Il volume 9 della Collana F&D dal titolo “Crisi pandemica e instabilità economica. Gli effetti del Covid-19 sui mercati finanziari internazionali” analizza in maniera approfondita e critica gli effetti della crisi pandemica sui mercati finanziari internazionali evidenziando le misure di politica finanziaria e bancaria prese dalle Autorità di supervisione sul sistema finanziario per contenerne gli effetti recessivi sull’economia globale. Il volume apre con il primo capitolo di A. Di Clemente dal titolo “La reazione del sistema finanziario allo shock causato dal Covid-19” in cui si documenta attraverso analisi grafica dettagliata come il 23 marzo del 2020, il maggiore indice azionario globale rappresentativo dei 23 paesi economicamente più avanzati, il MSCI World, abbia registrato una contrazione del 31,8% rispetto al valore di fine 2019, seguìto nella sua performance negativa anche dagli altri indici azionari globali quali il MSCI Emerging Markets e il MSCI All Country World (ACWI). Il 20 marzo del 2020 anche il mercato globale delle obbligazioni, misurato dall’indice Bloomberg Barclays Global-Aggregate Bond Index, che si compone di titoli di debito investment grade sia governativi che corporate negoziati in 24 Paesi, perdeva il 3,9% di valore rispetto a fine 2019. Nello stesso periodo il VIX, l’indice di volatilità implicita delle opzioni sull’indice azionario USA Standard & Poor 500 (SPX) cominciava a salire velocemente esprimendo il sentiment molto negativo degli investitori e le aspettative di un crollo della borsa americana toccando il valore massimo di stress di 82,69 nell’aprile del 2020, livello superiore al valore di 80,86 raggiunto all’apice della crisi finanziaria globale nel gennaio del 2009. Anche il settore bancario europeo ha sofferto gli effetti della crisi da Covid-19 con un calo del sua redditività, già strutturalmente bassa prima dell’insorgere della pandemia. Il rendimento medio del capitale, espresso in termini di redditività del capitale proprio, ROE, degli enti significativi europei è sceso a zero nel secondo trimestre del 2020, dopo aver registrato una netta diminuzione nel primo trimestre dello stesso anno a seguito delle forti riduzioni di valore sui crediti e dei minori proventi da interessi e da provvigioni e commissioni. La debolezza delle banche europee è aggravata dai costi eccessivi derivanti dalle reti di filiali tipicamente troppo estese. Nonostante tali debolezze strutturali, le aspettative circa una tenuta complessiva del sistema bancario europeo a fronte della crisi da covid-19 sono risultate positive sia in seguito all’annuncio della ripresa del pagamento dei dividendi bancari (ad ottobre 2020) che a fronte di un miglioramento della qualità delle attività bancarie, mentre la redditività bancaria dell’area Euro, espressa in termini di ROE, si è mantenuta strutturalmente bassa, soprattutto se confrontata con quella USA e dei Paesi del Nord Europa. Nel primo trimestre dell’anno 2020, il deterioramento delle condizioni economico-finanziarie dei paesi colpiti dalla pandemia ha manifestato i suoi effetti anche nel settore del risparmio gestito. Sia negli USA che in Europa il patrimonio dei fondi comuni di investimento ha subìto una contrazione significativa, rispettivamente del 10% e del 12%, rispetto al dato del primo trimestre del 2019 Per i fondi europei, la contrazione del patrimonio ha riflesso non solo un effetto svalutazione del patrimonio gestito ma anche una calo della raccolta, complessivamente superiore a 100 miliardi di euro. I deflussi dei capitali dai fondi hanno interessato, in prevalenza, i comparti azionario e obbligazionario, mentre il comparto monetario ha continuato a registrare una raccolta netta positiva. La crisi innescata dalla pandemia ha evidenziato la presenza di vulnerabilità nel settore dei fondi specializzati in obbligazioni societarie, causata sia dall’elevato disallineamento tra la liquidità degli attivi e delle passività, che dall’incertezza sul valore dei loro investimenti nelle fasi di stress dei mercati. Le condizioni finanziarie del comparto sono migliorate soprattutto in seguito agli interventi delle autorità monetarie che hanno ristabilito efficacemente il regolare funzionamento dei mercati. Le