Giovambattista Nolli da Como iniziò il rilevamento della città di Roma nei primi mesi del 1736 per terminare 12 anni più tardi, nel 1748, con la stampa delle sue incisioni. Gli era stato concesso un permesso straordinario per accedere praticamente ovunque ma tanto scrupolo da parte del pontefice aveva soprattutto ragioni politiche e fiscali dato che la mappa sarebbe servita a ridefinire i quattordici distretti amministrativi. La sua pianta fu un insuccesso commerciale. Delle 1870 copie stampate ne furono vendute solo 340. Nolli, che aveva condotto il rilievo a sue spese, pagando di persona gli assistenti, ne fu rovinato. Fino a quel momento, con la sola eccezione della carta di Bufalini della metà del XVI secolo, le carte della città eterna erano concepite come vedute a volo d’uccello, idealmente realizzate dal Gianicolo, che mostravano gli edifici in una pseudo-assonometria, spesso ampliando artificiosamente le strade per aumentare la visibilità delle facciate, oppure che selezionavano solo gli episodi monumentali, come nel caso di alcune mappe giubilari, per facilitare gli itinerari dei pellegrini. Queste mappe assecondavano l’abitudine a spostarsi seguendo gli stimoli sensoriali, in particolare quelli visivi, puntando sugli elementi più riconoscibili del ‘paesaggio urbano’, come cupole, obelischi e fontane. La pianta di Nolli, peraltro ampiamente studiata negli ultimi decenni (da Bevilacqua ad Eisenman), è invece tutt’altro: in quanto icnographia, sezione e proiezione ortogonale rispetto ad un piano orizzontale, rinuncia al contributo figurativo dell’architettura e richiede il coinvolgimento della sfera intellettiva del lettore. Come un architetto militare, Nolli fonda la sua carta sul principio spaziale della distanza tra due punti, che era stato alla base della riscoperta della prospettiva e sarà alla base della fondazione dello stato moderno europeo (Farinelli). I luoghi vengono privati di tutte quelle qualità che li rendono unici e interpretati in chiave squisitamente spaziale, come se fossero il ‘loro’ modello. Al di là della metodologia di rilevamento e della precisione degli esiti, che sarà superata solo dalla fotogrammetria aerea dei voli dell’IGM, particolarmente interessante è il dispositivo grafico adottato da Nolli, che prende il nome francese di ‘a poche’, sia in termini semantici che politici. Nonostante i suoi leggendari sette colli, la Roma di Nolli è tutta proiettata su un piano e non appare più una sommatoria di insule o di bizzarri organismi in vitro, come nel Campo marzio piranesiano, ma un unico artefatto, omogeneo e continuo, come lo spazio newtoniano che lo circonda. La sua pianta, definita come una sezione orizzontale al piano terra degli edifici, equipara non solo i vuoti dei cortili privati a quelli di strade e piazze ma anche a quelli di ambienti chiusi come il vestibolo dei palazzi e la navata delle chiese. Parallelamente, il ‘pieno’ è campito con un retino che non distingue l’edilizia convenzionale dai complessi monumentali o dalle rovine (d’altronde l’uso in architettura di termini come ‘pieno’ e ‘vuoto’ scaturisce proprio da un simile elaborato). In questo modo, lo spazio urbano e lo spazio architettonico si fondono, e non solo figurativamente. La città, o meglio la sua rappresentazione, appare inaspettatamente ‘permeabile’, ‘democratica’ e ‘inclusiva’. Alla gerarchia del tempo (antichità) o del ceto (nobiltà), Nolli sostituisce una gerarchia anch’essa spaziale, quella della circolazione. Per ragioni di ‘pertinenza’, ovvero di comprensibilità del disegno e di scala, egli pone il limite del rappresentabile (qui approfondito rielaborando digitalmente e attualizzando un quadrante della sua pianta) alla soglia della stanza, attribuendo indirettamente un nuovo significato a ‘pubblico’ e ‘privato’. Ne risulta una sorta di ‘formicaio’ che descrive le relazioni e il movimento quotidiano di romani e turisti, esaltando il valore primigenio della civitas – la comunità di persone – che il pensiero ‘industriale’ stava sostituendo con quello di urbs – l’insieme di edifici. Come nella migliore tradizione della ‘precessione del simulacro’ di Baudrillard, Nolli disegna il manifesto politico di una città che non esisteva ma che, in qualche misura, contribuirà a creare, anche solo come idea.

La Pianta di Roma di Giovan Battista Nolli come artefatto spaziale e politico / Colonnese, Fabio. - (2021), pp. 608-638.

