Dall’espansione araba a Lepanto, passando per le crociate e la Reconquista, il Mediterraneo è stato per secoli il teatro della contrapposizione tra Cristianità ed Islam. Dalla parte finale del Cinquecento gli scontri campali tra i due blocchi lasciarono spazio al “corso mediterraneo”, una condizione di ostilità continua manifestata attraverso la predazione reciproca di navigli che divenne endemica nel Mediterraneo del XVI-XIX secolo. Dal punto di vista dei corsari musulmani, il frutto più ambito di questa tipologia di azione era la cattura di esseri umani da tradurre in schiavitù con lo scopo principale di ottenerne un riscatto; i cristiani, da par loro, impiegavano i musulmani resi schiavi perlopiù come rematori forzati, alimentando anche i fiorenti mercati di uomini presenti in molte città del Mediterraneo. In questo quadro, l’elemento ebraico fu abile ad occupare le fratture e gli spazi esistenti tra il mondo cristiano e quello musulmano, specialmente dopo la diaspora degli ebrei sefarditi causata dall’editto di Granada (1492). La redenzione dei captivi cristiani divenne uno degli ambiti in cui gli ebrei sparpagliatisi nella maggior parte dei principali scali mediterranei si segnalarono come intermediari - ovviamente a fronte di un profitto, in alcuni casi non soltanto economico - favorendo il rientro in patria di migliaia di uomini a fronte di un ingentissimo flusso di denaro destinato alle casse delle reggenze barbaresche.
Controversi quanto indispensabili. Genova e gli ebrei nei meccanismi di riscatto dei captivi nel Mediterraneo moderno / Zappia, A. - (2022), pp. 130-157.
Controversi quanto indispensabili. Genova e gli ebrei nei meccanismi di riscatto dei captivi nel Mediterraneo moderno
Zappia A
2022
Abstract
Dall’espansione araba a Lepanto, passando per le crociate e la Reconquista, il Mediterraneo è stato per secoli il teatro della contrapposizione tra Cristianità ed Islam. Dalla parte finale del Cinquecento gli scontri campali tra i due blocchi lasciarono spazio al “corso mediterraneo”, una condizione di ostilità continua manifestata attraverso la predazione reciproca di navigli che divenne endemica nel Mediterraneo del XVI-XIX secolo. Dal punto di vista dei corsari musulmani, il frutto più ambito di questa tipologia di azione era la cattura di esseri umani da tradurre in schiavitù con lo scopo principale di ottenerne un riscatto; i cristiani, da par loro, impiegavano i musulmani resi schiavi perlopiù come rematori forzati, alimentando anche i fiorenti mercati di uomini presenti in molte città del Mediterraneo. In questo quadro, l’elemento ebraico fu abile ad occupare le fratture e gli spazi esistenti tra il mondo cristiano e quello musulmano, specialmente dopo la diaspora degli ebrei sefarditi causata dall’editto di Granada (1492). La redenzione dei captivi cristiani divenne uno degli ambiti in cui gli ebrei sparpagliatisi nella maggior parte dei principali scali mediterranei si segnalarono come intermediari - ovviamente a fronte di un profitto, in alcuni casi non soltanto economico - favorendo il rientro in patria di migliaia di uomini a fronte di un ingentissimo flusso di denaro destinato alle casse delle reggenze barbaresche.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.