misure delle banche centrali, in particolare i programmi di acquisto di titoli, hanno contribuito ad accrescere la liquidità nei mercati obbligazionari, riducendo l’incertezza sulla valutazione del patrimonio dei fondi ed il rischio di elevate richieste di rimborso da parte degli investitori. In risposta alla crisi da Covid-19, le autorità di regolamentazione hanno modificato le proprie procedure di stress-testing. Gli esercizi specifici inclusi nei test differiscono dagli esercizi “standard” in termini di caratteristiche principali, come gli obiettivi che si prepongono, il design e le metodologie e la comunicazione. Gli esercizi di stress-testing possono essere utili alle autorità di supervisione finanziaria in due modi: nel breve periodo, possono essere utilizzati per analizzare gli effetti della crisi economica generata dalla pandemia sul settore bancario nel suo complesso; nel lungo periodo, individuate le caratteristiche peculiari dell’attuale crisi, gli stress-test potrebbero consentire azioni di regolamentazione firm-specific su singoli intermediari finanziari particolarmente indeboliti dalla crisi. Il capitolo di E. Montani dal titolo “Stabilità finanziaria e procedure di stress-testing durante la crisi da Covid-19” mira ad analizzare in maniera approfondita le modifiche apportate dalle autorità regolamentari ai propri esercizi di stress-testing rispetto alle procedure tradizionali, allo scopo di cogliere peculiari variazioni del ciclo economico generate dalla crisi da Covid-19 e, dunque, di preservare la stabilità del sistema finanziario. La prima parte del contributo riguarda l’analisi delle prospettive di intervento macroprudenziale per le autorità di vigilanza, sia in termini di policies finanziarie e intervento diretto sui requisiti di capitale e di liquidità creati nella cornice regolamentare di Basilea III, sia in termini di aggiustamenti che le stesse autorità hanno apportato ai propri scenari di stress-testing, al fine di adattarli alle caratteristiche della presente crisi. Nella seconda parte del contributo si analizzano e si confrontano gli approcci di stress-testing di tre specifiche Banche Centrali – la European Central Bank, la Federal Reserve americana e la Bank of England. Il capitolo di F. Braconi “Il fenomeno FinTech e il suo impatto sul sistema bancario” partendo da un’analisi definitoria e concettuale di FinTech, vuole indagare i rischi e le opportunità del fenomeno per il settore bancario. Lo studio evidenzia come il fenomeno sia in costante crescita a livello mondiale (KPMG, 2020, 2021) con un valore degli investimenti pari a 105.3 miliardi di dollari nel 2020 accelerato dalla crisi pandemica da Covid-19 che ha intensificato la fornitura a distanza di servizi finanziari. Il contributo si sofferma anche sulle potenziali minacce che questo fenomeno comporta per il settore bancario in cui emerge la dicotomia tra i rischi nuovi c.d “emergenti” e i rischi tradizionalmente intesi. Tra i rischi emergenti si evidenzia il rischio strategico e i rischi operativi, tra quelli tradizionalmente intesi quello sistemico e di (non) conformità. Fintech complessivamente rappresenta un rischio strategico effettivo per il settore bancario perché lede la posizione monopolistica degli istituti finanziari tradizionali. D’altro canto il settore bancario presenta un vantaggio competitivo sulle FinTech per via delle relazioni stabili e durature con la clientela e grazie alle c.d. soft information, ovvero competenze finanziarie altamente specializzate e settoriali come la corporate finance e la ristrutturazione aziendale, estranee al mondo FinTech. Il capitolo di G. Mariani “La finanza sostenibile: verso una migliore definizione e valutazione dell’impatto dei fattori ESG” ha come obiettivo quello di approfondire il ruolo della finanza verde nel processo di transizione dell’economia mondiale verso la neutralità climatica entro il 2050. Lo studio offre un approfondimento circa il Regolamento europeo sulla Tassonomia delle attività eco-compatibili, volto a classificare le attività economiche che possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale. Una chiara e completa definizione delle attività sostenibili rappresenta un punto di partenza fondamentale non solo