E’ stata di recente accertata la presenza dei resti di un relitto di nave romana naufragata, tra la fine del I sec. a. C. e la prima metà del I sec. d.C., nella zona antistante all’imboccatura del porticciolo di Santa Marinella, a nord di Roma. E’ ubicato sul versante meridionale del promontorio, dove si trova il castello Odescalchi e sul quale già dalla fine dell’età repubblicana si estendeva una grande e lussuosa villa, le cui fasi di vita si susseguirono fino alla tarda antichità. Uno degli ultimi proprietari fu il giureconsulto Gneo Domizio Annio Ulpiano, il cui nome è testimoniato su alcune condutture idrauliche di piombo (CIL XI, 3587) . Il porticciolo romano era protetto da un molo rettilineo in cementizio poi inglobato da uno dell’epoca del papa Urbano VIII, a sua volta in gran parte distrutto e coperto dall’attuale impianto portuale. Forniva riparo a modeste imbarcazioni funzionali alla villa, oltre a garantire l’attracco ad eventuali altre in transito, ed era toccato dalla via Aurelia che transitava a pochissima distanza rasentando la coincidente statio di Punicum, il cui nome è testimoniato dalla Tabula Peutingeriana (IV, 4) . Ad un centinaio di metri dalla riva e a circa centoventi metri dal molo moderno, ad una profondità che va da 2 a 4 metri, su fondale prevalentemente sabbioso, è stato localizzato un giacimento di materiali archeologici, composto da numerosi pezzi di pareti e orli di dolia e di anfore: queste ultime sono rappresentate da frammenti di pareti e da anse a doppio bastone su collo cilindrico con orlo a collarino, riferibili alla forma Dressel 2-4 (Figg. 1-2). Alcuni frammenti portati in superficie clandestinamente appartenevano ad orli di grossi dolia con tratto di parete e due di essi rivelano l’appartenenza a contenitori di dimensioni maggiori rispetto agli altri. La presenza di dolia insieme alle Dressel 2-4, data la loro frequente associazione su relitti navali, ne indica appunto la pertinenza al carico di una nave romana. Dei frammenti dei tre dolia minori uno presenta un bollo in planta pedis, con testo su due righe, conservato purtroppo solo nella sua parte sinistra (Fig. 3); è tuttavia possibile riconoscervi una porzione del primo rigo e qualche lettera del secondo. Vi si legge: Diop[-]an / Ga[--]c[--]. In base a bolli dello stesso tipo documentati su altri dolia, si può proporre la lettura Diop[h]an[t(us)] / M. Ga[li]c[i s(ervus) . f(ecit)]. L’integrazione è autorizzata dal confronto con il bollo in planta pedis su un altro frammento di orlo e parete di dolio, conservato nei giardini del castello Odescalchi (Fig. 4), rinvenuto nello specchio di mare sottostante negli anni sessanta del secolo scorso. Fu quasi certamente recuperato dal medesimo relitto e vi si legge: M. Galicius / Diophant(us) . f(ecit) . I due bolli si riferiscono molto probabilmente alla stessa persona che vi compare in diversa condizione sociale. Dal bollo di cui si da qui notizia si evince che Diophantus fabbricò e timbrò il dolio quando era schiavo e che, presumibilmente poco tempo dopo, dopo avere migliorato il proprio status con la manomissione ma continuando a lavorare nella medesima figlina, fabbricò e timbrò anche l’altro dolio conservato nel castello. Un esempio di simile progressione sociale da parte di un officinatore doliare è riscontrabile a Porto Clementino (Tarquinia), dove, a poca distanza dalla riva, due probabili relitti hanno restituito frammenti di dolia globulari e cilindrici con bolli in planta pedis della gens Pirania. Due di essi sono timbrati: uno Philomusus / Pirani s(ervus) fe(cit), l’altro C(aius) Piranus /Philomusus f(ecit) . I due timbri del relitto di Santa Marinella vanno messi in relazione con altri due bolli in planta pedis, pertinenti alla gens Galicia, relativi a dolia recuperati in mare nell’Arcipelago Toscano e in Provenza. Uno, Apollonius /M(arci) Galici Primi s(ervus) f(ecit) (Fig. 5), proviene dal relitto Grand Ribaud D, della fine del I secolo a.C., scoperto nel 1978 a circa 18 m di profondità nei pressi di Tolone . Un altro, del quale si hanno scarsissime informazioni, fu recuperato nel 1986 da un motopeschereccio, circa otto miglia a sud dell’isola di Gorgona (Toscana), a circa 180 metri di profondità. Il testo è ancora inedito . L’individuazione a Santa Marinella di questo ulteriore relitto con dolia a bordo apporta un nuovo piccolo tassello alla lenta