Questo articolo nasce dalla cooperazione di ricercatori che portano avanti indagini archeobotaniche e iconografiche in campo nazionale (Gruppi di interesse scientifico e tecnico operativo di Paleobotanica e di Botaniche Applicate della Società Botanica Italiana) ed internazionale (International Work Group for Palaeoethnobotany). L’idea di cooperazione su una pianta di notevole interesse culturale è nata in seno al progetto PaCE, che vede riunita in questo volume molta ricerca centrata sulla ricostruzione della storia botanica d’Europa. In questo lavoro sono state verificate dagli autori sia le rappresentazioni iconografiche che le notizie provenienti da fonti letterarie sul pesco. Il pesco venne introdotto in Italia nella prima metà del I sec. d.C. Le fonti storiche indicano la sua presenza da circa il 40 d.C., ma i reperti archeobotanici sembrerebbero retrodatare di almeno un decennio la sua presenza, almeno in Italia settentrionale. I macroresti di pesco sono costituiti quasi esclusivamente dai resistenti endocarpi legnosi o da frammenti degli stessi. Sono spesso rinvenuti in quantitativi scarsi in contesti funerari ed in zone portuali di età Romana imperiale, ma talvolta trovati in grandi quantità in sedimenti archeologici ricchi d’acqua, sepolti e spesso conservati in condizioni anossiche (i cosiddetti waterlogged remains riportati nella letteratura inglese, la cui traduzione italiana “resti sommersi” non sembra rendere a pieno la denominazione originale di quei macroresti considerati un tempo come particolari resti mummificati). La loro presenza in giardini privati e ville rustiche di età classica fa pensare che il pesco fosse utilizzato e apprezzato sia a scopo ornamentale che alimentare. Dati preliminari ottenuti da ricerche morfobiometriche condotte sui nòccioli di pesca sembrano indicare l’esistenza di diverse cultivar già durante il primo periodo di coltivazione in Italia (del resto erano state importate dall’Asia dove erano già in fase ben avviata di coltivazione) e che una grande variabilità si sia conservata anche nel Medioevo. I ritrovamenti di età medievale e rinascimentale suggeriscono che all’epoca il consumo di pesche era ridotto, se non limitato, a contesti abitativi particolarmente ricchi quali castelli o palazzi signorili.
The introduction and diffusion of peach in ancient Italy / Sadori, Laura; E., Allevato; G., Bosi; G., Caneva; E., Castiglioni; Celant, Alessandra; G., Di Pasquale; M., Giardini; M., Mazzanti; R., Rinaldi; M., Rottoli; F., Susanna. - 3(2009), pp. 45-61.
The introduction and diffusion of peach in ancient Italy
SADORI, Laura;CELANT, Alessandra;
2009
Abstract
Questo articolo nasce dalla cooperazione di ricercatori che portano avanti indagini archeobotaniche e iconografiche in campo nazionale (Gruppi di interesse scientifico e tecnico operativo di Paleobotanica e di Botaniche Applicate della Società Botanica Italiana) ed internazionale (International Work Group for Palaeoethnobotany). L’idea di cooperazione su una pianta di notevole interesse culturale è nata in seno al progetto PaCE, che vede riunita in questo volume molta ricerca centrata sulla ricostruzione della storia botanica d’Europa. In questo lavoro sono state verificate dagli autori sia le rappresentazioni iconografiche che le notizie provenienti da fonti letterarie sul pesco. Il pesco venne introdotto in Italia nella prima metà del I sec. d.C. Le fonti storiche indicano la sua presenza da circa il 40 d.C., ma i reperti archeobotanici sembrerebbero retrodatare di almeno un decennio la sua presenza, almeno in Italia settentrionale. I macroresti di pesco sono costituiti quasi esclusivamente dai resistenti endocarpi legnosi o da frammenti degli stessi. Sono spesso rinvenuti in quantitativi scarsi in contesti funerari ed in zone portuali di età Romana imperiale, ma talvolta trovati in grandi quantità in sedimenti archeologici ricchi d’acqua, sepolti e spesso conservati in condizioni anossiche (i cosiddetti waterlogged remains riportati nella letteratura inglese, la cui traduzione italiana “resti sommersi” non sembra rendere a pieno la denominazione originale di quei macroresti considerati un tempo come particolari resti mummificati). La loro presenza in giardini privati e ville rustiche di età classica fa pensare che il pesco fosse utilizzato e apprezzato sia a scopo ornamentale che alimentare. Dati preliminari ottenuti da ricerche morfobiometriche condotte sui nòccioli di pesca sembrano indicare l’esistenza di diverse cultivar già durante il primo periodo di coltivazione in Italia (del resto erano state importate dall’Asia dove erano già in fase ben avviata di coltivazione) e che una grande variabilità si sia conservata anche nel Medioevo. I ritrovamenti di età medievale e rinascimentale suggeriscono che all’epoca il consumo di pesche era ridotto, se non limitato, a contesti abitativi particolarmente ricchi quali castelli o palazzi signorili.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.