come segnale del perseguimento degli obiettivi desiderati, ma anche come effettivo strumento per la concretizzazione degli obiettivi stessi di sostenibilità. Il capitolo esamina gli effetti che i cambiamenti climatici comportano per l’economia in termini di rischi fisici e di transizione, fattori che devono essere presi in considerazione nella valutazione del rischio ESG (ambientale, sociale e di governo) per una società e per le sue conseguenze finanziarie nel lungo periodo. A tal fine viene svolta una interessante rassegna della letteratura scientifica circa la relazione tra fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) e performance dei portafogli degli investitori, accompagnata da un’analisi empirica che pone a confronto i rendimenti dei fondi sostenibili con quelli tradizionali e da un’analisi del ruolo degli investimenti sostenibili durante la recente crisi pandemica. Nel primo trimestre 2021, il 51% dei flussi verso i fondi comuni di investimento e gli Exchange Traded Funds europei è confluito nelle strategie attente ai fattori ESG, con un incremento del 18% rispetto a fine 2020. Il trend è guidato dall’ampliamento dell’offerta di strumenti sostenibili e dal crescente interesse degli investitori per le questioni ambientali e sociali a seguito della pandemia, che ha messo in luce l’importanza di modelli aziendali resilienti. Ricordiamo come l’Europa si sia impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e un abbattimento del 55 per cento delle emissioni di gas serra (rispetto a quelle del 1990) entro il 2030; si stima che per raggiungere questo obiettivo occorrano, nel periodo 2021-2030, investimenti annui addizionali in energie pulite per circa 350 miliardi di euro. Ciò richiede un forte impegno da parte dei governi nazionali, ma anche degli operatori della finanza e delle autorità di regolamentazione e di vigilanza. Poiché i rischi legati al clima si manifestano in forme già note e regolamentate (rischio di credito, mercato, operativo, liquidità, reputazione, strategico), il sistema regolamentare basato sui Tre Pilastri degli standard di Basilea dovrebbe essere in grado di gestirli correttamente. Ulteriori analisi sono tuttavia in corso per meglio valutare alcune caratteristiche (irreversibilità, pervasività e materializzazione in orizzonti temporali lunghi) che, pur non essendo uniche ai rischi climatici, li rendono difficili da misurare e gestire. I lavori sono complicati da carenze nei dati e nelle metodologie. La Banca centrale europea (2020) ha identificato i rischi climatici e ambientali tra i principali fattori di rischio nella mappa dei rischi del Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) per la stabilità del sistema bancario dell’area euro. Il capitolo di A. Di Clemente “Stabilità bancaria e gestione dei rischi ambientali sistemici: scelte di policy” si pone come obiettivo quello di analizzare come i rischi fisici e i rischi di transizione, fattori preponderanti dei rischi climatici e ambientali, possano alimentare i tradizionali rischi bancari attualmente regolamentati dal framework di Basilea. Il capitolo evidenzia come la stima delle perdite dei portafogli bancari associate ai rischi climatici sia resa complessa dalle lacune sui dati, dalla necessità di dati sufficientemente granulari, dall’orizzonte temporale potenzialmente più lungo per la manifestazione di tale tipologia di rischi e dall’imprevedibilità dei cambiamenti climatici. Inoltre, è fondamentale esaminare in quale misura i rischi finanziari legati al clima possano essere affrontati adeguatamente nell'ambito dell'attuale quadro di Basilea articolato nei tre Pilastri della regolamentazione, vigilanza e informativa per il sistema bancario, identificando potenziali lacune all’interno dell'attuale framework e valutando possibili misure per affrontarle. Per esempio, un'opzione che potrebbe essere adottata dalle Autorità di vigilanza bancaria è l'adozione di un “green factor” o "fattore di supporto verde", che potrebbe essere preso in considerazione nella determinazione dei pesi di rischio delle attività bancarie abbassandoli in caso di esposizione a settori o investimenti verdi. Questa scelta (non da tutti condivisa) da parte dei regolatori potrebbe tradursi in un'opportunità per le banche di ridurre i propri requisiti patrimoniali. Il contributo sottolinea come un’eventuale sottostima del rischio di transizione da parte delle Autorità di supervisione potrebbe minare la stabilità dell’intero sistema finanziario. Infatti, data la rilevanza dei settori coinvolti e la pervasività dei prodotti energetici, un improvviso calo nel valore delle riserve e delle infrastrutture connesse, potrebbe innescare una corsa alla cessione dei titoli delle società energetiche con conseguenze che potrebbero incidere negativamente sulla crescita economica globale (come è successo con le imprese finanziarie esposte al settore dei mutui sub-prime nel corso dell’ultima grande crisi finanziaria che ha portato alla Grande recessione del 2009). Inoltre, la transizione verso un’economia più sostenibile porterà probabilmente ad un aumento dei prezzi, in quanto le politiche climatiche richiedono l’impiego di fonti energetiche alternative al momento più costose. Poiché la domanda di energia è nel breve termine inelastica, un brusco aumento dei prezzi dell’energia potrebbe accrescere la vulnerabilità finanziaria delle imprese e delle famiglie, attraverso la maggiore spesa che queste dovranno sostenere per l’acquisto dei beni energetici. Inoltre, gli effetti delle svalutazioni degli strumenti finanziari più esposti al rischio di transizione si rifletteranno principalmente sugli investitori con maggiori impieghi in tali strumenti, in particolare i fondi di investimento e i fondi pensione e attraverso questi sui singoli risparmiatori. Nello studio dei canali di trasmissione dei rischi ambientali ai rischi finanziari non possono sottovalutarsi gli effetti di contagio dovuti alle strette interconnessioni tra gli intermediari finanziari e tra questi ed i settori e le aree geografiche esposte (ad esempio per gli investimenti in banche e assicurazioni che prestano fondi o assicurano imprese esposte ai rischi climatici). I rischi fisici e di transizione influiscono inoltre sulla capacità di tenuta del modello di business dell’intermediario nel medio e lungo periodo, soprattutto per gli enti con un modello imprenditoriale basato su settori e mercati particolarmente vulnerabili ai rischi climatici e ambientali. E’ quindi interessante investigare quali strategie aziendali verranno seguite dalle banche. Sono probabili due possibili approcci da parte delle banche: l’elusione del rischio attraverso l’esclusione dei settori carbon-intensive o la “mitigazione del rischio” sostenendo e incoraggiando i clienti esistenti verso la transizione ecologica. Gli intermediari potrebbero, ad esempio, fissare il tasso di interesse applicato ai prestiti sostenibili ad un livello coerente con la maggiore resilienza verso tali rischi. Inoltre, per le banche che concedono prestiti sostenibili, il processo di adeguamento del tasso di interesse potrebbe essere collegato al conseguimento di obiettivi di sostenibilità da parte del cliente in un periodo di tempo predefinito durante il quale l’esposizione ai rischi climatici e ambientali si riduce. Nell’analisi del rischio di credito gli intermediari dovrebbero definire rating o indicatori generali di rischio opportuni per le proprie controparti che tengano conto dei rischi climatici e ambientali. Nell’ambito delle procedure di classificazione del rischio, dovrebbero individuare i prenditori che potrebbero essere esposti, in modo diretto o indiretto, a maggiori rischi climatici e ambientali. Le esposizioni critiche nei confronti di tali rischi andrebbero poste in evidenza e, eventualmente, considerate nell’ambito di vari scenari allo scopo di assicurare la capacità di valutare e introdurre tempestivamente eventuali misure di attenuazione adeguate, anche concernenti la determinazione del prezzo del credito. Anche a tale riguardo, sarà strategica la scelta di policy effettuata dalle Autorità di Supervisione in termini di sostegno e di incoraggiamento dell’intermediario finanziario ad adottare un approccio volto alla mitigazione dei rischi ambientali e climatici e non all’elusione di questi rischi.  

"Crisi pandemica e instabilità economica. Gli effetti del Covid-19 sui mercati finanziari internazionali" / DI CLEMENTE, Annalisa. - (2022), pp. 1-170.

