La violenza di genere è uno dei problemi strutturali più urgenti nelle società contemporanee (Puente, Romero, Cupeiro, 2017). In tale contesto, le piattaforme digitali rappresentano potenti strumenti di condivisione di esperienze iscrivibili nella “cultura dello stupro” (Keller, Mendes e Ringrose, 2018) e di diffusione di forme di attivismo femminista politico e sociale, come i movimenti #Nìunamenos, #Metoo, #YesAllWomen (Accossatto e Sendra, 2018; Baer, 2016; Fotopoulou, 2016; Knappe e Lang, 2014; Mendes, Ringrose e Keller, 2018; Özer, 2014; Thelandersson 2014). Ciononostante, all’interno di questi ambienti, è stata evidenziata tanto la persistenza di tradizionali forme di potere (Fileborn, 2019; Fileborn e Loney-Howes, 2020; Fileborn e Trott, 2021; Wånggren, 2016) quanto di logiche algoritmiche (Hewa, 2021) che limitano la percezione del fenomeno nell’immaginario collettivo. Il data activism sembra rispondere a tali criticità, in quanto insieme di pratiche e saperi socio- tecnici di attivismo grassroots e impegno civico che sfruttano i big data per veicolare forme di cambiamento sociale (Milan e Gutiérrez, 2015) a vantaggio di gruppi politicamente emarginati (Gutiérrez, 2018), contribuendo a produrre immaginari contro-egemonici in cui i dati rispondono a scopi emancipatori (Milan e van der Velden, 2016). Più nello specifico, il modello definito proactive data activism si è posto come apripista di un emergente “umanitarismo digitale” (Hesse, 2010). Servendosi dell’infrastruttura dei dati – dal software open source, ai crowdsourced open geodata fino agli strumenti della cartografia interattiva – ha reso possibili operazioni di emergenza e soccorso (Gutiérrez, 2018; Meier, 2015). Il contributo si propone di osservare le modalità partecipative che si strutturano a partire dai dati, in relazione ad iniziative di data activism contro la violenza di genere. A livello internazionale si rileva l’esistenza di app, iniziative e tools, quali Safecity, il più grande forum online al mondo per la segnalazione di casi di violenza sessuale (Adams et al., 2021; Karlekar e Bansar, 2018; Liu et al., 2019); l’Índice nacional de violencia machista sviluppato dal movimento #Nìunamenos (Chenou e Cepeda-Másmela, 2019); Hollaback, un blog online per segnalare casi di violenza e offrire supporto alle vittime (Wånggren 2016; Mendes, Ringrose, Keller 2019; Fileborn 2020; Alonso-Parra et al. 2021) e HarassMap, un progetto egiziano che mira a contrastare l’ampia accettazione sociale della GBV nel paese (Cochrane et al., 2019; Abdelmonem, Galán, 2017). Questi nuovi strumenti hanno promosso un insieme di attività, dalla co-progettazione partecipata con le vittime in communities online protette da anonimato, alla realizzazione di “mappe della violenza” attraverso l’utilizzo della cartografia partecipata. In una successiva fase della ricerca si effettuerà una mappatura delle iniziative italiane, confrontandole con le esperienze internazionali, per riflettere sullo stato dell’arte nel nostro paese e sull’eventualità di integrare forme di implementazione a partire dai casi di successo, in grado di dare un contributo significativo alla creazione di spazi più sicuri e protetti.

Il Data Activism contro la violenza di genere. Uno studio esplorativo su pratiche partecipative, saperi ed iniziative “dal basso” / Virgilio, Fabio; Carbonari, Maddalena. - (2022). (Intervento presentato al convegno IV Convegno Società Scientifica Italiana di Sociologia, Cultura, Comunicazione, “Qualcosa è cambiato? La trasformazione dei saperi” tenutosi a Naples, Italy).

Il Data Activism contro la violenza di genere. Uno studio esplorativo su pratiche partecipative, saperi ed iniziative “dal basso”

Fabio Virgilio
Co-primo
;
Maddalena Carbonari
Co-primo
2022

Abstract

La violenza di genere è uno dei problemi strutturali più urgenti nelle società contemporanee (Puente, Romero, Cupeiro, 2017). In tale contesto, le piattaforme digitali rappresentano potenti strumenti di condivisione di esperienze iscrivibili nella “cultura dello stupro” (Keller, Mendes e Ringrose, 2018) e di diffusione di forme di attivismo femminista politico e sociale, come i movimenti #Nìunamenos, #Metoo, #YesAllWomen (Accossatto e Sendra, 2018; Baer, 2016; Fotopoulou, 2016; Knappe e Lang, 2014; Mendes, Ringrose e Keller, 2018; Özer, 2014; Thelandersson 2014). Ciononostante, all’interno di questi ambienti, è stata evidenziata tanto la persistenza di tradizionali forme di potere (Fileborn, 2019; Fileborn e Loney-Howes, 2020; Fileborn e Trott, 2021; Wånggren, 2016) quanto di logiche algoritmiche (Hewa, 2021) che limitano la percezione del fenomeno nell’immaginario collettivo. Il data activism sembra rispondere a tali criticità, in quanto insieme di pratiche e saperi socio- tecnici di attivismo grassroots e impegno civico che sfruttano i big data per veicolare forme di cambiamento sociale (Milan e Gutiérrez, 2015) a vantaggio di gruppi politicamente emarginati (Gutiérrez, 2018), contribuendo a produrre immaginari contro-egemonici in cui i dati rispondono a scopi emancipatori (Milan e van der Velden, 2016). Più nello specifico, il modello definito proactive data activism si è posto come apripista di un emergente “umanitarismo digitale” (Hesse, 2010). Servendosi dell’infrastruttura dei dati – dal software open source, ai crowdsourced open geodata fino agli strumenti della cartografia interattiva – ha reso possibili operazioni di emergenza e soccorso (Gutiérrez, 2018; Meier, 2015). Il contributo si propone di osservare le modalità partecipative che si strutturano a partire dai dati, in relazione ad iniziative di data activism contro la violenza di genere. A livello internazionale si rileva l’esistenza di app, iniziative e tools, quali Safecity, il più grande forum online al mondo per la segnalazione di casi di violenza sessuale (Adams et al., 2021; Karlekar e Bansar, 2018; Liu et al., 2019); l’Índice nacional de violencia machista sviluppato dal movimento #Nìunamenos (Chenou e Cepeda-Másmela, 2019); Hollaback, un blog online per segnalare casi di violenza e offrire supporto alle vittime (Wånggren 2016; Mendes, Ringrose, Keller 2019; Fileborn 2020; Alonso-Parra et al. 2021) e HarassMap, un progetto egiziano che mira a contrastare l’ampia accettazione sociale della GBV nel paese (Cochrane et al., 2019; Abdelmonem, Galán, 2017). Questi nuovi strumenti hanno promosso un insieme di attività, dalla co-progettazione partecipata con le vittime in communities online protette da anonimato, alla realizzazione di “mappe della violenza” attraverso l’utilizzo della cartografia partecipata. In una successiva fase della ricerca si effettuerà una mappatura delle iniziative italiane, confrontandole con le esperienze internazionali, per riflettere sullo stato dell’arte nel nostro paese e sull’eventualità di integrare forme di implementazione a partire dai casi di successo, in grado di dare un contributo significativo alla creazione di spazi più sicuri e protetti.
2022
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1672110
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