Da una prospettiva cognitivista sistemica, costruttivista e postrazionalista, la sindrome unitaria dei DCA, sia questa clinicamente caratterizzata dalla anoressia, o dalla obesità e/o da BED o altro, viene concettualizzata come l’espressione comportamentale di un vago e indistinto senso di sé che oscilla intorno a confini antagonisti tra il sentirsi legati all’esterno e per questo dipendenti dal giudizio degli altri e dunque bisognosi della loro approvazione, ed un sentirsi legati all’interno percepito come un vuoto al quale corrisponde un senso di inadeguatezza e per questo il timore di essere criticati e assoggettati o invasi, tanto da esprimere la tendenza a modificare il proprio peso corporeo e per questo il proprio comportamento alimentare in corrispondenza di ogni oscillazione emotiva tra le suddette polarità. Da questo punto di vista si evidenziano come centrali per questi pazienti temi quali il giudizio esterno, il perfezionismo, l’immagine di sé, l’autostima fondati essenzialmente sugli altri. A partire dalle prime fasi dello sviluppo, la corretta successione delle sequenze comportamentali relative al cibo consente, ma è anche resa possibile - in una stretta reciprocità - dalla percezione e dal continuo raffinarsi del riconoscimento dei diversi stati interni man mano che essi si differenziano, siano questi propriocettivi (vd. fame, sazietà, sonno) che emotivi (rabbia, paura, gioia, dolore, disgusto, noia, etc.). Le caratteristiche dei genitori sono tra gli aspetti più spesso considerati come aventi un ruolo determinante nella patogenesi dei DCA. Le ricerche sull’ambiente familiare hanno evidenziato il ruolo del comportamento dei genitori come pure il loro comportamento alimentare nel favorire il disturbo nei figli. I genitori offrono un inevitabile modello di apprendimento contribuendo in modo preponderante alla costruzione della qualità dei processi affettivi e di attaccamento nella relazione con la prole. Lo stile di vita familiare, la qualità delle relazioni interpersonali caratterizzate per lo più dalla ambiguità e indefinizione delle espressioni emotive, unite in modo spesso contraddittorio al controllo delle caratteristiche esteriori, sono situazioni che finiscono col creare una condizione di “vuoto” o solitudine affettiva che il bambino percepisce come passivamente imposta. Questa condizione spesso e in modo determinante contribuisce alla genesi di un DCA. Sulla base di queste considerazioni si offrono alcuni cenni ed esempi per l’intervento psicoterapeutico.
L’approccio cognitivo post-razionalista alla psicopatologia dei disturbi delle condotte alimentari (DCA) / DE PASCALE, Adele. - (2007), pp. 295-308.
L’approccio cognitivo post-razionalista alla psicopatologia dei disturbi delle condotte alimentari (DCA)
DE PASCALE, Adele
2007
Abstract
Da una prospettiva cognitivista sistemica, costruttivista e postrazionalista, la sindrome unitaria dei DCA, sia questa clinicamente caratterizzata dalla anoressia, o dalla obesità e/o da BED o altro, viene concettualizzata come l’espressione comportamentale di un vago e indistinto senso di sé che oscilla intorno a confini antagonisti tra il sentirsi legati all’esterno e per questo dipendenti dal giudizio degli altri e dunque bisognosi della loro approvazione, ed un sentirsi legati all’interno percepito come un vuoto al quale corrisponde un senso di inadeguatezza e per questo il timore di essere criticati e assoggettati o invasi, tanto da esprimere la tendenza a modificare il proprio peso corporeo e per questo il proprio comportamento alimentare in corrispondenza di ogni oscillazione emotiva tra le suddette polarità. Da questo punto di vista si evidenziano come centrali per questi pazienti temi quali il giudizio esterno, il perfezionismo, l’immagine di sé, l’autostima fondati essenzialmente sugli altri. A partire dalle prime fasi dello sviluppo, la corretta successione delle sequenze comportamentali relative al cibo consente, ma è anche resa possibile - in una stretta reciprocità - dalla percezione e dal continuo raffinarsi del riconoscimento dei diversi stati interni man mano che essi si differenziano, siano questi propriocettivi (vd. fame, sazietà, sonno) che emotivi (rabbia, paura, gioia, dolore, disgusto, noia, etc.). Le caratteristiche dei genitori sono tra gli aspetti più spesso considerati come aventi un ruolo determinante nella patogenesi dei DCA. Le ricerche sull’ambiente familiare hanno evidenziato il ruolo del comportamento dei genitori come pure il loro comportamento alimentare nel favorire il disturbo nei figli. I genitori offrono un inevitabile modello di apprendimento contribuendo in modo preponderante alla costruzione della qualità dei processi affettivi e di attaccamento nella relazione con la prole. Lo stile di vita familiare, la qualità delle relazioni interpersonali caratterizzate per lo più dalla ambiguità e indefinizione delle espressioni emotive, unite in modo spesso contraddittorio al controllo delle caratteristiche esteriori, sono situazioni che finiscono col creare una condizione di “vuoto” o solitudine affettiva che il bambino percepisce come passivamente imposta. Questa condizione spesso e in modo determinante contribuisce alla genesi di un DCA. Sulla base di queste considerazioni si offrono alcuni cenni ed esempi per l’intervento psicoterapeutico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.