"Crisi pandemica e instabilità economica. Gli effetti del Covid-19 sui mercati finanziari internazionali"

Annalisa Di Clemente
Supervision
2022

Abstract

Il volume 9 della Collana F&D dal titolo “Crisi pandemica e instabilità economica. Gli effetti del Covid-19 sui mercati finanziari internazionali” analizza in maniera approfondita e critica gli effetti della crisi pandemica sui mercati finanziari internazionali evidenziando le misure di politica finanziaria e bancaria prese dalle Autorità di supervisione sul sistema finanziario per contenerne gli effetti recessivi sull’economia globale. Il volume apre con il primo capitolo di A. Di Clemente dal titolo “La reazione del sistema finanziario allo shock causato dal Covid-19” in cui si documenta attraverso analisi grafica dettagliata come il 23 marzo del 2020, il maggiore indice azionario globale rappresentativo dei 23 paesi economicamente più avanzati, il MSCI World, abbia registrato una contrazione del 31,8% rispetto al valore di fine 2019, seguìto nella sua performance negativa anche dagli altri indici azionari globali quali il MSCI Emerging Markets e il MSCI All Country World (ACWI). Il 20 marzo del 2020 anche il mercato globale delle obbligazioni, misurato dall’indice Bloomberg Barclays Global-Aggregate Bond Index, che si compone di titoli di debito investment grade sia governativi che corporate negoziati in 24 Paesi, perdeva il 3,9% di valore rispetto a fine 2019. Nello stesso periodo il VIX, l’indice di volatilità implicita delle opzioni sull’indice azionario USA Standard & Poor 500 (SPX) cominciava a salire velocemente esprimendo il sentiment molto negativo degli investitori e le aspettative di un crollo della borsa americana toccando il valore massimo di stress di 82,69 nell’aprile del 2020, livello superiore al valore di 80,86 raggiunto all’apice della crisi finanziaria globale nel gennaio del 2009. Anche il settore bancario europeo ha sofferto gli effetti della crisi da Covid-19 con un calo del sua redditività, già strutturalmente bassa prima dell’insorgere della pandemia. Il rendimento medio del capitale, espresso in termini di redditività del capitale proprio, ROE, degli enti significativi europei è sceso a zero nel secondo trimestre del 2020, dopo aver registrato una netta diminuzione nel primo trimestre dello stesso anno a seguito delle forti riduzioni di valore sui crediti e dei minori proventi da interessi e da provvigioni e commissioni. La debolezza delle banche europee è aggravata dai costi eccessivi derivanti dalle reti di filiali tipicamente troppo estese. Nonostante tali debolezze strutturali, le aspettative circa una tenuta complessiva del sistema bancario europeo a fronte della crisi da covid-19 sono risultate positive sia in seguito all’annuncio della ripresa del pagamento dei dividendi bancari (ad ottobre 2020) che a fronte di un miglioramento della qualità delle attività bancarie, mentre la redditività bancaria dell’area Euro, espressa in termini di ROE, si è mantenuta strutturalmente bassa, soprattutto se confrontata con quella USA e dei Paesi del Nord Europa. Nel primo trimestre dell’anno 2020, il deterioramento delle condizioni economico-finanziarie dei paesi colpiti dalla pandemia ha manifestato i suoi effetti anche nel settore del risparmio gestito. Sia negli USA che in Europa il patrimonio dei fondi comuni di investimento ha subìto una contrazione significativa, rispettivamente del 10% e del 12%, rispetto al dato del primo trimestre del 2019 Per i fondi europei, la contrazione del patrimonio ha riflesso non solo un effetto svalutazione del patrimonio gestito ma anche una calo della raccolta, complessivamente superiore a 100 miliardi di euro. I deflussi dei capitali dai fondi hanno interessato, in prevalenza, i comparti azionario e obbligazionario, mentre il comparto monetario ha continuato a registrare una raccolta netta positiva. La crisi innescata dalla pandemia ha evidenziato la presenza di vulnerabilità nel settore dei fondi specializzati in obbligazioni societarie, causata sia dall’elevato disallineamento tra la liquidità degli attivi e delle passività, che dall’incertezza sul valore dei loro investimenti nelle fasi di stress dei mercati. Le condizioni finanziarie del comparto sono migliorate soprattutto in seguito agli interventi delle autorità monetarie che hanno ristabilito