La sensazione che si prova quando si entra a Tor Bella Monaca è quella di essere usciti da Roma. L’intero quartiere si presenta subito alla vista come una zona a sé, così diversa dal resto della città ma soprattutto dal resto del territorio circostante, costituito dalle borgate spontanee degli anni ’50 sviluppatesi senza una logica progettuale e con un tessuto edilizio talmente denso da non aver lasciato alcuno spazio per le attività collettive. Tor Bella Monaca invece lascia spazio alle ampie visuali e al preludio della campagna. Di questa ne assorbe il colore, verde o dorato a seconda delle stagioni, che contrasta fortemente con il grigio dei suoi palazzoni. E’ il quartiere delle mille contraddizioni in cui, oltre ai contrasti cromatici, coesistono diversi modi dell’abitare che si manifestano quotidianamente con azioni criminali da una parte, altre illegali ma percepite come legittime dagli abitanti – basti pensare alle occupazioni abitative da parte di coloro che pur avendo i requisiti non riescono ad ottenere una regolare assegnazione di un alloggio – e innumerevoli pratiche di riscatto, collettive o individuali. Un’articolata trama, in cui si intrecciano diversi vissuti tra loro, cui raramente corrisponde, a livello mediatico, la restituzione di un’immagine così complessa. La rappresentazione dominante del quartiere, cioè il luogo del degrado e dello spaccio di droga, senza che gli sia data la possibilità di essere altro, viene percepita dagli abitanti come una realtà indiscussa e ciò si ripercuote negativamente sull’idea del proprio ambiente di vita influenzando le loro azioni quotidiane. Ecco che allora alla domanda “dove abiti?” si risponde “A Torre Angela” o più genericamente “Sulla Casilina”, celando il disagio che si prova nel dire “A Tor Bella Monaca”. Anche in questo il quartiere è altro rispetto a Roma. Tali dinamiche alimentano processi di autoesclusione e marginalità che spesso inducono gli abitanti a costruirsi il proprio percorso all’interno del quartiere, piuttosto che aprirsi alle possibilità che il resto della città potrebbe offrire. Ma è proprio qui che si mettono in atto pratiche di resistenza che, seppur a volte illegali, restituiscono più di ogni altra componente il coraggio di provare a costruire qualcosa di positivo in un quartiere difficile e stigmatizzato. La creazione di spazi pubblici è spesso esito di occupazioni di strutture abbandonate, recuperate e autogestite per promuovere attività con finalità sociali. I tentativi di cura delle tante aree condominiali spesso si manifestano per poterle sottrarre al degrado e al controllo della criminalità. La costruzione di reti solidali riesce a promuovere occupazione, come ad esempio l’autotassazione per pagare un condomino che si occupi della pulizia delle scale. Sono tutte forme di conquista che da sempre caratterizzano questo luogo dove la ricerca della dignità avviene non attraverso l’ordine imposto ma tramite regole e codici interni che si ritengono condivisi. All’interno di queste esperienze ciò che emerge è la necessità di rivendicare, con caratteristiche spesso conflittuali, spazi e diritti, che nell’ambito della legalità, a Tor Bella Monaca, non sempre si riuscirebbero ad ottenere. In un quartiere di edilizia residenziale pubblica, nato per garantire almeno una forma di diritto, quello dell’abitare, oggi ci si ritrova a dover riconquistare qualsiasi cosa: che sia un alloggio, uno spazio condominiale dove creare dimensione pubblica e socialità o il riconoscimento di una condizione di disagio economico e sociale. E’ a partire da queste riflessioni che per raccontare Tor Bella Monaca abbiamo deciso di farlo attraverso la storia di Valentina, una giovane madre che con fatica e coraggio cerca di lottare per far sì che il suo destino, segnato dai pregiudizi, dalla paura e dai soprusi, non sia lo stesso dei suoi figli, nonostante abbia deciso, ostinatamente, di farli crescere lo stesso a Tor Bella Monaca, perché questo è il suo quartiere e non saprebbe vivere da nessun’altra parte. Un quartiere che non le ha risparmiato nessuna di quelle esperienze per cui è conosciuto: la droga, la violenza, l’abbandono; ma allo stesso tempo le ha dato forme di affetto, speranza e voglia di lottare per se e per un futuro migliore.
Tor Bella Monaca, Roma / Cellamare, Carlo; Montillo, Francesco; Reize, Alekos. - (2019), pp. 86-100.
