L’infiggere con santi chiodi il progetto di Dario Passi su una lamiera di ferro evoca il dolore e la sofferenza dell’architettura dei nostri tempi, che si trova in un momento di transizione, di chiusura di una stagione senza chiare visioni di quella successiva. Come se il panorama attuale ci offrisse l’affresco di un’agonia, dunque, una condizione di bilico: non è giunta ancora la morte, ma i segni della vita sono quasi inafferrabili. Attraverso un carico emotivo, simile a quello di una crocifissione, si vuole provocare una sensazione di pietà, ed è quasi una supplica a smettere di progettare le barbarie architettoniche e di ritornare ai valori paradigmatici e archetipici. È una predica e un impetrare: fate Architettura, non la guerra. La scelta di un colore cupo e l’indistinguibilità dei corpi architettonici dalle loro ombre simboleggia un lento dissolversi dell’architettura di qualità e il suo fondersi con il mondo tetro della realtà del nostro tempo senza principi, senza ideali. Allora, per difendere i valori architettonici, quelli che riteniamo le irrinunciabili fondamenta della nostra fede, dobbiamo quotidianamente ingaggiare una lotta. È una guerra spirituale, la cui forma più comune è quella della preghiera. E la nostra preghiera è: fate la guerra per difendere l’Architettura. È palese che la guerra sia un atto di violenza, e non avviene senza provocare sia lesioni, come quelle sul vetro dell’opera, sia lacerazioni, come quelle sul tessuto architettonico e urbano. È un supplizio straziante, davanti al quale non è possibile restare impassibili. E tuttavia, questa sarà una fase limitata e transitoria, e che il momento di rottura nello scenario architettonico contemporaneo porterà a un cambiamento, si spera positivo e generativo, perché innumerevoli svolte nella storia sono avvenute − e avverranno − grazie a chi lascia le ferite.
Agonia / Starodubova, Olga. - (2023), pp. 168-169.
Agonia
Olga Starodubova
2023
Abstract
L’infiggere con santi chiodi il progetto di Dario Passi su una lamiera di ferro evoca il dolore e la sofferenza dell’architettura dei nostri tempi, che si trova in un momento di transizione, di chiusura di una stagione senza chiare visioni di quella successiva. Come se il panorama attuale ci offrisse l’affresco di un’agonia, dunque, una condizione di bilico: non è giunta ancora la morte, ma i segni della vita sono quasi inafferrabili. Attraverso un carico emotivo, simile a quello di una crocifissione, si vuole provocare una sensazione di pietà, ed è quasi una supplica a smettere di progettare le barbarie architettoniche e di ritornare ai valori paradigmatici e archetipici. È una predica e un impetrare: fate Architettura, non la guerra. La scelta di un colore cupo e l’indistinguibilità dei corpi architettonici dalle loro ombre simboleggia un lento dissolversi dell’architettura di qualità e il suo fondersi con il mondo tetro della realtà del nostro tempo senza principi, senza ideali. Allora, per difendere i valori architettonici, quelli che riteniamo le irrinunciabili fondamenta della nostra fede, dobbiamo quotidianamente ingaggiare una lotta. È una guerra spirituale, la cui forma più comune è quella della preghiera. E la nostra preghiera è: fate la guerra per difendere l’Architettura. È palese che la guerra sia un atto di violenza, e non avviene senza provocare sia lesioni, come quelle sul vetro dell’opera, sia lacerazioni, come quelle sul tessuto architettonico e urbano. È un supplizio straziante, davanti al quale non è possibile restare impassibili. E tuttavia, questa sarà una fase limitata e transitoria, e che il momento di rottura nello scenario architettonico contemporaneo porterà a un cambiamento, si spera positivo e generativo, perché innumerevoli svolte nella storia sono avvenute − e avverranno − grazie a chi lascia le ferite.File | Dimensione | Formato | |
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