efficacemente il regolare funzionamento dei mercati. Le misure delle banche centrali, in particolare i programmi di acquisto di titoli, hanno contribuito ad accrescere la liquidità nei mercati obbligazionari, riducendo l’incertezza sulla valutazione del patrimonio dei fondi ed il rischio di elevate richieste di rimborso da parte degli investitori. In risposta alla crisi da Covid-19, le autorità di regolamentazione hanno modificato le proprie procedure di stress-testing. Gli esercizi specifici inclusi nei test differiscono dagli esercizi “standard” in termini di caratteristiche principali, come gli obiettivi che si prepongono, il design e le metodologie e la comunicazione. Gli esercizi di stress-testing possono essere utili alle autorità di supervisione finanziaria in due modi: nel breve periodo, possono essere utilizzati per analizzare gli effetti della crisi economica generata dalla pandemia sul settore bancario nel suo complesso; nel lungo periodo, individuate le caratteristiche peculiari dell’attuale crisi, gli stress-test potrebbero consentire azioni di regolamentazione firm-specific su singoli intermediari finanziari particolarmente indeboliti dalla crisi. Il capitolo di E. Montani dal titolo “Stabilità finanziaria e procedure di stress-testing durante la crisi da Covid-19” mira ad analizzare in maniera approfondita le modifiche apportate dalle autorità regolamentari ai propri esercizi di stress-testing rispetto alle procedure tradizionali, allo scopo di cogliere peculiari variazioni del ciclo economico generate dalla crisi da Covid-19 e, dunque, di preservare la stabilità del sistema finanziario. La prima parte del contributo riguarda l’analisi delle prospettive di intervento macroprudenziale per le autorità di vigilanza, sia in termini di policies finanziarie e intervento diretto sui requisiti di capitale e di liquidità creati nella cornice regolamentare di Basilea III, sia in termini di aggiustamenti che le stesse autorità hanno apportato ai propri scenari di stress-testing, al fine di adattarli alle caratteristiche della presente crisi. Nella seconda parte del contributo si analizzano e si confrontano gli approcci di stress-testing di tre specifiche Banche Centrali – la European Central Bank, la Federal Reserve americana e la Bank of England. Il capitolo di F. Braconi “Il fenomeno FinTech e il suo impatto sul sistema bancario” partendo da un’analisi definitoria e concettuale di FinTech, vuole indagare i rischi e le opportunità del fenomeno per il settore bancario. Lo studio evidenzia come il fenomeno sia in costante crescita a livello mondiale (KPMG, 2020, 2021) con un valore degli investimenti pari a 105.3 miliardi di dollari nel 2020 accelerato dalla crisi pandemica da Covid-19 che ha intensificato la fornitura a distanza di servizi finanziari. Il contributo si sofferma anche sulle potenziali minacce che questo fenomeno comporta per il settore bancario in cui emerge la dicotomia tra i rischi nuovi c.d “emergenti” e i rischi tradizionalmente intesi. Tra i rischi emergenti si evidenzia il rischio strategico e i rischi operativi, tra quelli tradizionalmente intesi quello sistemico e di (non) conformità. Fintech complessivamente rappresenta un rischio strategico effettivo per il settore bancario perché lede la posizione monopolistica degli istituti finanziari tradizionali. D’altro canto il settore bancario presenta un vantaggio competitivo sulle FinTech per via delle relazioni stabili e durature con la clientela e grazie alle c.d. soft information, ovvero competenze finanziarie altamente specializzate e settoriali come la corporate finance e la ristrutturazione aziendale, estranee al mondo FinTech. Il capitolo di G. Mariani “La finanza sostenibile: verso una migliore definizione e valutazione dell’impatto dei fattori ESG” ha come obiettivo quello di approfondire il ruolo della finanza verde nel processo di transizione dell’economia mondiale verso la neutralità climatica entro il 2050. Lo studio offre un approfondimento circa il Regolamento europeo sulla Tassonomia delle attività eco-compatibili, volto a classificare le attività economiche che possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale. Una chiara e completa definizione delle attività sostenibili rappresenta un punto di partenza fondamentale non solo come segnale del perseguimento degli obiettivi