La ricerca sociologica ha prestato un’attenzione discontinua ma anche, alle volte, profonda e penetrante a tutto ciò che c’è d’inconsapevole, inarticolato, sottinteso e non immediatamente messo a fuoco nella realtà sociale. Riepilogare le diverse declinazioni che quest’angolazione analitica ha assunto significa ripercorrere alcuni punti di particolare originalità contenutistica della teoria sociologica secondo-novecentesca e contemporanea. Fra gli altri, a titolo non esaustivo, si possono menzionare il dominio del «latente» nell’approccio struttural-funzionalista (Parsons, 1961; Merton, 1968; tr. it. 2000), il «visto-ma-inosservato» nell’etnometodologia (Garfinkel, 1967), il «silenzio» nell’analisi della conversazione (Sacks, 1992), l’«abitudinario» e l’«incorporato» nella teoria della pratica (Bourdieu, 1980; tr. it. 2005; Wacquant, 2000; tr. it. 2009), i «periodi stabili» nella teoria della cultura come cassetta degli attrezzi (Swidler, 1986), il «dato per scontato» e l’«inavvertito» nella sociologia cultural-cognitivista (Zerubavel, 1997; tr. it. 2022; Brekhus, 1998; tr. it. 2018), il «sistema 1» nella teoria dei processi duali (Vaisey, 2009), la sfera del «tacito» nelle sue ultime rivisitazioni sociologiche (Tur ner, 2014). È significativo che proprio lo studio delle forme della cultura implicita sia giunto a rappresentare, nell’attuale panorama statunitense, il nodo per eccellenza del rapporto fra “culture and cognition”, fra modelli culturali e schemi cognitivi. Il dibattito sul punto, peraltro acceso, è ancora in corso e quindi arduo da districare e valutare (si vedano, ad es., Lizardo, 2014; Lizardo et al., 2016; Brekhus e Ignatow, 2019; Martin e Lembo, 2020; Cerulo, Leschziner e Shepherd, 2021; Vaisey, 2021). Pure, non è difficile capire perché il tema della cultura implicita sia tornato a rappresentare una delle frontiere più promettenti della teoria sociale. Orientarsi euristicamente in questa direzione, infatti, comporta (-) affrontare elementi statisticamente prevalenti, a cui gli attori sono giocoforza più esposti (il numero di cose esprimibili è sempre minore di quelle che restano tacitamente sullo sfondo: cfr. Brekhus, 1998; tr. it. 2018; Bearman, 2005, p. 3); (-) provare a spiegare l’inerzia e la stabilità, generalmente sottovalutate a favore dell’analisi del mutamento (cfr. Brekhus, in corso di pubblicazione); (-) esaminare i processi di socializzazione e inculturazione nel loro funzionamento normale, apparentemente naturale (cfr. Zerubavel, 2015; Zerubavel, 2018; tr. it. 2019); (-) vincolare la ricerca sociale a una certa misura di originalità analitica, tanto in senso teorico che metodologico (Sabetta, 2020); (-) ridare mordente all’attitudine disvelante che ha storicamente improntato le scienze sociali, la loro tensione verso lo smascheramento (Baehr, 2019; Sica, 2020). Bontà e realizzabilità di questa serie di promesse verranno soppesate solo in parte in questa sede. Piuttosto, l’obiettivo del saggio è esaminare un caso particolare delle forme della cultura implicita: quelle che si presentano come costitutivamente tali, la cui articolazione dichiarata e manifesta, cioè, è impossibile (o possibile a patto di far cambiar loro radicalmente forma) al livello dell’azione. Considerata l’attuale, diffusa enfasi su controllo e trasparenza nei campi sociali più disparati, la stessa esistenza di tali sacche di necessaria opacità può sembrare controintuitiva o sospetta; è allora proprio da questo punto che può essere conveniente partire.
Le forme della cultura implicita: il caso dei “fatti sociali indicibili” / Sabetta, Lorenzo. - (2022), pp. 252-272. - IL RICCIO E LA VOLPE.
