Oggi vorrei parlare con voi della necessità dell’azione adattativa nel fare quotidiano di un architetto. Una azione che per me passa attraverso la costruzione di architetture fragili: ovvero oggetti che spesso sono temporanei come allestimenti, esili nel loro corpo e permeati da una ricerca geometrica e chiaroscurale spinta in direzione di una dinamicità quasi ridotta a un solo frame, come in un fermo immagine. Ho sempre pensato che in un qualche modo l’architettura moderna - e quella postmoderna poi - abbiano teorizzato la fragilità della costruzione, vista l’incredibile sperimentazione strutturale attorno ai temi dell’assottigliamento del corpo architettonico. Basti pensare a quanto siano straordinariamente belli e problematici edifici come la ville sovoye di Le corbusier o la casa fansworth di ludwig mies van der rohe. Oggetti architettonici indicati come inabitabili dai loro proprietari e che hanno richiesto costanti interventi di restauro negli anni per permettere la loro conservazione. Valerio Paolo Mosco nella sua disamina della fragilità in architettura parte proprio da questo ribaltamento del concetto di gravitas e dalla necessità del suo superamento, già a partire dalla prima rivoluzione industriale. Devo dire che sento molto vicino a me questo tema della fragilità perché oggi, senza fare discorsi pietistici sulle difficili condizioni dei giovani architetti italiani, affacciarmi alla professione al sud italia mi ha quasi spinto a fare pace con la fragilità del corpo architettonico ricevendola come un assunto dalle condizioni incorrenti nella libera professione. Se penso al segmento lungo 1 m che Franco Purini individuava in Comporre l’architettura per schematizzare la vita e il tempo del progetto, non posso che constatare una contrazione di quei tempi nel mio lavoro, perché ciò che mi è capitato di progettare è sempre stato incredibilmente vicino ai concetti di temporaneità e allestimento, proprio per la fragilità derivante dagli assunti costruttivi di quella cosa. Architetture fragili con una data di scadenza molto corta. Inoltre, in un contesto in cui il budget di spesa è sempre molto corto e le indicazioni sul layout planimetrico-funzionale sono molto stringenti, non rimane che provare a lavorare sulla forma del progetto attraverso un approccio fondato sulla ricerca morfologico-estetica, senza la pretesa di creare un assetto spaziale necessariamente più bello, ma semplicemente diverso da quello che era prima. Quindi si, commetto ogni giorno il peccato del formalismo e non me ne vergogno. Nelle immagini che vedete scorrere è rappresentato il progetto per il restauro e l’adattamento di un edificio industriale vicino napoli. Si tratta di un edificio di rappresentanza che ho disegnato per un’azienda che si occupa del recupero di metalli preziosi da RAEE. I RAEE sono rifiuti tecnologici, come vecchi elettrodomestici, televisori, computer e cose simili che al loro interno hanno delle schede di controllo. Da tali schede si possono ricavare metalli preziosi come oro, palladio, argento e cose simili. Per questo progetto mi è stato messo a disposizione un budget di 85000 euro per ristrutturare un capannone di oltre 500 metri quadrati. Poco più di 150 euro al metro quadrato: niente. Gli spazi di funzionamento e le zone erano già sostanzialmente definite dalle loro indicazioni e mi è stato chiesto di disegnare un impianto elettrico esterno. Allora ho subito cominciato a ragionare in maniera ipnotica sulle indicazioni sottese allo stato di fatto e alle richieste della committenza, come mi ha insegnato a fare il mio maestro Cherubino Gambardella, provando a individuare una via formale possibile. Allora ecco che la richiesta dell’impianto elettrico esterno è diventata il pretesto per diffondere una specie di bassorilievo plastico in tutti gli ambienti fatti con tubi di plastica, portalampada brutti da cantiere e27 e lampadine led. Tutti gli arredi diffusi negli ambienti interni sono concepiti in strutture impilabili di muratura o tubolare leggero di ferro e lamiera stirata o liscia, a seconda delle necessità. Negli uffici ho coperto pavimenti e pareti con mattonelle bianche 20x20 economicissime, mentre nelle aree di lavorazione ho, da una parte restaurato il potentissimo sistema di volte e fatto scarnificare un pavimento in pvc bianco orribile che nascondeva delle bellissime piastrelle in bitume e cemento che ho voluto riportare alla luce e trattare per renderle l’effettivo strato pavimentale andando a risparmiare la posa di un nuovo pavimento nella maggior parte dell’edificio, perché gli uffici erano una zona molto piccola rispetto alle aree di lavorazione che occupavano le due stecche voltate e quindi la maggiore quadratura dell’edificio. Infine la necessità di un’ampia isola di lavoro al centro di uno dei due ambienti voltati è stata il pretesto per trafiggere lo spazio con un enorme traliccio metallico zoppo ed elettrificato per sospendere l’impianto elettrico su questa area di lavoro con una struttura indipendente dai tavoli che sono soggetti a costanti sollecitazioni e avrebbero causato la rottura dell’impianto. Sono pochi gesti mirati che si impossessano dello spazio e provano a cambiarne gli esiti formali ed estetici attraverso aggiunte e segni geometrici. Infatti nel mio lavoro provo quasi ossessivamente ad inseguire il concetto della linea, un ente adimensionale incostruibile nella realtà, che quindi traduce costantemente la mia azione nella costruzione di oggetti che hanno sempre una dimensione prevalente sulle altre che seguono costruzioni ritmiche sempre scandite da regole geometriche ed empiriche, che assecondano esclusivamente il mio gusto alla ricerca di un appagamento ottico. Appagamento ottico che provo ad ottenere attraverso anche la fragilità dell’immagine architettonica intesa come esito di una instabilità chiaroscurale. Vedete, quando lavoro con questi segni geometrici e con la loro euritmia, provo a sperimentare con la sostanziale incontrollabilità dell’ente ombra e provo ad usarlo come materiale di progetto. Francesco Venezia definiva l’ombra come un ente continuamente in bilico tra realtà e apparenza, perché se da un lato il suo andamento può essere previsto con calcoli di geometria descrittiva o con un qualsiasi software di renderizzazione, dall’altra parte basta una minima variazione atmosferica a variarne gli esiti estetici sul corpo costruito. Per questo quando io disegno i miei progetti lo faccio sempre considerando l’ombra e disegnandone in realtà una versione geometrica ed astratta che non esisterà mai nella realtà. Così il disegno diviene un ente autonomo che duplica la realtà, le assomiglia abbastanza da rendersi credibile, senza mai esserne stringentemente dominato. Ecco quindi le ragioni sottese all’abaco che avete visto esposto e in queste immagini e il motivo per cui quei nove tasselli riassumono tutte le ragioni estetiche, chiaroscurali e geometriche del mio progetto di restauro e adattamento di questo edificio industriale vicino napoli.

Abaco per l'azione adattativa / Arcopinto, Luigi. - (2024). (Intervento presentato al convegno Fragilità tenutosi a Libreria Sinestetica; Roma; Italia;).

Abaco per l'azione adattativa

Arcopinto, Luigi
2024

Abstract

Oggi vorrei parlare con voi della necessità dell’azione adattativa nel fare quotidiano di un architetto. Una azione che per me passa attraverso la costruzione di architetture fragili: ovvero oggetti che spesso sono temporanei come allestimenti, esili nel loro corpo e permeati da una ricerca geometrica e chiaroscurale spinta in direzione di una dinamicità quasi ridotta a un solo frame, come in un fermo immagine. Ho sempre pensato che in un qualche modo l’architettura moderna - e quella postmoderna poi - abbiano teorizzato la fragilità della costruzione, vista l’incredibile sperimentazione strutturale attorno ai temi dell’assottigliamento del corpo architettonico. Basti pensare a quanto siano straordinariamente belli e problematici edifici come la ville sovoye di Le corbusier o la casa fansworth di ludwig mies van der rohe. Oggetti architettonici indicati come inabitabili dai loro proprietari e che hanno richiesto costanti interventi di restauro negli anni per permettere la loro conservazione. Valerio Paolo Mosco nella sua disamina della fragilità in architettura parte proprio da questo ribaltamento del concetto di gravitas e dalla necessità del suo superamento, già a partire dalla prima rivoluzione industriale. Devo dire che sento molto vicino a me questo tema della fragilità perché oggi, senza fare discorsi pietistici sulle difficili condizioni dei giovani architetti italiani, affacciarmi alla professione al sud italia mi ha quasi spinto a fare pace con la fragilità del corpo architettonico ricevendola come un assunto dalle condizioni incorrenti nella libera professione. Se penso al segmento lungo 1 m che Franco Purini individuava in Comporre l’architettura per schematizzare la vita e il tempo del progetto, non posso che constatare una contrazione di quei tempi nel mio lavoro, perché ciò che mi è capitato di progettare è sempre stato incredibilmente vicino ai concetti di temporaneità e allestimento, proprio per la fragilità derivante dagli assunti costruttivi di quella cosa. Architetture fragili con una data di scadenza molto corta. Inoltre, in un contesto in cui il budget di spesa è sempre molto corto e le indicazioni sul layout planimetrico-funzionale sono molto stringenti, non rimane che provare a lavorare sulla forma del progetto attraverso un approccio fondato sulla ricerca morfologico-estetica, senza la pretesa di creare un assetto spaziale necessariamente più bello, ma semplicemente diverso da quello che era prima. Quindi si, commetto ogni giorno il peccato del formalismo e non me ne vergogno. Nelle immagini che vedete scorrere è rappresentato il progetto per il restauro e l’adattamento di un edificio industriale vicino napoli. Si tratta di un edificio di rappresentanza che ho disegnato per un’azienda che si occupa del recupero di metalli preziosi da RAEE. I RAEE sono rifiuti tecnologici, come vecchi elettrodomestici, televisori, computer e cose simili che al loro interno hanno delle schede di controllo. Da tali schede si possono ricavare metalli preziosi come oro, palladio, argento e cose simili. Per questo progetto mi è stato messo a disposizione un budget di 85000 euro per ristrutturare un capannone di oltre 500 metri quadrati. Poco più di 150 euro al metro quadrato: niente. Gli spazi di funzionamento e le zone erano già sostanzialmente definite dalle loro indicazioni e mi è stato chiesto di disegnare un impianto elettrico esterno. Allora ho subito cominciato a ragionare in maniera