In posizione panoramica, sul punto più alto del Montello, uno dei luoghi simbolo della Grande Guerra nel nostro Paese, nel 1923, durante l’episcopato di Andrea Giacinto Longhin, viene aperta al culto, in una ex baracca militare, una chiesa dedicata a Santa Maria della Vittoria. Venti chilometri più a est, a Maserada, lungo il Piave, fin dal primo Settecento, sorge un oratorio, con la stessa dedicazione, che custodisce al suo interno una riproduzione del quadro della Madonna di Pötsch che viene incoronata dallo stesso vescovo l’8 luglio 1917. In precedenza, il 27 aprile dello stesso anno, mons. Longhin, nel duomo di Treviso, emise il voto solenne di innalzare alla Vergine Ausiliatrice una chiesa, dando poi, a partire dal 1923, l’avvio alla costruzione del Tempio Votivo nell’immediata periferia a sud-est della città. Ci troviamo allora di fronte a un fenomeno di longue durée, ovvero a una struttura storica di lunga durata che, come ci insegna la scuola delle Annales, ci può consentire, in una prospettiva plurisecolare, di comprendere come eventi del primo Novecento siano strutturati attorno a una tradizione sorta nella prima età moderna. In questo caso, il culto alla Madonna del Rosario legata al trionfo cristiano a Lepanto e agli assedi di Vienna. Una venerazione che costituisce una memoria storica per i paesi dell’Europa occidentale, ma che rientra anche nel campo delle tradizioni inventate come ci insegna Hobsbawm. Siamo quindi in presenza di un insieme di pratiche che, agendo sulla lunga durata, si propongono di “inculcare” determinati valori e norme di comportamento ripetitive, in una implicita continuità con il passato. Ecco quindi che il culto di Santa Maria della Vittoria viene, all’indomani della vittoria nella Grande Guerra, riutilizzato per rinsaldare vincoli nazionali e per connotare la fisionomia non solo di singole classi sociali, ma di quell’intera Italia che il fascismo sta costruendo. In collaborazione con una Chiesa cattolica ormai avviatasi a diventare “Concordataria”, cercando l’affermazione, sia sul piano nazionale che internazionale, attraverso una legittimazione che affonda le sue radici in un passato lontano.
Il culto di Santa Maria della Vittoria nella Marca Trevigiana tra longue durée e "invenzione della tradizione": da Lepanto alla Grande Guerra passando per Praga e per Vienna (1571-1918) / Rampazzo, Daniele. - (2024), pp. 100-118.
Il culto di Santa Maria della Vittoria nella Marca Trevigiana tra longue durée e "invenzione della tradizione": da Lepanto alla Grande Guerra passando per Praga e per Vienna (1571-1918)
Daniele Rampazzo
2024
Abstract
In posizione panoramica, sul punto più alto del Montello, uno dei luoghi simbolo della Grande Guerra nel nostro Paese, nel 1923, durante l’episcopato di Andrea Giacinto Longhin, viene aperta al culto, in una ex baracca militare, una chiesa dedicata a Santa Maria della Vittoria. Venti chilometri più a est, a Maserada, lungo il Piave, fin dal primo Settecento, sorge un oratorio, con la stessa dedicazione, che custodisce al suo interno una riproduzione del quadro della Madonna di Pötsch che viene incoronata dallo stesso vescovo l’8 luglio 1917. In precedenza, il 27 aprile dello stesso anno, mons. Longhin, nel duomo di Treviso, emise il voto solenne di innalzare alla Vergine Ausiliatrice una chiesa, dando poi, a partire dal 1923, l’avvio alla costruzione del Tempio Votivo nell’immediata periferia a sud-est della città. Ci troviamo allora di fronte a un fenomeno di longue durée, ovvero a una struttura storica di lunga durata che, come ci insegna la scuola delle Annales, ci può consentire, in una prospettiva plurisecolare, di comprendere come eventi del primo Novecento siano strutturati attorno a una tradizione sorta nella prima età moderna. In questo caso, il culto alla Madonna del Rosario legata al trionfo cristiano a Lepanto e agli assedi di Vienna. Una venerazione che costituisce una memoria storica per i paesi dell’Europa occidentale, ma che rientra anche nel campo delle tradizioni inventate come ci insegna Hobsbawm. Siamo quindi in presenza di un insieme di pratiche che, agendo sulla lunga durata, si propongono di “inculcare” determinati valori e norme di comportamento ripetitive, in una implicita continuità con il passato. Ecco quindi che il culto di Santa Maria della Vittoria viene, all’indomani della vittoria nella Grande Guerra, riutilizzato per rinsaldare vincoli nazionali e per connotare la fisionomia non solo di singole classi sociali, ma di quell’intera Italia che il fascismo sta costruendo. In collaborazione con una Chiesa cattolica ormai avviatasi a diventare “Concordataria”, cercando l’affermazione, sia sul piano nazionale che internazionale, attraverso una legittimazione che affonda le sue radici in un passato lontano.File | Dimensione | Formato | |
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