Un testo letterario e uno spot pubblicitario possono condividere la stessa figuralità (Ghelli 2005). A partire dalla seconda metà del secolo scorso, la dimensione della retorica è stata sdoganata e sfruttata in qualità di inedita logica di potere: il «discours du capitaliste» (Lacan 1978) adopera determinate strategie figurali – ora dell’inventio, ora della dispositio, ora dell’elocutio – per alimentare la propria egemonia attraverso le ragioni del consumo. La letteratura italiana di fine millennio è un documento esemplare di questa «narrarchia» (Salmon 2007), dal momento che tra le culture nazionali europee l’Italia è stato il paese dove la rinascita economica ha avuto gli effetti più percepibili e consistenti. Gli autori di quei decenni – Tondelli, Parise, Bufalino, Nove, i cannibali, etc. – ospitano all’interno delle proprie opere una vera e propria «immane raccolta di merci» (Marx 1867), influenzando come diretta conseguenza la forma e lo stile dei propri romanzi in una mefistofelica alchimia con la testualità pubblicitaria. Studiando le modalità di rappresentazione linguistica della merce, sviscerando la sua «physics of language» (DeLillo 1997), è possibile decifrare come diretta conseguenza le narrazioni di potere veicolate dall’episteme capitalistico. Se assumiamo come valida la cosiddetta «teoria freudiana» di Francesco Orlando, secondo la quale la letteratura ospiterebbe il represso r di una Repressione R (Orlando 1973), noteremmo che la retorica del discorso del capitalista ha progressivamente capovolto la frazione, eleggendo quei contenuti originariamente repressi – la sessualità, la ribellione, il godimento, etc. – come nuovi strumenti di repressione attraverso un mutamento dello statuto della merce veicolato dai testi letterari e pubblicitari; l’r è diventato R, il dissenso è diventato il nuovo consenso (Žižek 2009). In generale, un approccio intermediale può per certo offrire alla letteratura italiana di quegli anni una prospettiva d’eccezione, che non tenga conto solo del fatto estetico ma anche di quello culturale e, come diretta conseguenza, politico. Una pista d’indagine che potrebbe rivelarsi proficua consiste, ad esempio, nello studio degli abiti come appaiono sia sulla scena letteraria che in quella pubblicitaria, così da svelare le architetture simboliche costruitegli intorno.
La rappresentazione della merce nella letteratura italiana del secondo Novecento. Tra testo letterario e testo pubblicitario / Baratta, Aldo. - (2022). (Intervento presentato al convegno HeiBerg: Workshop per giovani ricercatori “Italianistica nel contesto dei studi culturali” tenutosi a Heidelberg, Germania).
La rappresentazione della merce nella letteratura italiana del secondo Novecento. Tra testo letterario e testo pubblicitario
Aldo Baratta
2022
Abstract
Un testo letterario e uno spot pubblicitario possono condividere la stessa figuralità (Ghelli 2005). A partire dalla seconda metà del secolo scorso, la dimensione della retorica è stata sdoganata e sfruttata in qualità di inedita logica di potere: il «discours du capitaliste» (Lacan 1978) adopera determinate strategie figurali – ora dell’inventio, ora della dispositio, ora dell’elocutio – per alimentare la propria egemonia attraverso le ragioni del consumo. La letteratura italiana di fine millennio è un documento esemplare di questa «narrarchia» (Salmon 2007), dal momento che tra le culture nazionali europee l’Italia è stato il paese dove la rinascita economica ha avuto gli effetti più percepibili e consistenti. Gli autori di quei decenni – Tondelli, Parise, Bufalino, Nove, i cannibali, etc. – ospitano all’interno delle proprie opere una vera e propria «immane raccolta di merci» (Marx 1867), influenzando come diretta conseguenza la forma e lo stile dei propri romanzi in una mefistofelica alchimia con la testualità pubblicitaria. Studiando le modalità di rappresentazione linguistica della merce, sviscerando la sua «physics of language» (DeLillo 1997), è possibile decifrare come diretta conseguenza le narrazioni di potere veicolate dall’episteme capitalistico. Se assumiamo come valida la cosiddetta «teoria freudiana» di Francesco Orlando, secondo la quale la letteratura ospiterebbe il represso r di una Repressione R (Orlando 1973), noteremmo che la retorica del discorso del capitalista ha progressivamente capovolto la frazione, eleggendo quei contenuti originariamente repressi – la sessualità, la ribellione, il godimento, etc. – come nuovi strumenti di repressione attraverso un mutamento dello statuto della merce veicolato dai testi letterari e pubblicitari; l’r è diventato R, il dissenso è diventato il nuovo consenso (Žižek 2009). In generale, un approccio intermediale può per certo offrire alla letteratura italiana di quegli anni una prospettiva d’eccezione, che non tenga conto solo del fatto estetico ma anche di quello culturale e, come diretta conseguenza, politico. Una pista d’indagine che potrebbe rivelarsi proficua consiste, ad esempio, nello studio degli abiti come appaiono sia sulla scena letteraria che in quella pubblicitaria, così da svelare le architetture simboliche costruitegli intorno.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.