ipnotica sulle indicazioni sottese allo stato di fatto e alle richieste della committenza, come mi ha insegnato a fare il mio maestro Cherubino Gambardella, provando a individuare una via formale possibile. Allora ecco che la richiesta dell’impianto elettrico esterno è diventata il pretesto per diffondere una specie di bassorilievo plastico in tutti gli ambienti fatti con tubi di plastica, portalampada brutti da cantiere e27 e lampadine led. Tutti gli arredi diffusi negli ambienti interni sono concepiti in strutture impilabili di muratura o tubolare leggero di ferro e lamiera stirata o liscia, a seconda delle necessità. Negli uffici ho coperto pavimenti e pareti con mattonelle bianche 20x20 economicissime, mentre nelle aree di lavorazione ho, da una parte restaurato il potentissimo sistema di volte e fatto scarnificare un pavimento in pvc bianco orribile che nascondeva delle bellissime piastrelle in bitume e cemento che ho voluto riportare alla luce e trattare per renderle l’effettivo strato pavimentale andando a risparmiare la posa di un nuovo pavimento nella maggior parte dell’edificio, perché gli uffici erano una zona molto piccola rispetto alle aree di lavorazione che occupavano le due stecche voltate e quindi la maggiore quadratura dell’edificio. Infine la necessità di un’ampia isola di lavoro al centro di uno dei due ambienti voltati è stata il pretesto per trafiggere lo spazio con un enorme traliccio metallico zoppo ed elettrificato per sospendere l’impianto elettrico su questa area di lavoro con una struttura indipendente dai tavoli che sono soggetti a costanti sollecitazioni e avrebbero causato la rottura dell’impianto. Sono pochi gesti mirati che si impossessano dello spazio e provano a cambiarne gli esiti formali ed estetici attraverso aggiunte e segni geometrici. Infatti nel mio lavoro provo quasi ossessivamente ad inseguire il concetto della linea, un ente adimensionale incostruibile nella realtà, che quindi traduce costantemente la mia azione nella costruzione di oggetti che hanno sempre una dimensione prevalente sulle altre che seguono costruzioni ritmiche sempre scandite da regole geometriche ed empiriche, che assecondano esclusivamente il mio gusto alla ricerca di un appagamento ottico. Appagamento ottico che provo ad ottenere attraverso anche la fragilità dell’immagine architettonica intesa come esito di una instabilità chiaroscurale. Vedete, quando lavoro con questi segni geometrici e con la loro euritmia, provo a sperimentare con la sostanziale incontrollabilità dell’ente ombra e provo ad usarlo come materiale di progetto. Francesco Venezia definiva l’ombra come un ente continuamente in bilico tra realtà e apparenza, perché se da un lato il suo andamento può essere previsto con calcoli di geometria descrittiva o con un qualsiasi software di renderizzazione, dall’altra parte basta una minima variazione atmosferica a variarne gli esiti estetici sul corpo costruito. Per questo quando io disegno i miei progetti lo faccio sempre considerando l’ombra e disegnandone in realtà una versione geometrica ed astratta che non esisterà mai nella realtà. Così il disegno diviene un ente autonomo che duplica la realtà, le assomiglia abbastanza da rendersi credibile, senza mai esserne stringentemente dominato. Ecco quindi le ragioni sottese all’abaco che avete visto esposto e in queste immagini e il motivo per cui quei nove tasselli riassumono tutte le ragioni estetiche, chiaroscurali e geometriche del mio progetto di restauro e adattamento di questo edificio industriale vicino napoli.
2024
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1707725
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