Le forme della cultura implicita: il caso dei “fatti sociali indicibili”
Lorenzo Sabetta
2022
Abstract
La ricerca sociologica ha prestato un’attenzione discontinua ma anche, alle volte, profonda e penetrante a tutto ciò che c’è d’inconsapevole, inarticolato, sottinteso e non immediatamente messo a fuoco nella realtà sociale. Riepilogare le diverse declinazioni che quest’angolazione analitica ha assunto significa ripercorrere alcuni punti di particolare originalità contenutistica della teoria sociologica secondo-novecentesca e contemporanea. Fra gli altri, a titolo non esaustivo, si possono menzionare il dominio del «latente» nell’approccio struttural-funzionalista (Parsons, 1961; Merton, 1968; tr. it. 2000), il «visto-ma-inosservato» nell’etnometodologia (Garfinkel, 1967), il «silenzio» nell’analisi della conversazione (Sacks, 1992), l’«abitudinario» e l’«incorporato» nella teoria della pratica (Bourdieu, 1980; tr. it. 2005; Wacquant, 2000; tr. it. 2009), i «periodi stabili» nella teoria della cultura come cassetta degli attrezzi (Swidler, 1986), il «dato per scontato» e l’«inavvertito» nella sociologia cultural-cognitivista (Zerubavel, 1997; tr. it. 2022; Brekhus, 1998; tr. it. 2018), il «sistema 1» nella teoria dei processi duali (Vaisey, 2009), la sfera del «tacito» nelle sue ultime rivisitazioni sociologiche (Tur ner, 2014). È significativo che proprio lo studio delle forme della cultura implicita sia giunto a rappresentare, nell’attuale panorama statunitense, il nodo per eccellenza del rapporto fra “culture and cognition”, fra modelli culturali e schemi cognitivi. Il dibattito sul punto, peraltro acceso, è ancora in corso e quindi arduo da districare e valutare (si vedano, ad es., Lizardo, 2014; Lizardo et al., 2016; Brekhus e Ignatow, 2019; Martin e Lembo, 2020; Cerulo, Leschziner e Shepherd, 2021; Vaisey, 2021). Pure, non è difficile capire perché il tema della cultura implicita sia tornato a rappresentare una delle frontiere più promettenti della teoria sociale. Orientarsi euristicamente in questa direzione, infatti, comporta (-) affrontare elementi statisticamente prevalenti, a cui gli attori sono giocoforza più esposti (il numero di cose esprimibili è sempre minore di quelle che restano tacitamente sullo sfondo: cfr. Brekhus, 1998; tr. it. 2018; Bearman, 2005, p. 3); (-) provare a spiegare l’inerzia e la stabilità, generalmente sottovalutate a favore dell’analisi del mutamento (cfr. Brekhus, in corso di pubblicazione); (-) esaminare i processi di socializzazione e inculturazione nel loro funzionamento normale, apparentemente naturale (cfr. Zerubavel, 2015; Zerubavel, 2018; tr. it. 2019); (-) vincolare la ricerca sociale a una certa misura di originalità analitica, tanto in senso teorico che metodologico (Sabetta, 2020); (-) ridare mordente all’attitudine disvelante che ha storicamente improntato le scienze sociali, la loro tensione verso lo smascheramento (Baehr, 2019; Sica, 2020). Bontà e realizzabilità di questa serie di promesse verranno soppesate solo in parte in questa sede. Piuttosto, l’obiettivo del saggio è esaminare un caso particolare delle forme della cultura implicita: quelle che si presentano come costitutivamente tali, la cui articolazione dichiarata e manifesta, cioè, è impossibile (o possibile a patto di far cambiar loro radicalmente forma) al livello dell’azione. Considerata l’attuale, diffusa enfasi su controllo e trasparenza nei campi sociali più disparati, la stessa esistenza di tali sacche di necessaria opacità può sembrare controintuitiva o sospetta; è allora proprio da questo punto che può essere conveniente partire.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.