Il «Wasteocene» delineato da Marco Armiero circoscrive un regime epistemico nel quale il rifiuto è assurto non solo a coinquilino degli spazi urbani ed extraurbani, quanto soprattutto a sostrato concettuale di politiche atte alla naturalizzazione dello sfruttamento repressivo e della subalternità sociale. A ciò si ricollega, in una declinazione culturale e produttiva, la «pathologie du fonctionnel» per come l’ha descritta Lipovetsky (L’empire de l’éphémère, 1987, p. 189), e in generale una valorizzazione dello scarto, dell’antimerce, in sintassi elementale della retorica tardocapitalistica; gli oggetti non servono più, la loro longevità dev’essere la più bassa possibile, in modo tale da non rallentare la macchina del consumo. Allo stesso tempo, la narrarchia che manovra lo scenario politico equipara cose e persone: dietro le vetrine luminose dell’Occidente si cela una discarica abitata da fasce della popolazione globale ritenute sacrificabili, contaminate, avanzate. Armiero auspica così una contronarrazione capace di depurare la tossicità della narrazione egemone: occorre trasformare le relazioni ecologiche in commoning, in infrastrutture ora sociali ora narrative dedite alla condivisione dei beni e al recupero di ciò che è stato escluso. Questo intervento si pone come obiettivo quello di analizzare attraverso una lettura ravvicinata e attenta al momento formale Pulphagus® di Lukha B. Kremo e Corpi di scarto di Elisabetta Bucciarelli; emergeranno così sia la dimensione ontologica e immaginifica del Wasteocene messa in scena dalle opere che, soprattutto, le potenzialità di una «guerriglia narrativa» votata alla costruzione di comunità risanate.
«Ninety percent of everything is (not) crap». Wasteocene e commoning in Corpi di scarto e Pulphagus® / Baratta, Aldo. - (2023). (Intervento presentato al convegno La fantascienza italiana nell’Antropocene tenutosi a Padova, Italia).
«Ninety percent of everything is (not) crap». Wasteocene e commoning in Corpi di scarto e Pulphagus®
Aldo Baratta
2023
Abstract
Il «Wasteocene» delineato da Marco Armiero circoscrive un regime epistemico nel quale il rifiuto è assurto non solo a coinquilino degli spazi urbani ed extraurbani, quanto soprattutto a sostrato concettuale di politiche atte alla naturalizzazione dello sfruttamento repressivo e della subalternità sociale. A ciò si ricollega, in una declinazione culturale e produttiva, la «pathologie du fonctionnel» per come l’ha descritta Lipovetsky (L’empire de l’éphémère, 1987, p. 189), e in generale una valorizzazione dello scarto, dell’antimerce, in sintassi elementale della retorica tardocapitalistica; gli oggetti non servono più, la loro longevità dev’essere la più bassa possibile, in modo tale da non rallentare la macchina del consumo. Allo stesso tempo, la narrarchia che manovra lo scenario politico equipara cose e persone: dietro le vetrine luminose dell’Occidente si cela una discarica abitata da fasce della popolazione globale ritenute sacrificabili, contaminate, avanzate. Armiero auspica così una contronarrazione capace di depurare la tossicità della narrazione egemone: occorre trasformare le relazioni ecologiche in commoning, in infrastrutture ora sociali ora narrative dedite alla condivisione dei beni e al recupero di ciò che è stato escluso. Questo intervento si pone come obiettivo quello di analizzare attraverso una lettura ravvicinata e attenta al momento formale Pulphagus® di Lukha B. Kremo e Corpi di scarto di Elisabetta Bucciarelli; emergeranno così sia la dimensione ontologica e immaginifica del Wasteocene messa in scena dalle opere che, soprattutto, le potenzialità di una «guerriglia narrativa» votata alla costruzione di comunità risanate.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


