Seconda metà degli anni sessanta del Novecento: un periodo rivoluzionario caratterizzato da attivismo giovanile e mobilitazione sociale, che orientano radicali trasformazioni in senso liberale e progressista, e da profondi mutamenti territoriali, che accompagnano l’affermazione di nuovi valori e costumi, d’inedite modalità di consumo e di modelli di vita alternativi a quello neocapitalista. Nel mezzo di questa temperie culturale, Roberto Menghi propone al pubblico Capanno “Guscio” (1966-1968) e Tenda-casa (1971). Paradigmatici di un modo anticonformista di concepire l’abitare e di prefigurare i processi realizzativi dello spazio confinato, questi progetti rappresentano la risposta dell’architetto designer milanese alle questioni del suo tempo presente e del prossimo futuro. Una risposta insolita ricercata, piuttosto che attraverso una fuga in avanti, tramite un ritorno alle origini per dare, grazie agli strumenti innovativi dell’epoca, una nuova vita, estetica e tecnica, a modi originari, semplici e istintivi di pensare e costruire la casa dell’uomo. Capanno “Guscio” e Tenda-casa evocano forme archetipe dell’abitare e modi informali di vivere. Pur senza porsi come alternative alla produzione industriale di massa, promuovono pratiche di autocostruzione di strutture temporanee per dimore piccole, tuttavia accoglienti e flessibili, che rimandano la memoria ad architetture minori eppure iconiche per il portato di sperimentalità e visione che ancora esprimono, come: il sistema Dymaxion Deployment Unit - D.D.U. (1940-1941) o la Casa a Carbondale (1960) di Buckminster Fuller; la Casa ideale di Gian Luigi Banfi o quella di Lodovico Belgiojoso (1942); il Cabanon (1951) di Le Corbusier, le Pacific Dome di Drop City (1965) o la Capanna Minolina (1960-1962) di Giulio Minoletti. All’interno di questo scenario composito di costruzioni effimere, la cui estetica è indivisibile dall’etica sociale e ambientale, democratica e anticonsumistica che le ispira e le rende tutt’oggi significative, qual è il contributo di Roberto Menghi? Quale lo scarto innovativo, sotto l’aspetto architettonico così come dal punto di vista ingegneristico, riconoscibile in queste sue case effimere? Quale la valenza fisica, sociale e simbolica promossa attraverso questi progetti, a fronte della maggiore libertà e mobilità individuale e collettiva conseguita dagli italiani in quegli anni?
Imparare ad abitare. Capanno "Guscio" e Tenda-casa di Roberto Menghi / Percoco, Maura. - (2023), pp. 98-121.
Imparare ad abitare. Capanno "Guscio" e Tenda-casa di Roberto Menghi
maura, percoco
2023
Abstract
Seconda metà degli anni sessanta del Novecento: un periodo rivoluzionario caratterizzato da attivismo giovanile e mobilitazione sociale, che orientano radicali trasformazioni in senso liberale e progressista, e da profondi mutamenti territoriali, che accompagnano l’affermazione di nuovi valori e costumi, d’inedite modalità di consumo e di modelli di vita alternativi a quello neocapitalista. Nel mezzo di questa temperie culturale, Roberto Menghi propone al pubblico Capanno “Guscio” (1966-1968) e Tenda-casa (1971). Paradigmatici di un modo anticonformista di concepire l’abitare e di prefigurare i processi realizzativi dello spazio confinato, questi progetti rappresentano la risposta dell’architetto designer milanese alle questioni del suo tempo presente e del prossimo futuro. Una risposta insolita ricercata, piuttosto che attraverso una fuga in avanti, tramite un ritorno alle origini per dare, grazie agli strumenti innovativi dell’epoca, una nuova vita, estetica e tecnica, a modi originari, semplici e istintivi di pensare e costruire la casa dell’uomo. Capanno “Guscio” e Tenda-casa evocano forme archetipe dell’abitare e modi informali di vivere. Pur senza porsi come alternative alla produzione industriale di massa, promuovono pratiche di autocostruzione di strutture temporanee per dimore piccole, tuttavia accoglienti e flessibili, che rimandano la memoria ad architetture minori eppure iconiche per il portato di sperimentalità e visione che ancora esprimono, come: il sistema Dymaxion Deployment Unit - D.D.U. (1940-1941) o la Casa a Carbondale (1960) di Buckminster Fuller; la Casa ideale di Gian Luigi Banfi o quella di Lodovico Belgiojoso (1942); il Cabanon (1951) di Le Corbusier, le Pacific Dome di Drop City (1965) o la Capanna Minolina (1960-1962) di Giulio Minoletti. All’interno di questo scenario composito di costruzioni effimere, la cui estetica è indivisibile dall’etica sociale e ambientale, democratica e anticonsumistica che le ispira e le rende tutt’oggi significative, qual è il contributo di Roberto Menghi? Quale lo scarto innovativo, sotto l’aspetto architettonico così come dal punto di vista ingegneristico, riconoscibile in queste sue case effimere? Quale la valenza fisica, sociale e simbolica promossa attraverso questi progetti, a fronte della maggiore libertà e mobilità individuale e collettiva conseguita dagli italiani in quegli anni?File | Dimensione | Formato | |
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