La giornata trascorsa ad Amatrice è stata davvero bella e intensa, soprattutto mi ha portato a riflettere su ciò che è accaduto e su cosa è possibile fare. Già, cosa fare? Una domanda impegnativa, che più si allontana quel 24 agosto 2016 più si carica di significati altri e genera a sua volta domande ulteriori. Lo scenario che abbiamo di fronte, richiama alla mente quel libro di Alan Weisman, Il mondo senza di noi, uscito già da qualche anno e tornato, con successo, nelle librerie dopo il lockdown. La vegetazione, con la complicità di una robusta campagna di rimozione delle macerie, che ha cancellato gli spiccati degli edifici crollati e colmato voragini e ambienti interrati, ha rapidamente guadagnato spazio. Potremmo discutere sui danni causati dall’azione delle ruspe e dalla fretta di sgomberare, se ne è parato molto, basta ricordare il punto di vista di un illustre restauratore qual è Giovanni Carbonara, ma a questo punto non serve neanche questo. La topografia, così artificiosamente ripristinata, mette a nudo il supporto gemorfologico e ripropone un profilo verosimile del pianoro scosceso sul quale un tempo venne tracciato l’impianto cardo-decumanico del primo nucleo abitato. I pochi elementi di orientamento sono costituiti dai ruderi ancora in piedi, dalle chiese e dai campanili. Svetta in un surreale isolamento la torre civica, iconema forte e riconosciuto, ancora più assoluto e parlante. Il gradiente di naturalità è salito a dismisura: prevalgono i valori della continuità con il contesto geografico, con i grandi corpi ambientali circostanti, con i pendii, con la conca, con la corona di monti improvvisamente più vicini. Ora il sito d’insediamento è aperto a trecentosessanta gradi.
Amatrice, 20 novembre 2021 / Toppetti, Fabrizio. - (2022), pp. 181-191.
Amatrice, 20 novembre 2021
Fabrizio Toppetti
2022
Abstract
La giornata trascorsa ad Amatrice è stata davvero bella e intensa, soprattutto mi ha portato a riflettere su ciò che è accaduto e su cosa è possibile fare. Già, cosa fare? Una domanda impegnativa, che più si allontana quel 24 agosto 2016 più si carica di significati altri e genera a sua volta domande ulteriori. Lo scenario che abbiamo di fronte, richiama alla mente quel libro di Alan Weisman, Il mondo senza di noi, uscito già da qualche anno e tornato, con successo, nelle librerie dopo il lockdown. La vegetazione, con la complicità di una robusta campagna di rimozione delle macerie, che ha cancellato gli spiccati degli edifici crollati e colmato voragini e ambienti interrati, ha rapidamente guadagnato spazio. Potremmo discutere sui danni causati dall’azione delle ruspe e dalla fretta di sgomberare, se ne è parato molto, basta ricordare il punto di vista di un illustre restauratore qual è Giovanni Carbonara, ma a questo punto non serve neanche questo. La topografia, così artificiosamente ripristinata, mette a nudo il supporto gemorfologico e ripropone un profilo verosimile del pianoro scosceso sul quale un tempo venne tracciato l’impianto cardo-decumanico del primo nucleo abitato. I pochi elementi di orientamento sono costituiti dai ruderi ancora in piedi, dalle chiese e dai campanili. Svetta in un surreale isolamento la torre civica, iconema forte e riconosciuto, ancora più assoluto e parlante. Il gradiente di naturalità è salito a dismisura: prevalgono i valori della continuità con il contesto geografico, con i grandi corpi ambientali circostanti, con i pendii, con la conca, con la corona di monti improvvisamente più vicini. Ora il sito d’insediamento è aperto a trecentosessanta gradi.File | Dimensione | Formato | |
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