opera di ricostruzione di un aspetto particolare del commercio vinario manifestatosi nel Mediterraneo tra l’inizio dell’età augustea e la prima metà del I sec. d.C., periodo in cui si datano i relitti con dolia finora noti. In tale contesto è accertato il ruolo primario di Minturno, con il suo ricco territorio rinomato per una produzione vinicola di qualità, dove furono fabbricati i dolia e probabilmente alcune delle navi naufragate, delle quali si sono rintracciati i resti. Circa la metà dei relitti noti è infatti riconducibile a Minturno tramite i bolli (o attraverso l’analisi dell’argilla, come quello di La Maddalena, in Sardegna), che si riferiscono alla gens Pirania originaria della zona o a nomi di altri fabbricanti comunque associabili . L’insieme dei rinvenimenti sottomarini sembra indicare rotte commerciali che dal Lazio meridionale risalivano il Tirreno, toccavano le coste della Gallia e della penisola iberica, per poi tornare trasportando, grossomodo lungo il percorso inverso, carichi costituiti da altro vino. Questa dinamica “circolare” sarebbe testimoniata dai materiali rinvenuti e soprattutto dalle anfore che, al contrario dei dolia (la cui presenza a bordo è ritenuta prevalentemente stabile, anche se non va esclusa l’eventualità di un loro sbarco totale o parziale), variano di provenienza indicando molto probabilmente l’origine dell’ultimo viaggio che le navi stavano compiendo prima del naufragio. Naturalmente, tutto ciò va considerato in un ambito più vasto delle seppure considerevoli iniziative individuali dei negotiatores e navicularii minturnesi, tenendo conto del grande riassetto politico-economico dell’intero Mediterraneo in età augustea e nella prima metà del I secolo d.C. Cambiamenti importanti si verificarono probabilmente anche nelle modalità del commercio marittimo del vino, trasportato non più soltanto confezionato in anfore, ma anche all’ingrosso in grandi contenitori come i dolia, forse per soddisfare l’esigenza di prodotti più a basso costo - e di più bassa qualità - destinati ad un più largo ed immediato consumo.
Un Relitto con Dolia a Santa Marinella / Guidi, Stefano. - (2014).
Un Relitto con Dolia a Santa Marinella
Stefano Guidi
Primo
Writing – Original Draft Preparation
2014
Abstract
E’ stata di recente accertata la presenza dei resti di un relitto di nave romana naufragata, tra la fine del I sec. a. C. e la prima metà del I sec. d.C., nella zona antistante all’imboccatura del porticciolo di Santa Marinella, a nord di Roma. E’ ubicato sul versante meridionale del promontorio, dove si trova il castello Odescalchi e sul quale già dalla fine dell’età repubblicana si estendeva una grande e lussuosa villa, le cui fasi di vita si susseguirono fino alla tarda antichità. Uno degli ultimi proprietari fu il giureconsulto Gneo Domizio Annio Ulpiano, il cui nome è testimoniato su alcune condutture idrauliche di piombo (CIL XI, 3587) . Il porticciolo romano era protetto da un molo rettilineo in cementizio poi inglobato da uno dell’epoca del papa Urbano VIII, a sua volta in gran parte distrutto e coperto dall’attuale impianto portuale. Forniva riparo a modeste imbarcazioni funzionali alla villa, oltre a garantire l’attracco ad eventuali altre in transito, ed era toccato dalla via Aurelia che transitava a pochissima distanza rasentando la coincidente statio di Punicum, il cui nome è testimoniato dalla Tabula Peutingeriana (IV, 4) . Ad un centinaio di metri dalla riva e a circa centoventi metri dal molo moderno, ad una profondità che va da 2 a 4 metri, su fondale prevalentemente sabbioso, è stato localizzato un giacimento di materiali archeologici, composto da numerosi pezzi di pareti e orli di dolia e di anfore: queste ultime sono rappresentate da frammenti di pareti e da anse a doppio bastone su collo cilindrico con orlo a collarino, riferibili alla forma Dressel 2-4 (Figg. 1-2). Alcuni frammenti portati in superficie clandestinamente appartenevano ad orli di grossi dolia con tratto di parete e due di essi rivelano l’appartenenza a contenitori di dimensioni maggiori rispetto agli altri. La presenza di dolia insieme alle Dressel 2-4, data la loro frequente associazione su relitti navali, ne indica appunto la pertinenza al carico di una nave romana. Dei frammenti dei tre dolia minori uno presenta un bollo in planta pedis, con testo su due righe, conservato purtroppo solo nella sua parte