La Pianta di Roma di Giovan Battista Nolli come artefatto spaziale e politico

Fabio Colonnese
2021

Abstract

Giovambattista Nolli da Como iniziò il rilevamento della città di Roma nei primi mesi del 1736 per terminare 12 anni più tardi, nel 1748, con la stampa delle sue incisioni. Gli era stato concesso un permesso straordinario per accedere praticamente ovunque ma tanto scrupolo da parte del pontefice aveva soprattutto ragioni politiche e fiscali dato che la mappa sarebbe servita a ridefinire i quattordici distretti amministrativi. La sua pianta fu un insuccesso commerciale. Delle 1870 copie stampate ne furono vendute solo 340. Nolli, che aveva condotto il rilievo a sue spese, pagando di persona gli assistenti, ne fu rovinato. Fino a quel momento, con la sola eccezione della carta di Bufalini della metà del XVI secolo, le carte della città eterna erano concepite come vedute a volo d’uccello, idealmente realizzate dal Gianicolo, che mostravano gli edifici in una pseudo-assonometria, spesso ampliando artificiosamente le strade per aumentare la visibilità delle facciate, oppure che selezionavano solo gli episodi monumentali, come nel caso di alcune mappe giubilari, per facilitare gli itinerari dei pellegrini. Queste mappe assecondavano l’abitudine a spostarsi seguendo gli stimoli sensoriali, in particolare quelli visivi, puntando sugli elementi più riconoscibili del ‘paesaggio urbano’, come cupole, obelischi e fontane. La pianta di Nolli, peraltro ampiamente studiata negli ultimi decenni (da Bevilacqua ad Eisenman), è invece tutt’altro: in quanto icnographia, sezione e proiezione ortogonale rispetto ad un piano orizzontale, rinuncia al contributo figurativo dell’architettura e richiede il coinvolgimento della sfera intellettiva del lettore. Come un architetto militare, Nolli fonda la sua carta sul principio spaziale della distanza tra due punti, che era stato alla base della riscoperta della prospettiva e sarà alla base della fondazione dello stato moderno europeo (Farinelli). I luoghi vengono privati di tutte quelle qualità che li rendono unici e interpretati in chiave squisitamente spaziale, come se fossero il ‘loro’ modello. Al di là della metodologia di rilevamento e della precisione degli esiti, che sarà superata solo dalla fotogrammetria aerea dei voli dell’IGM, particolarmente interessante è il dispositivo grafico adottato da Nolli, che prende il nome francese di ‘a poche’, sia in termini semantici che politici. Nonostante i suoi leggendari sette colli, la Roma di Nolli è tutta proiettata su un piano e non appare più una sommatoria di insule o di bizzarri organismi in vitro, come nel Campo marzio piranesiano, ma un unico artefatto, omogeneo e continuo, come lo spazio newtoniano che lo circonda. La sua pianta, definita come una sezione orizzontale al piano terra degli edifici, equipara non solo i vuoti dei cortili privati a quelli di strade e piazze ma anche a quelli di ambienti chiusi come il vestibolo dei palazzi e la navata delle chiese. Parallelamente, il ‘pieno’ è campito con un retino che non distingue l’edilizia convenzionale dai complessi monumentali o dalle rovine (d’altronde l’uso in architettura di termini come ‘pieno’ e ‘vuoto’ scaturisce proprio da un simile elaborato). In questo modo, lo spazio urbano e lo spazio architettonico si fondono, e non solo figurativamente. La città, o meglio la sua rappresentazione, appare inaspettatamente ‘permeabile’, ‘democratica’ e ‘inclusiva’. Alla gerarchia del tempo (antichità) o del ceto (nobiltà), Nolli sostituisce una gerarchia anch’essa spaziale, quella della circolazione. Per ragioni di ‘pertinenza’, ovvero di comprensibilità del disegno e di scala, egli pone il limite del rappresentabile (qui approfondito rielaborando digitalmente e attualizzando un quadrante della sua pianta) alla soglia della stanza, attribuendo indirettamente un nuovo significato a ‘pubblico’ e ‘privato’. Ne risulta una sorta di ‘formicaio’ che descrive le relazioni e il movimento quotidiano di romani e turisti, esaltando il valore primigenio della civitas – la comunità di persone – che il pensiero ‘industriale’ stava sostituendo con quello di urbs – l’insieme di edifici. Come nella migliore tradizione della ‘precessione del simulacro’ di Baudrillard, Nolli disegna il manifesto politico di una città che non esisteva ma che, in qualche misura, contribuirà a creare, anche solo come idea.
2021
Linguaggi grafici. Mappe
978-88-99586-20-1
Giovan Battista Nolli; rilievo urbano; cartografia urbana; Poche; circolazione
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
La Pianta di Roma di Giovan Battista Nolli come artefatto spaziale e politico / Colonnese, Fabio. - (2021), pp. 608-638.
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Colonnese_Nolli_cover_Mappe_2021.pdf

accesso aperto

Note: cover, frontespizo, indice
Tipologia: Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza: Creative commons
Dimensione 113.36 kB
Formato Adobe PDF
113.36 kB Adobe PDF
Colonnese_Giovan Battista-Noli_2021.pdf

accesso aperto

Note: prima parte
Tipologia: Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza: Creative commons
Dimensione 7.02 MB
Formato Adobe PDF
7.02 MB Adobe PDF
Colonnese_Giovan Battista-Noli_2021.pdf

accesso aperto

Note: seconda parte
Tipologia: Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza: Creative commons
Dimensione 3.4 MB
Formato Adobe PDF
3.4 MB Adobe PDF

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1655802
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact