Il concetto di soft power, elaborato da Joseph Nye alla fine degli anni Ottanta, ha avuto uno straordinario successo, conquistando l’attenzione dell’opinione pubblica sino a diventare un elemento fondamentale per descrivere la proiezione di uno Stato al di fuori dei propri confini. Nella Repubblica Popolare Cinese (RPC) il primo articolo scientifico dedicato al concetto apparve solo nel 1993 ma in breve tempo le ricerche sull’argomento si moltiplicarono rapidamente. Il concetto viene rielaborato dagli studiosi cinesi. Dall’originale definizione di Nye che lo intende come capacità di creare consenso attraverso la persuasione, nell’interpretazione influenzata dalla cultura confuciana il soft power diventa la capacità di generare conformità in una società attraverso l’esempio morale. Per il Partito Comunista Cinese (PCC) la prospettiva di influenzare il mondo esterno attraverso la millenaria cultura cinese rappresenta la possibilità di offrire un’interpretazione alternativa a quella di Washington. Una sfida che ambisce a creare un sistema di riferimento culturale con specificità peculiari, ossia con caratteristiche cinesi1. Secondo Deng quando una potenza emergente cerca di sviluppare, ed esercitare, le risorse di soft power, la percezione del suo orientamento politico revisionista diminuirà notevolmente. Pechino, quindi, sviluppa il proprio ‘potere di persuasione’ per rendere più agevole la transizione verso la revisione dello status quo. L’analisi del soft power statunitense verso la RPC deve tenere conto della ridefinizione dei confini ideologici della storia e della cultura cinese portata avanti da Pechino. Esso appare fortemente limitato dalle restrizioni del governo cinese, Google, Facebook, Twitter e Netflix – tra gli altri – non sono accessibili in Cina, i principali siti di informazione sono bloccati mentre molte applicazioni non sono disponibili nel territorio della RPC. Ognuno dei servizi elencati ha un corrispettivo cinese, alcune applicazioni popolari sono state ideate proprio in Cina e poi esportate all’estero. La Cina, oltre ad aver sviluppato un controllo sulle infrastrutture digitali, ha favorito, attraverso un consistente finanziamento statale, la nascita di un ecosistema digitale basato su una profonda integrazione tra social media, una vasta gamma di servizi e un network relazionale tra i vari utenti. La sfida alla proiezione statunitense ha poi intaccato le stesse fonti primarie del soft power di Washington, come il cinema. La capacità delle pellicole statunitensi di scolpire in maniera indelebile l’immaginario collettivo è innegabile. La presenza consistente di capitali cinesi nella filiera cinematografica statunitense ha determinato un deciso spostamento nella narrazione hollywoodiana sulla Cina. Gli attori di origine cinese sono sempre più numerosi nei prodotti filmici statunitensi e l’attenzione nei confronti dei temi sensibili al PCC è molto alta. Nel 2020, il mercato cinematografico della RPC ha superato quello del Nord America ma non si tratta esclusivamente di una censura preventiva per conquistare il pubblico cinese. L’intero comparto cinematografico statunitense ha adattato i contenuti per non creare conflitti con le case di produzione finanziate da capitali cinesi. Anche altre fonti del soft power statunitense, come sport e musica, hanno seguito dei percorsi simili. Attraverso la pratica del boicottaggio, una dinamica ricorrente del nazionalismo in Cina sin dall’inizio del XX secolo (Wang, 2006), e la mobilitazione della blogsfera ogni presa di posizione contraria agli orientamenti del PCC viene sanzionata con l’esclusione dal mercato della RPC. Le convinzioni dei singoli possono modificare l’azione di un attore politico ma l’elemento comunicativo è essenziale per generare le risorse immateriali alla base del concetto elaborato da Nye. Le principali critiche al soft power vertono sull’incoerenza logica legata alla dipendenza dalla struttura teorizzata da Habermas in cui l’azione comunicativa trasmette la conoscenza culturale all’interno di una dinamica di comprensione reciproca. Ossia per funzionare veramente il soft power ha bisogno di valori condivisi ma il percorso di Pechino per riformulare i confini ideologici della nazione cinese, le sfide nei confronti delle fonti del soft power americano e le inevitabili conseguenze della guerra commerciale tra i due Paesi sull’opinione pubblica cinese hanno allontanato i rispettivi universi valoriali. L’azione sui media internazionali per diffondere un’immagine positiva della Cina è stata ampiamente descritta. Per la prima volta gli Stati Uniti si confrontano in una sfida per l’influenza dell’opinione pubblica. Al di là dei risultati conseguiti l’attenzione nei confronti del potere discorsivo (huayu quan) evidenzia la capacità della Repubblica Popolare Cinese di organizzare una strategia di diplomazia pubblica coerente e diretta a contrastare la proiezione statunitense nel mondo.

Public diplomacy e soft power americano verso la Repubblica Popolare Cinese / Pelaggi, Stefano. - (2022), pp. 185-195.