sinistra (Fig. 3); è tuttavia possibile riconoscervi una porzione del primo rigo e qualche lettera del secondo. Vi si legge: Diop[-]an / Ga[--]c[--]. In base a bolli dello stesso tipo documentati su altri dolia, si può proporre la lettura Diop[h]an[t(us)] / M. Ga[li]c[i s(ervus) . f(ecit)]. L’integrazione è autorizzata dal confronto con il bollo in planta pedis su un altro frammento di orlo e parete di dolio, conservato nei giardini del castello Odescalchi (Fig. 4), rinvenuto nello specchio di mare sottostante negli anni sessanta del secolo scorso. Fu quasi certamente recuperato dal medesimo relitto e vi si legge: M. Galicius / Diophant(us) . f(ecit) . I due bolli si riferiscono molto probabilmente alla stessa persona che vi compare in diversa condizione sociale. Dal bollo di cui si da qui notizia si evince che Diophantus fabbricò e timbrò il dolio quando era schiavo e che, presumibilmente poco tempo dopo, dopo avere migliorato il proprio status con la manomissione ma continuando a lavorare nella medesima figlina, fabbricò e timbrò anche l’altro dolio conservato nel castello. Un esempio di simile progressione sociale da parte di un officinatore doliare è riscontrabile a Porto Clementino (Tarquinia), dove, a poca distanza dalla riva, due probabili relitti hanno restituito frammenti di dolia globulari e cilindrici con bolli in planta pedis della gens Pirania. Due di essi sono timbrati: uno Philomusus / Pirani s(ervus) fe(cit), l’altro C(aius) Piranus /Philomusus f(ecit) . I due timbri del relitto di Santa Marinella vanno messi in relazione con altri due bolli in planta pedis, pertinenti alla gens Galicia, relativi a dolia recuperati in mare nell’Arcipelago Toscano e in Provenza. Uno, Apollonius /M(arci) Galici Primi s(ervus) f(ecit) (Fig. 5), proviene dal relitto Grand Ribaud D, della fine del I secolo a.C., scoperto nel 1978 a circa 18 m di profondità nei pressi di Tolone . Un altro, del quale si hanno scarsissime informazioni, fu recuperato nel 1986 da un motopeschereccio, circa otto miglia a sud dell’isola di Gorgona (Toscana), a circa 180 metri di profondità. Il testo è ancora inedito . L’individuazione a Santa Marinella di questo ulteriore relitto con dolia a bordo apporta un nuovo piccolo tassello alla lenta opera di ricostruzione di un aspetto particolare del commercio vinario manifestatosi nel Mediterraneo tra l’inizio dell’età augustea e la prima metà del I sec. d.C., periodo in cui si datano i relitti con dolia finora noti. In tale contesto è accertato il ruolo primario di Minturno, con il suo ricco territorio rinomato per una produzione vinicola di qualità, dove furono fabbricati i dolia e probabilmente alcune delle navi naufragate, delle quali si sono rintracciati i resti. Circa la metà dei relitti noti è infatti riconducibile a Minturno tramite i bolli (o attraverso l’analisi dell’argilla, come quello di La Maddalena, in Sardegna), che si riferiscono alla gens Pirania originaria della zona o a nomi di altri fabbricanti comunque associabili . L’insieme dei rinvenimenti sottomarini sembra indicare rotte commerciali che dal Lazio meridionale risalivano il Tirreno, toccavano le coste della Gallia e della penisola iberica, per poi tornare trasportando, grossomodo lungo il percorso inverso, carichi costituiti da altro vino. Questa dinamica “circolare” sarebbe testimoniata dai materiali rinvenuti e soprattutto dalle anfore che, al contrario dei dolia (la cui presenza a bordo è ritenuta prevalentemente stabile, anche se non va esclusa l’eventualità di un loro sbarco totale o parziale), variano di provenienza indicando molto probabilmente l’origine dell’ultimo viaggio che le navi stavano compiendo prima del naufragio. Naturalmente, tutto ciò va considerato in un ambito più vasto delle seppure considerevoli iniziative individuali dei negotiatores e navicularii minturnesi, tenendo conto del grande riassetto politico-economico dell’intero Mediterraneo in età augustea e nella prima metà del I secolo d.C. Cambiamenti importanti si verificarono probabilmente anche nelle modalità del commercio marittimo del vino, trasportato non più soltanto confezionato in anfore, ma anche all’ingrosso in grandi contenitori come i dolia, forse per soddisfare l’esigenza di prodotti più a basso costo - e di più bassa qualità - destinati ad un più largo ed immediato consumo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.