Le fortune capitano, e non sono meriti. E io ho sempre considerato una delle maggiori fortune della mia vita aver conosciuto Franco Venturi nella mia prima adolescenza. Quattordicenne, assistevo con curiosità quasi febbrile alle conversazioni che spesso, nei suoi brevi passaggi romani, Franco Venturi scambiava con Giuseppe Berti, mio padre. Molto di quei discorsi, com’è ovvio, mi sfuggiva, ma non la dinamica. In genere, le conversazioni esordivano sulla Russia, e subito affiorava la speranza, da entrambi condivisa, in un pur piccolo indicatore di cambiamento. Si chiedevano se mai si cominciassero a vedere delle crepe, o addirittura dei cedimenti, in quell’edificio immobile e asfittico; passavano poi a temi settecenteschi per tornare, inevitabilmente, in “Soviezia” (così, a volte, si esprimeva Venturi). Basterebbe questo semplice ricordo ad indicare quanto stretto fosse in Venturi, nella vita e nel suo lavoro di storico, il rapporto fra passione politica e storiografia. Vivevano in lui due ambiti che si illuminavano a vicenda, senza che mai l’uno si assoggettasse all’altro. Da qui, l’estrema limpidezza di entrambi. Da qui, anche, la capacità di tenere insieme dentro di sé la lezione di Croce e quella di Salvemini. Operazione difficile, non foss’altro per il grado di divaricazione politica, e di insofferenza reciproca, manifestato dai due Maestri. A farci da guida nella comprensione del rapporto intellettuale che si andava creando fra il giovane Franco e Croce, c’è un epistolario piccolo ma rivelatore, che si sviluppa negli anni fra il 1937 e il 1950, e che ho avuto il privilegio di curare alcuni anni fa.
Franco Venturi fra storiografia e passione politica: la difficile integrazione di Croce, Salvemini e Giustizia e Libertà / Berti, Silvia. - (2022), pp. 183-214.
Franco Venturi fra storiografia e passione politica: la difficile integrazione di Croce, Salvemini e Giustizia e Libertà
Silvia Berti
2022
Abstract
Le fortune capitano, e non sono meriti. E io ho sempre considerato una delle maggiori fortune della mia vita aver conosciuto Franco Venturi nella mia prima adolescenza. Quattordicenne, assistevo con curiosità quasi febbrile alle conversazioni che spesso, nei suoi brevi passaggi romani, Franco Venturi scambiava con Giuseppe Berti, mio padre. Molto di quei discorsi, com’è ovvio, mi sfuggiva, ma non la dinamica. In genere, le conversazioni esordivano sulla Russia, e subito affiorava la speranza, da entrambi condivisa, in un pur piccolo indicatore di cambiamento. Si chiedevano se mai si cominciassero a vedere delle crepe, o addirittura dei cedimenti, in quell’edificio immobile e asfittico; passavano poi a temi settecenteschi per tornare, inevitabilmente, in “Soviezia” (così, a volte, si esprimeva Venturi). Basterebbe questo semplice ricordo ad indicare quanto stretto fosse in Venturi, nella vita e nel suo lavoro di storico, il rapporto fra passione politica e storiografia. Vivevano in lui due ambiti che si illuminavano a vicenda, senza che mai l’uno si assoggettasse all’altro. Da qui, l’estrema limpidezza di entrambi. Da qui, anche, la capacità di tenere insieme dentro di sé la lezione di Croce e quella di Salvemini. Operazione difficile, non foss’altro per il grado di divaricazione politica, e di insofferenza reciproca, manifestato dai due Maestri. A farci da guida nella comprensione del rapporto intellettuale che si andava creando fra il giovane Franco e Croce, c’è un epistolario piccolo ma rivelatore, che si sviluppa negli anni fra il 1937 e il 1950, e che ho avuto il privilegio di curare alcuni anni fa.File | Dimensione | Formato | |
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