Elogio dell'homo faber: l'opera e la permanenza del mondo in Hannah Arendt

The essay is dedicated to the concept of "work" in Hannah Arendt's reflection, for whom the conservation of the world is the specific task of work, that is the activity "which corresponds to the non-natural dimension of human existence". This identifies that domain of the active life aimed at the production of an artificial world of objects, which corresponds to the human condition of homo faber. The manufacture of artifacts such as goods, machines and works of art has the ability to create, according to an incessant, indispensable dynamic, a "common world" among human beings, which, in the face of a natural universe in constant change, represents the framework within which individual men's lives can achieve meaning. The function performed by the work and its product, the human artifice, therefore consists in conferring "an element of permanence and continuity to the limitedness of mortal life and the transience of human time", to the extent that it contributes to the preservation of a set of durable objects, works of art, political institutions, customs, customs, languages ​​- all those elements to which we most commonly refer using the notions of "culture" and "civilization" - which are thus removed from the incessant cycle of consumption connected to the domain of labor. The essay dwells on this "praise of homo faber" - after having retraced the fundamental contribution to the preservation of the world also provided, in Arendt's reflection, by thinking, memory, judgment and narration - to arrive, also going " beyond Arendt”, to outline a “political theory of art”, hypothesizing a sort of co-belonging between art and the existential (political) condition of plurality.

Il saggio è dedicato al concetto di “opera” nella riflessione di Hannah Arendt, per la quale la conservazione del mondo è il compito specifico dell’operare, ovvero dell’attività “che corrisponde alla dimensione non naturale dell’esistenza umana". Ciò identifica quel dominio della vita activa volto alla produzione di un mondo artificiale di oggetti, cui corrisponde la condizione umana dell’homo faber. La fabbricazione di manufatti quali beni, macchine e opere d’arte ha la facoltà di creare, secondo un’incessante, indispensabile dinamica, un “mondo comune” tra gli esseri umani, che, a fronte di un universo naturale in perenne mutamento, rappresenta la cornice entro cui le vite dei singoli uomini possono conseguire significato. La funzione svolta dall’operare e dal suo prodotto, l’artificio umano, consiste, pertanto, nel conferire “un elemento di permanenza e continuità alla limitatezza della vita mortale e alla labilità del tempo umano”, nella misura in cui contribuisce alla conservazione dell’insieme degli ogggetti durevoli, delle opere d’arte, delle istituzioni politiche, dei costumi, delle usanze, delle lingue – ovvero di tutti quegli elementi a cui più comunemente ci riferiamo ricorrendo alle nozioni di “cultura” e di “civiltà” – che sono, in tal modo, sottratti al ciclo incessante del consumo connesso al dominio del lavoro. Il saggio si sofferma su tale “elogio dell’homo faber” – dopo aver ripercorso l’apporto fondamentale alla conservazione del mondo fornito anche, nella riflessione arendtiana, dal pensiero, dalla memoria, dal giudizio e dalla narrazzione – per giungere, andando anche “oltre Arendt”, a delineare una “teoria politica dell’arte”, ipotizzando una sorta di coappartenenza tra arte e condizione esistenziale (politica) della pluralità.