desiderati, ma anche come effettivo strumento per la concretizzazione degli obiettivi stessi di sostenibilità. Il capitolo esamina gli effetti che i cambiamenti climatici comportano per l’economia in termini di rischi fisici e di transizione, fattori che devono essere presi in considerazione nella valutazione del rischio ESG (ambientale, sociale e di governo) per una società e per le sue conseguenze finanziarie nel lungo periodo. A tal fine viene svolta una interessante rassegna della letteratura scientifica circa la relazione tra fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) e performance dei portafogli degli investitori, accompagnata da un’analisi empirica che pone a confronto i rendimenti dei fondi sostenibili con quelli tradizionali e da un’analisi del ruolo degli investimenti sostenibili durante la recente crisi pandemica. Nel primo trimestre 2021, il 51% dei flussi verso i fondi comuni di investimento e gli Exchange Traded Funds europei è confluito nelle strategie attente ai fattori ESG, con un incremento del 18% rispetto a fine 2020. Il trend è guidato dall’ampliamento dell’offerta di strumenti sostenibili e dal crescente interesse degli investitori per le questioni ambientali e sociali a seguito della pandemia, che ha messo in luce l’importanza di modelli aziendali resilienti. Ricordiamo come l’Europa si sia impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e un abbattimento del 55 per cento delle emissioni di gas serra (rispetto a quelle del 1990) entro il 2030; si stima che per raggiungere questo obiettivo occorrano, nel periodo 2021-2030, investimenti annui addizionali in energie pulite per circa 350 miliardi di euro. Ciò richiede un forte impegno da parte dei governi nazionali, ma anche degli operatori della finanza e delle autorità di regolamentazione e di vigilanza. Poiché i rischi legati al clima si manifestano in forme già note e regolamentate (rischio di credito, mercato, operativo, liquidità, reputazione, strategico), il sistema regolamentare basato sui Tre Pilastri degli standard di Basilea dovrebbe essere in grado di gestirli correttamente. Ulteriori analisi sono tuttavia in corso per meglio valutare alcune caratteristiche (irreversibilità, pervasività e materializzazione in orizzonti temporali lunghi) che, pur non essendo uniche ai rischi climatici, li rendono difficili da misurare e gestire. I lavori sono complicati da carenze nei dati e nelle metodologie. La Banca centrale europea (2020) ha identificato i rischi climatici e ambientali tra i principali fattori di rischio nella mappa dei rischi del Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) per la stabilità del sistema bancario dell’area euro. Il capitolo di A. Di Clemente “Stabilità bancaria e gestione dei rischi ambientali sistemici: scelte di policy” si pone come obiettivo quello di analizzare come i rischi fisici e i rischi di transizione, fattori preponderanti dei rischi climatici e ambientali, possano alimentare i tradizionali rischi bancari attualmente regolamentati dal framework di Basilea. Il capitolo evidenzia come la stima delle perdite dei portafogli bancari associate ai rischi climatici sia resa complessa dalle lacune sui dati, dalla necessità di dati sufficientemente granulari, dall’orizzonte temporale potenzialmente più lungo per la manifestazione di tale tipologia di rischi e dall’imprevedibilità dei cambiamenti climatici. Inoltre, è fondamentale esaminare in quale misura i rischi finanziari legati al clima possano essere affrontati adeguatamente nell'ambito dell'attuale quadro di Basilea articolato nei tre Pilastri della regolamentazione, vigilanza e informativa per il sistema bancario, identificando potenziali lacune all’interno dell'attuale framework e valutando possibili misure per affrontarle. Per esempio, un'opzione che potrebbe essere adottata dalle Autorità di vigilanza bancaria è l'adozione di un “green factor” o "fattore di supporto verde", che potrebbe essere preso in considerazione nella determinazione dei pesi di rischio delle attività bancarie abbassandoli in caso di esposizione a settori o investimenti verdi. Questa scelta (non da tutti condivisa) da parte dei regolatori potrebbe tradursi in un'opportunità per le banche di ridurre i propri requisiti patrimoniali. Il contributo sottolinea come un’eventuale sottostima del rischio di transizione