La dimensione esperienziale attraverso la quale la neo-fenomenologia interpreta e decodifica le valenze dello ‘spazio dell’abitare’, suggerisce oggi di ribaltare la prospettiva da cui osservare i temi della progettazione - dalla scala urbana a quella architettonica - e di considerare lo spazio fisico del nostro abitare non tanto in termini di consistenza materiale ma per la risposta affettiva che esso genera sulle persone. L’architetto si scopre dunque sempre più impegnato nello sforzo di comprendere il valore di un luogo più per la capacità di generare reazioni affettive in chi li abita che per le caratteristiche figurative, storiche, estetiche o culturali che lo contraddistinguono. Impropriamente accolto quale spostamento da una dimensione ermeneutica fondata sui valori ‘materiali’ ad un’altra impegnata a riconoscere valori immateriali, questa diversa condizione tenta di attrezzarsi con strumenti adatti a cogliere la complessità del vivere contemporaneo per stabilire che cosa di fatto serva all’uomo per dar forma al proprio riparo. Nel tentativo, oggi sembra avere più successo non tanto il processo progettuale induttivo - il progetto tout court - quanto quello deduttivo, cioè la comprensione dei fenomeni che definiscono la qualità di un habitat, naturale o urbano che sia, collettivo oppure individuale, pubblico o privato, per adire ad una loro preservazione nel tempo. Si spiega così - da un lato - il successo che sta conoscendo il campo del ‘patrimonio culturale’ inteso in senso tanto ampio da includere il retaggio - remoto e recente - della vita dell’uomo sulla terra, senza distinzioni geo-culturali; ma dall’altro s’intuisce anche la perdita di riferimenti univoci per decodificare ciò che effettivamente lega l’individuo al suo spazio. In questo contesto, il terremoto che ha colpito il Centro Italia fra il 2016 e il 2017 ha scoperto la punta di un iceberg d’incertezze, mettendo a nudo la necessità di volgere lo sguardo al di là delle (pur inevitabili) premesse tecnico-scientifico di una auspicabile ricostruzione, per offrire una risposta credibile a chi ha drammaticamente perduto il proprio spazio affettivo. Ecco, dunque, perché le molteplici voci che provengono ‘dal basso’, da chi ha perso non soltanto la casa ma anche i punti cardinali di un’affettività radicata nel tempo e stratificatasi sui luoghi e sulle cose, esprimono tale perdita molto meglio di qualsiasi mappatura tradizionale fondata sulla lettura del territorio. Raccontare - anche solo tassonomicamente - le diverse voci di quanti hanno esperito la perdita, espresse attraverso la letteratura, la filmografia, l’arte figurativa, la musica, la comunicazione in rete, restituisce ricchezza e forza della reazione affettiva che, più d’ogni altro stimolo intellettuale o culturale, consente di tracciare l’orizzonte della sfera valoriale contemporanea.
Ricostruire e riabitare dopo l'evento / Salvo, Simona Maria Carmela. - (2022), pp. 23-37.
Ricostruire e riabitare dopo l'evento
Simona Maria SALVO
2022
Abstract
La dimensione esperienziale attraverso la quale la neo-fenomenologia interpreta e decodifica le valenze dello ‘spazio dell’abitare’, suggerisce oggi di ribaltare la prospettiva da cui osservare i temi della progettazione - dalla scala urbana a quella architettonica - e di considerare lo spazio fisico del nostro abitare non tanto in termini di consistenza materiale ma per la risposta affettiva che esso genera sulle persone. L’architetto si scopre dunque sempre più impegnato nello sforzo di comprendere il valore di un luogo più per la capacità di generare reazioni affettive in chi li abita che per le caratteristiche figurative, storiche, estetiche o culturali che lo contraddistinguono. Impropriamente accolto quale spostamento da una dimensione ermeneutica fondata sui valori ‘materiali’ ad un’altra impegnata a riconoscere valori immateriali, questa diversa condizione tenta di attrezzarsi con strumenti adatti a cogliere la complessità del vivere contemporaneo per stabilire che cosa di fatto serva all’uomo per dar forma al proprio riparo. Nel tentativo, oggi sembra avere più successo non tanto il processo progettuale induttivo - il progetto tout court - quanto quello deduttivo, cioè la comprensione dei fenomeni che definiscono la qualità di un habitat, naturale o urbano che sia, collettivo oppure individuale, pubblico o privato, per adire ad una loro preservazione nel tempo. Si spiega così - da un lato - il successo che sta conoscendo il campo del ‘patrimonio culturale’ inteso in senso tanto ampio da includere il retaggio - remoto e recente - della vita dell’uomo sulla terra, senza distinzioni geo-culturali; ma dall’altro s’intuisce anche la perdita di riferimenti univoci per decodificare ciò che effettivamente lega l’individuo al suo spazio. In questo contesto, il terremoto che ha colpito il Centro Italia fra il 2016 e il 2017 ha scoperto la punta di un iceberg d’incertezze, mettendo a nudo la necessità di volgere lo sguardo al di là delle (pur inevitabili) premesse tecnico-scientifico di una auspicabile ricostruzione, per offrire una risposta credibile a chi ha drammaticamente perduto il proprio spazio affettivo. Ecco, dunque, perché le molteplici voci che provengono ‘dal basso’, da chi ha perso non soltanto la casa ma anche i punti cardinali di un’affettività radicata nel tempo e stratificatasi sui luoghi e sulle cose, esprimono tale perdita molto meglio di qualsiasi mappatura tradizionale fondata sulla lettura del territorio. Raccontare - anche solo tassonomicamente - le diverse voci di quanti hanno esperito la perdita, espresse attraverso la letteratura, la filmografia, l’arte figurativa, la musica, la comunicazione in rete, restituisce ricchezza e forza della reazione affettiva che, più d’ogni altro stimolo intellettuale o culturale, consente di tracciare l’orizzonte della sfera valoriale contemporanea.File | Dimensione | Formato | |
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