Tor Bella Monaca, Roma
Cellamare, Carlo;Montillo, Francesco;
2019
Abstract
La sensazione che si prova quando si entra a Tor Bella Monaca è quella di essere usciti da Roma. L’intero quartiere si presenta subito alla vista come una zona a sé, così diversa dal resto della città ma soprattutto dal resto del territorio circostante, costituito dalle borgate spontanee degli anni ’50 sviluppatesi senza una logica progettuale e con un tessuto edilizio talmente denso da non aver lasciato alcuno spazio per le attività collettive. Tor Bella Monaca invece lascia spazio alle ampie visuali e al preludio della campagna. Di questa ne assorbe il colore, verde o dorato a seconda delle stagioni, che contrasta fortemente con il grigio dei suoi palazzoni. E’ il quartiere delle mille contraddizioni in cui, oltre ai contrasti cromatici, coesistono diversi modi dell’abitare che si manifestano quotidianamente con azioni criminali da una parte, altre illegali ma percepite come legittime dagli abitanti – basti pensare alle occupazioni abitative da parte di coloro che pur avendo i requisiti non riescono ad ottenere una regolare assegnazione di un alloggio – e innumerevoli pratiche di riscatto, collettive o individuali. Un’articolata trama, in cui si intrecciano diversi vissuti tra loro, cui raramente corrisponde, a livello mediatico, la restituzione di un’immagine così complessa. La rappresentazione dominante del quartiere, cioè il luogo del degrado e dello spaccio di droga, senza che gli sia data la possibilità di essere altro, viene percepita dagli abitanti come una realtà indiscussa e ciò si ripercuote negativamente sull’idea del proprio ambiente di vita influenzando le loro azioni quotidiane. Ecco che allora alla domanda “dove abiti?” si risponde “A Torre Angela” o più genericamente “Sulla Casilina”, celando il disagio che si prova nel dire “A Tor Bella Monaca”. Anche in questo il quartiere è altro rispetto a Roma. Tali dinamiche alimentano processi di autoesclusione e marginalità che spesso inducono gli abitanti a costruirsi il proprio percorso all’interno del quartiere, piuttosto che aprirsi alle possibilità che il resto della città potrebbe offrire. Ma è proprio qui che si mettono in atto pratiche di resistenza che, seppur a volte illegali, restituiscono più di ogni altra componente il coraggio di provare a costruire qualcosa di positivo in un quartiere difficile e stigmatizzato. La creazione di spazi pubblici è spesso esito di occupazioni di strutture abbandonate, recuperate e autogestite per promuovere attività con finalità sociali. I tentativi di cura delle tante aree condominiali spesso si manifestano per poterle sottrarre al degrado e al controllo della criminalità. La costruzione di reti solidali riesce a promuovere occupazione, come ad esempio l’autotassazione per pagare un condomino che si occupi della pulizia delle scale. Sono tutte forme di conquista che da sempre caratterizzano questo luogo dove la ricerca della dignità avviene non attraverso l’ordine imposto ma tramite regole e codici interni che si ritengono condivisi. All’interno di queste esperienze ciò che emerge è la necessità di rivendicare, con caratteristiche spesso conflittuali, spazi e diritti, che nell’ambito della legalità, a Tor Bella Monaca, non sempre si riuscirebbero ad ottenere. In un quartiere di edilizia residenziale pubblica, nato per garantire almeno una forma di diritto, quello dell’abitare, oggi ci si ritrova a dover riconquistare qualsiasi cosa: che sia un alloggio, uno spazio condominiale dove creare dimensione pubblica e socialità o il riconoscimento di una condizione di disagio economico e sociale. E’ a partire da queste riflessioni che per raccontare Tor Bella Monaca abbiamo deciso di farlo attraverso la storia di Valentina, una giovane madre che con fatica e coraggio cerca di lottare per far sì che il suo destino, segnato dai pregiudizi, dalla paura e dai soprusi, non sia lo stesso dei suoi figli, nonostante abbia deciso, ostinatamente, di farli crescere lo stesso a Tor Bella Monaca, perché questo è il suo quartiere e non saprebbe vivere da nessun’altra parte. Un quartiere che non le ha risparmiato nessuna di quelle esperienze per cui è conosciuto: la droga, la violenza, l’abbandono; ma allo stesso tempo le ha dato forme di affetto, speranza e voglia di lottare per se e per un futuro migliore.File | Dimensione | Formato | |
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Note: Quartieri. Viaggio al centro delle periferie italiane
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