La condotta internazionale americana nei primi centocinquant’anni dopo l’indipendenza fu ispirata a due esortazioni complementari. Quella di George Washington a non impelagarsi negli affari europei e quella di Thomas Jefferson a evitare alleanze permanenti. Pensare che questi suggerimenti – scaturendo da condizioni materiali diverse – non siano più attuali costituisce un errore, secondo solo a confondere l’approccio che ne è storicamente derivato con l’isolazionismo. Al contrario, essi hanno contribuito a modellare una delle due principali opzioni strategiche – il restraint – tra le quali oscilla la politica estera degli Stati Uniti rispetto all’obiettivo condiviso della preservazione del loro primato globale. Solo considerando l’influenza di tale eredità sulla politica estera americana – che si è incidentalmente intersecata con il “fenomeno-Trump” – è possibile cogliere l’eccezionalità del Patto Atlantico dalla prospettiva di Washington. Eccezionale per l’obiettivo strategico che indicava, difendere lo status quo dall’eventualità di un attacco armato senza contraddire gli imperativi morali – anzitutto l’avversione all’equilibrio di potenza – degli Stati Uniti. Eccezionale per il raggio d’azione che tracciava, un’alleanza transregionale istituita a garanzia dei territori dei Paesi membri in America settentrionale ed Europa. Eccezionale, infine, per l’impegno che la superpotenza si assumeva, la guida politica, militare e morale di un ampio gruppo di Paesi – dagli interessi non di rado contrastanti – all’interno di una cornice altamente istituzionalizzata come quella della NATO. Al termine della Guerra fredda, intorno a questi tre elementi di eccezionalità sono sorti altrettanti interrogativi, che hanno visto gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei attestarsi su posizioni anche radicalmente diverse. Il primo chiama in causa la stessa ragion d’essere dello stare insieme all’interno della NATO, ovvero l’identificazione di minacce comuni. Il secondo riguarda il perimetro dell’Alleanza, ovvero l’estensione o meno del suo raggio d’azione. Il terzo deriva dal rapporto profondamente asimmetrico che intercorre tra gli Stati Uniti e i loro alleati, ovvero la ripartizione degli oneri al cospetto delle minacce emergenti.
La NATO e gli Stati Uniti / Natalizia, Gabriele; Maria Brusca, Elisa. - (2022), pp. 43-55.
La NATO e gli Stati Uniti
Gabriele Natalizia;
2022
Abstract
La condotta internazionale americana nei primi centocinquant’anni dopo l’indipendenza fu ispirata a due esortazioni complementari. Quella di George Washington a non impelagarsi negli affari europei e quella di Thomas Jefferson a evitare alleanze permanenti. Pensare che questi suggerimenti – scaturendo da condizioni materiali diverse – non siano più attuali costituisce un errore, secondo solo a confondere l’approccio che ne è storicamente derivato con l’isolazionismo. Al contrario, essi hanno contribuito a modellare una delle due principali opzioni strategiche – il restraint – tra le quali oscilla la politica estera degli Stati Uniti rispetto all’obiettivo condiviso della preservazione del loro primato globale. Solo considerando l’influenza di tale eredità sulla politica estera americana – che si è incidentalmente intersecata con il “fenomeno-Trump” – è possibile cogliere l’eccezionalità del Patto Atlantico dalla prospettiva di Washington. Eccezionale per l’obiettivo strategico che indicava, difendere lo status quo dall’eventualità di un attacco armato senza contraddire gli imperativi morali – anzitutto l’avversione all’equilibrio di potenza – degli Stati Uniti. Eccezionale per il raggio d’azione che tracciava, un’alleanza transregionale istituita a garanzia dei territori dei Paesi membri in America settentrionale ed Europa. Eccezionale, infine, per l’impegno che la superpotenza si assumeva, la guida politica, militare e morale di un ampio gruppo di Paesi – dagli interessi non di rado contrastanti – all’interno di una cornice altamente istituzionalizzata come quella della NATO. Al termine della Guerra fredda, intorno a questi tre elementi di eccezionalità sono sorti altrettanti interrogativi, che hanno visto gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei attestarsi su posizioni anche radicalmente diverse. Il primo chiama in causa la stessa ragion d’essere dello stare insieme all’interno della NATO, ovvero l’identificazione di minacce comuni. Il secondo riguarda il perimetro dell’Alleanza, ovvero l’estensione o meno del suo raggio d’azione. Il terzo deriva dal rapporto profondamente asimmetrico che intercorre tra gli Stati Uniti e i loro alleati, ovvero la ripartizione degli oneri al cospetto delle minacce emergenti.File | Dimensione | Formato | |
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