, dove la luce arriva radente vi è la carezza per lenire e sopportare, dove la luce irradia vi è il ritorno alla vitalità, all’energia, al movimento| File | Dimensione | Formato | |
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