Nelle società contemporanee la violenza di genere (GBV) rappresenta un problema ancora attuale, al centro del dibattito politico e mediale. Rispetto al panorama dei media, in particolare, le piattaforme digitali si configurano come potenti strumenti di condivisione delle esperienze di violenza (Harrington 2020), spazi per la creazione di community di supporto e mezzi utili a diffondere nuove forme di attivismo femminista digitale (Puente, Romero, Cupeiro 2017). Tuttavia, in questi ambienti si perpetuano casi di discriminazione basati sul genere e si sviluppano anche forme di online misogyny (Alichie 2022; Ging, Siapera 2018). Inoltre, le logiche algoritmiche che governano le piattaforme (Hewa 2021) possono influenzare il grado di circolazione e visibilità dei contenuti, rendendo visibili alcune storie a discapito di altre (Fileborn 2019; Fileborn, Trott 2021). Rispetto a simili criticità, il modello teorico-operativo del data activism rappresenta un potenziale strumento di contrasto, configurandosi come insieme di pratiche socio-tecniche di attivismo e impegno civico basate su logiche partecipative bottom-up (Milan, Gutiérrez 2015). Il modello, infatti, tramite strumenti quali crowdsourced open data e cartografia interattiva – utilizzati per gestire operazioni di emergenza e soccorso (Meier 2015) – contribuisce a produrre immaginari contro-egemonici in cui i dati rispondono a scopi emancipatori (Milan, van der Velden 2016) e si pone come precursore di un emergente "umanitarismo digitale" (Gutiérrez 2018). Alla luce di ciò, il presente contributo intende presentare i risultati di una ricerca volta a mappare le iniziative di data activism nate per contrastare la GBV a livello internazionale, rilevandone caratteristiche, finalità, livelli di diffusione e modalità operative, con un focus specifico sul contesto nazionale. A livello internazionale, è stata rilevata l’esistenza di quattro case studies: Safecity (Adams et al. 2021); l’Índice nacional de violencia machista (Chenou, Cepeda-Másmela 2019); Hollaback! (Wånggren 2016) e HarassMap (Cochrane et al. 2019). Essi promuovono diverse attività, tra cui la creazione di "mappe della violenza" co-costruite in crowdsourcing attraverso le segnalazioni condivise da vittime e testimoni. A queste si aggiungono attività di supporto e sensibilizzazione e programmi di educazione e formazione, che vedono il coinvolgimento diretto di cittadini e istituzioni. In ambito nazionale, la mappatura delle iniziative di data activism contro la GBV è in corso. Ad oggi, l’unico case study emerso è Wher (Sciannamblo, Viteritti 2021); il progetto si basa su dati crowdsourced, liberamente condivisi da sole donne, per la costruzione di una mappa interattiva di strade ed itinerari sulla base di quanto questi vengono percepiti sicuri. Tra i primi risultati, emerge però un’aderenza solo parziale dell’iniziativa alle logiche del data activism, in quanto limitata allo strumento dello street mapping e poiché non sembra tradursi in attività di formazione e sensibilizzazione sul territorio. Alla luce di quanto finora osservato, dunque, il data activism sembrerebbe porsi come uno strumento di contrasto alla violenza di genere ancora poco diffuso e conosciuto nel nostro paese.

Il data activism come strumento (in)formativo e bottom-up per contrastare la violenza di genere / Virgilio, Fabio; Carbonari, Maddalena. - (2023). (Intervento presentato al convegno Convegno di metà mandato “Genere, differenze e cambiamento sociale. Educazione, formazione e comunicazione nella società digitale”, AIS, sez. Studi di Genere, 2023 tenutosi a Turin; Italy).

Il data activism come strumento (in)formativo e bottom-up per contrastare la violenza di genere

Fabio Virgilio
Co-primo
Membro del Collaboration Group
;
Maddalena Carbonari
Co-primo
Membro del Collaboration Group
2023

Abstract

Nelle società contemporanee la violenza di genere (GBV) rappresenta un problema ancora attuale, al centro del dibattito politico e mediale. Rispetto al panorama dei media, in particolare, le piattaforme digitali si configurano come potenti strumenti di condivisione delle esperienze di violenza (Harrington 2020), spazi per la creazione di community di supporto e mezzi utili a diffondere nuove forme di attivismo femminista digitale (Puente, Romero, Cupeiro 2017). Tuttavia, in questi ambienti si perpetuano casi di discriminazione basati sul genere e si sviluppano anche forme di online misogyny (Alichie 2022; Ging, Siapera 2018). Inoltre, le logiche algoritmiche che governano le piattaforme (Hewa 2021) possono influenzare il grado di circolazione e visibilità dei contenuti, rendendo visibili alcune storie a discapito di altre (Fileborn 2019; Fileborn, Trott 2021). Rispetto a simili criticità, il modello teorico-operativo del data activism rappresenta un potenziale strumento di contrasto, configurandosi come insieme di pratiche socio-tecniche di attivismo e impegno civico basate su logiche partecipative bottom-up (Milan, Gutiérrez 2015). Il modello, infatti, tramite strumenti quali crowdsourced open data e cartografia interattiva – utilizzati per gestire operazioni di emergenza e soccorso (Meier 2015) – contribuisce a produrre immaginari contro-egemonici in cui i dati rispondono a scopi emancipatori (Milan, van der Velden 2016) e si pone come precursore di un emergente "umanitarismo digitale" (Gutiérrez 2018). Alla luce di ciò, il presente contributo intende presentare i risultati di una ricerca volta a mappare le iniziative di data activism nate per contrastare la GBV a livello internazionale, rilevandone caratteristiche, finalità, livelli di diffusione e modalità operative, con un focus specifico sul contesto nazionale. A livello internazionale, è stata rilevata l’esistenza di quattro case studies: Safecity (Adams et al. 2021); l’Índice nacional de violencia machista (Chenou, Cepeda-Másmela 2019); Hollaback! (Wånggren 2016) e HarassMap (Cochrane et al. 2019). Essi promuovono diverse attività, tra cui la creazione di "mappe della violenza" co-costruite in crowdsourcing attraverso le segnalazioni condivise da vittime e testimoni. A queste si aggiungono attività di supporto e sensibilizzazione e programmi di educazione e formazione, che vedono il coinvolgimento diretto di cittadini e istituzioni. In ambito nazionale, la mappatura delle iniziative di data activism contro la GBV è in corso. Ad oggi, l’unico case study emerso è Wher (Sciannamblo, Viteritti 2021); il progetto si basa su dati crowdsourced, liberamente condivisi da sole donne, per la costruzione di una mappa interattiva di strade ed itinerari sulla base di quanto questi vengono percepiti sicuri. Tra i primi risultati, emerge però un’aderenza solo parziale dell’iniziativa alle logiche del data activism, in quanto limitata allo strumento dello street mapping e poiché non sembra tradursi in attività di formazione e sensibilizzazione sul territorio. Alla luce di quanto finora osservato, dunque, il data activism sembrerebbe porsi come uno strumento di contrasto alla violenza di genere ancora poco diffuso e conosciuto nel nostro paese.
2023
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1697191
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