L’industria è stata il motore primo e il privilegiato luogo di sperimentazione del Moderno sulla spinta delle innovazioni che venivano dal nuovo mondo dell’ingegneria. Il riflesso di tre secoli di conquiste scientifiche, innovazioni tecnologiche, introduzione di materiali sperimentali è ben presente nei luoghi della produzione che spesso per primi videro adottare, con schiettezza e audacia, nuovi modelli tipologici (funzionali ai processi produttivi), nuove discipline per la comprensione delle strutture (la scienza delle costruzioni) e i nuovi materiali (innanzitutto la ghisa, l’acciaio, il vetro e il cemento armato). Società e territorio abitato hanno subìto radicali trasformazioni che, nelle loro contraddizioni, rispecchiano compiutamente l’opposizione tra la realtà del nuovo benessere, introdotto dalla diminuzione della fatica, dall’aumento della produzione, dell’igiene, dei servizi, della nutrizione, e la realtà delle cocenti criticità sociali e ambientali. Ci volle tutto l’Ottocento perché la sensibilità verso tali contraddizioni si facesse gradualmente crescente e sfociasse nei primi provvedimenti sistematici anche se solo parzialmente risolutivi. Nel frattempo, la fabbrica cresce e nei contenuti, nei tipi e nell’immagine, si pone alla base della rivoluzione estetica e formale rappresentata, oggi, dal patrimonio del Novecento. Il patrimonio industriale del XX secolo è perciò innanzitutto un patrimonio plurale che include diverse fasi, innovazioni, rivoluzioni e insospettabili continuità storico-economiche. Ci si muove tra eccellenze di sito ed evidenze corali ed esse possono essere esplorate solo assorbendo, dal mondo dell’Archeologia Industriale, quella consuetudine al lavoro interdisciplinare promossa da venticinque anni a questa parte da AIPAI. Una operazione come quella del presente volume è basata proprio sulla consapevolezza che non esiste un prontuario di soluzioni, ma ci si confronta con una permanente ricerca gnoseologica e metodologica. L’indirizzo è quello segnalato da Fontana nel presentare l’esperienza della Zecca di Roma, ove si cerca di dare risposta «ad una domanda di memoria che interpella tanto gli storici quanto i progettisti. Per i primi si tratta di trasformarla in storia, integrando le testimonianze materiali e immateriali di uno specifico settore in una storia dell’industrializzazione capace di combinare insieme tutti gli aspetti tecnici, economici, culturali e sociali. Per i secondi la questione è innanzitutto comprendere meglio il passato industriale e di attribuire una motivata scala di valori alle sue testimonianze. Per raggiungere questo obiettivo occorre incrociare le fonti scritte, cartografiche, iconografiche, fotografiche, ecc, con le indagini sul campo e le testimonianze fornite dagli attori, con metodi d’indagine diversi e complementari». E gli strumenti? A valle del lavoro comune – come è noto le introduzioni si redigono al termine – si ritiene che siano ancora ben valide le quattro parole chiave a suo tempo poste alla base del dibattito del convegno tenutosi a Biella: heritage telling, creative factory, temporary use e business model. Con quelle di questo terzo volume formano un vocabolario del patrimonio industriale che AIPAI si impegna a rendere sempre più ricco e funzionale agli operatori, al patrimonio culturale e alle comunità.
Introduzione. Patrimonio Industriale del XX Secolo / Curra', Edoardo; Cristina, Natoli; Ramello, Manuel. - (2022), pp. 12-15.
Introduzione. Patrimonio Industriale del XX Secolo
Edoardo Curra';Manuel Ramello
2022
Abstract
L’industria è stata il motore primo e il privilegiato luogo di sperimentazione del Moderno sulla spinta delle innovazioni che venivano dal nuovo mondo dell’ingegneria. Il riflesso di tre secoli di conquiste scientifiche, innovazioni tecnologiche, introduzione di materiali sperimentali è ben presente nei luoghi della produzione che spesso per primi videro adottare, con schiettezza e audacia, nuovi modelli tipologici (funzionali ai processi produttivi), nuove discipline per la comprensione delle strutture (la scienza delle costruzioni) e i nuovi materiali (innanzitutto la ghisa, l’acciaio, il vetro e il cemento armato). Società e territorio abitato hanno subìto radicali trasformazioni che, nelle loro contraddizioni, rispecchiano compiutamente l’opposizione tra la realtà del nuovo benessere, introdotto dalla diminuzione della fatica, dall’aumento della produzione, dell’igiene, dei servizi, della nutrizione, e la realtà delle cocenti criticità sociali e ambientali. Ci volle tutto l’Ottocento perché la sensibilità verso tali contraddizioni si facesse gradualmente crescente e sfociasse nei primi provvedimenti sistematici anche se solo parzialmente risolutivi. Nel frattempo, la fabbrica cresce e nei contenuti, nei tipi e nell’immagine, si pone alla base della rivoluzione estetica e formale rappresentata, oggi, dal patrimonio del Novecento. Il patrimonio industriale del XX secolo è perciò innanzitutto un patrimonio plurale che include diverse fasi, innovazioni, rivoluzioni e insospettabili continuità storico-economiche. Ci si muove tra eccellenze di sito ed evidenze corali ed esse possono essere esplorate solo assorbendo, dal mondo dell’Archeologia Industriale, quella consuetudine al lavoro interdisciplinare promossa da venticinque anni a questa parte da AIPAI. Una operazione come quella del presente volume è basata proprio sulla consapevolezza che non esiste un prontuario di soluzioni, ma ci si confronta con una permanente ricerca gnoseologica e metodologica. L’indirizzo è quello segnalato da Fontana nel presentare l’esperienza della Zecca di Roma, ove si cerca di dare risposta «ad una domanda di memoria che interpella tanto gli storici quanto i progettisti. Per i primi si tratta di trasformarla in storia, integrando le testimonianze materiali e immateriali di uno specifico settore in una storia dell’industrializzazione capace di combinare insieme tutti gli aspetti tecnici, economici, culturali e sociali. Per i secondi la questione è innanzitutto comprendere meglio il passato industriale e di attribuire una motivata scala di valori alle sue testimonianze. Per raggiungere questo obiettivo occorre incrociare le fonti scritte, cartografiche, iconografiche, fotografiche, ecc, con le indagini sul campo e le testimonianze fornite dagli attori, con metodi d’indagine diversi e complementari». E gli strumenti? A valle del lavoro comune – come è noto le introduzioni si redigono al termine – si ritiene che siano ancora ben valide le quattro parole chiave a suo tempo poste alla base del dibattito del convegno tenutosi a Biella: heritage telling, creative factory, temporary use e business model. Con quelle di questo terzo volume formano un vocabolario del patrimonio industriale che AIPAI si impegna a rendere sempre più ricco e funzionale agli operatori, al patrimonio culturale e alle comunità.File | Dimensione | Formato | |
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Note: copertina, frontespizio, sommario e introduzione al volume Patrimonio industriale al XX secolo
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