da parte delle Autorità di supervisione potrebbe minare la stabilità dell’intero sistema finanziario. Infatti, data la rilevanza dei settori coinvolti e la pervasività dei prodotti energetici, un improvviso calo nel valore delle riserve e delle infrastrutture connesse, potrebbe innescare una corsa alla cessione dei titoli delle società energetiche con conseguenze che potrebbero incidere negativamente sulla crescita economica globale (come è successo con le imprese finanziarie esposte al settore dei mutui sub-prime nel corso dell’ultima grande crisi finanziaria che ha portato alla Grande recessione del 2009). Inoltre, la transizione verso un’economia più sostenibile porterà probabilmente ad un aumento dei prezzi, in quanto le politiche climatiche richiedono l’impiego di fonti energetiche alternative al momento più costose. Poiché la domanda di energia è nel breve termine inelastica, un brusco aumento dei prezzi dell’energia potrebbe accrescere la vulnerabilità finanziaria delle imprese e delle famiglie, attraverso la maggiore spesa che queste dovranno sostenere per l’acquisto dei beni energetici. Inoltre, gli effetti delle svalutazioni degli strumenti finanziari più esposti al rischio di transizione si rifletteranno principalmente sugli investitori con maggiori impieghi in tali strumenti, in particolare i fondi di investimento e i fondi pensione e attraverso questi sui singoli risparmiatori. Nello studio dei canali di trasmissione dei rischi ambientali ai rischi finanziari non possono sottovalutarsi gli effetti di contagio dovuti alle strette interconnessioni tra gli intermediari finanziari e tra questi ed i settori e le aree geografiche esposte (ad esempio per gli investimenti in banche e assicurazioni che prestano fondi o assicurano imprese esposte ai rischi climatici). I rischi fisici e di transizione influiscono inoltre sulla capacità di tenuta del modello di business dell’intermediario nel medio e lungo periodo, soprattutto per gli enti con un modello imprenditoriale basato su settori e mercati particolarmente vulnerabili ai rischi climatici e ambientali. E’ quindi interessante investigare quali strategie aziendali verranno seguite dalle banche. Sono probabili due possibili approcci da parte delle banche: l’elusione del rischio attraverso l’esclusione dei settori carbon-intensive o la “mitigazione del rischio” sostenendo e incoraggiando i clienti esistenti verso la transizione ecologica. Gli intermediari potrebbero, ad esempio, fissare il tasso di interesse applicato ai prestiti sostenibili ad un livello coerente con la maggiore resilienza verso tali rischi. Inoltre, per le banche che concedono prestiti sostenibili, il processo di adeguamento del tasso di interesse potrebbe essere collegato al conseguimento di obiettivi di sostenibilità da parte del cliente in un periodo di tempo predefinito durante il quale l’esposizione ai rischi climatici e ambientali si riduce. Nell’analisi del rischio di credito gli intermediari dovrebbero definire rating o indicatori generali di rischio opportuni per le proprie controparti che tengano conto dei rischi climatici e ambientali. Nell’ambito delle procedure di classificazione del rischio, dovrebbero individuare i prenditori che potrebbero essere esposti, in modo diretto o indiretto, a maggiori rischi climatici e ambientali. Le esposizioni critiche nei confronti di tali rischi andrebbero poste in evidenza e, eventualmente, considerate nell’ambito di vari scenari allo scopo di assicurare la capacità di valutare e introdurre tempestivamente eventuali misure di attenuazione adeguate, anche concernenti la determinazione del prezzo del credito. Anche a tale riguardo, sarà strategica la scelta di policy effettuata dalle Autorità di Supervisione in termini di sostegno e di incoraggiamento dell’intermediario finanziario ad adottare un approccio volto alla mitigazione dei rischi ambientali e climatici e non all’elusione di questi rischi.  
2022
crisi pandemica; instabilità economica, mercati finanziari internazionali; risposta autorità di vigilanza; volatilità delle attività finanziarie;
DI CLEMENTE, Annalisa
06 Curatela::06a Curatela
"Crisi pandemica e instabilità economica. Gli effetti del Covid-19 sui mercati finanziari internazionali" / DI CLEMENTE, Annalisa. - (2022), pp. 1-170.
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