Public diplomacy e soft power americano verso la Repubblica Popolare Cinese

Stefano Pelaggi
2022

Abstract

Il concetto di soft power, elaborato da Joseph Nye alla fine degli anni Ottanta, ha avuto uno straordinario successo, conquistando l’attenzione dell’opinione pubblica sino a diventare un elemento fondamentale per descrivere la proiezione di uno Stato al di fuori dei propri confini. Nella Repubblica Popolare Cinese (RPC) il primo articolo scientifico dedicato al concetto apparve solo nel 1993 ma in breve tempo le ricerche sull’argomento si moltiplicarono rapidamente. Il concetto viene rielaborato dagli studiosi cinesi. Dall’originale definizione di Nye che lo intende come capacità di creare consenso attraverso la persuasione, nell’interpretazione influenzata dalla cultura confuciana il soft power diventa la capacità di generare conformità in una società attraverso l’esempio morale. Per il Partito Comunista Cinese (PCC) la prospettiva di influenzare il mondo esterno attraverso la millenaria cultura cinese rappresenta la possibilità di offrire un’interpretazione alternativa a quella di Washington. Una sfida che ambisce a creare un sistema di riferimento culturale con specificità peculiari, ossia con caratteristiche cinesi1. Secondo Deng quando una potenza emergente cerca di sviluppare, ed esercitare, le risorse di soft power, la percezione del suo orientamento politico revisionista diminuirà notevolmente. Pechino, quindi, sviluppa il proprio ‘potere di persuasione’ per rendere più agevole la transizione verso la revisione dello status quo. L’analisi del soft power statunitense verso la RPC deve tenere conto della ridefinizione dei confini ideologici della storia e della cultura cinese portata avanti da Pechino. Esso appare fortemente limitato dalle restrizioni del governo cinese, Google, Facebook, Twitter e Netflix – tra gli altri – non sono accessibili in Cina, i principali siti di informazione sono bloccati mentre molte applicazioni non sono disponibili nel territorio della RPC. Ognuno dei servizi elencati ha un corrispettivo cinese, alcune applicazioni popolari sono state ideate proprio in Cina e poi esportate all’estero. La Cina, oltre ad aver sviluppato un controllo sulle infrastrutture digitali, ha favorito, attraverso un consistente finanziamento statale, la nascita di un ecosistema digitale basato su una profonda integrazione tra social media, una vasta gamma di servizi e un network relazionale tra i vari utenti. La sfida alla proiezione statunitense ha poi intaccato le stesse fonti primarie del soft power di Washington, come il cinema. La capacità delle pellicole statunitensi di scolpire in maniera indelebile l’immaginario collettivo è innegabile. La presenza consistente di capitali cinesi nella filiera cinematografica statunitense ha determinato un deciso spostamento nella narrazione hollywoodiana sulla Cina. Gli attori di origine cinese sono sempre più numerosi nei prodotti filmici statunitensi e l’attenzione nei confronti dei temi sensibili al PCC è molto alta. Nel 2020, il mercato cinematografico della RPC ha superato quello del Nord America ma non si tratta esclusivamente di una censura preventiva per conquistare il pubblico cinese. L’intero comparto cinematografico statunitense ha adattato i contenuti per non creare conflitti con le case di produzione finanziate da capitali cinesi. Anche altre fonti del soft power statunitense, come sport e musica, hanno seguito dei percorsi simili. Attraverso la pratica del boicottaggio, una dinamica ricorrente del nazionalismo in Cina sin dall’inizio del XX secolo (Wang, 2006), e la mobilitazione della blogsfera ogni presa di posizione contraria agli orientamenti del PCC viene sanzionata con l’esclusione dal mercato della RPC. Le convinzioni dei singoli possono modificare l’azione di un attore politico ma l’elemento comunicativo è essenziale per generare le risorse immateriali alla base del concetto elaborato da Nye. Le principali critiche al soft power vertono sull’incoerenza logica legata alla dipendenza dalla struttura teorizzata da Habermas in cui l’azione comunicativa trasmette la conoscenza culturale all’interno di una dinamica di comprensione reciproca. Ossia per funzionare veramente il soft power ha bisogno di valori condivisi ma il percorso di Pechino per riformulare i confini ideologici della nazione cinese, le sfide nei confronti delle fonti del soft power americano e le inevitabili conseguenze della guerra commerciale tra i due Paesi sull’opinione pubblica cinese hanno allontanato i rispettivi universi valoriali. L’azione sui media internazionali per diffondere un’immagine positiva della Cina è stata ampiamente descritta. Per la prima volta gli Stati Uniti si confrontano in una sfida per l’influenza dell’opinione pubblica. Al di là dei risultati conseguiti l’attenzione nei confronti del potere discorsivo (huayu quan) evidenzia la capacità della Repubblica Popolare Cinese di organizzare una strategia di diplomazia pubblica coerente e diretta a contrastare la proiezione statunitense nel mondo.
2022
Come difendere l’ordine liberale
9788834350393
Soft Power; Proiezione statunitense nella Repubblica Popolare cinese; Public Diplomacy
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Public diplomacy e soft power americano verso la Repubblica Popolare Cinese / Pelaggi, Stefano. - (2022), pp. 185-195.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1685631
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