La grande metropoli mediterranea che nel corso del tardo Novecento si è formata nelle aree più esterne del comune di Roma è, per molti versi, uno dei più potenti paradigmi della sconfitta del sogno moder-nista di progettare razionalmente tutto il territorio antropizzato. In questo paesaggio caotico ma entusiasmante, dominato dalle grandi infrastrutture autostradali, l’architettura non è affatto assente, ma appare sporadicamente con eclatanti manifestazioni cariche di forza figurativa. In particolare, tra i grandi edifici iconici della «Città mediterranea del Grande Raccor-do Anulare» spiccano gli enormi complessi residenziali pubblici della legge 167, le nuove cattedrali del consumo dei centri commerciali e degli outlet, i parchi a tema, i nuovi centri dell’istruzione e ricer-ca universitaria, i grandi poli della Sanità e i giganteschi centri sportivi, a volte “misteriosamente” non finiti, come le famigerate Vele di Santiago Calatrava a Tor Vergata. Tuttavia, nonostante la forza figu-rativa di queste presenze, appare chiaro che a Roma questa città per parti non è affatto riuscita a strut-turare una nuova “identità”, né a caratterizzare le nuove articolazioni urbane, ma è naufragata in un contesto urbano informale e abusivo, nonché nei resti della mitica campagna romana. Nel corso del Novecento, infatti, il normale processo di addizione dei nuovi quartieri al corpo storico della città si è interrotto e il tessuto urbano si è disgregato in una galassia pulviscolare di costruito sen-za più nessuna forma progettata. La città, così, si è accresciuta attraverso aggiunte incoerenti a carattere residenziale che non sono mai riuscite a diventare un sistema, tra cui: i già citati Piani di Zona delle 167 d’iniziativa pubblica; le più recenti lottizzazioni speculative d’iniziativa privata, totalmente sforni-te di qualità urbane e architettoniche; le “villettopoli” altoborghesi dei pregiati territori periferici verso nord e verso il mare; le zone costruite in maniera informale con edifici, lottizzazioni, a volte interi quartieri, non previsti dai piani o addirittura interamente abusivi, frutto dell'infinita fame della classe imprenditoriale locale, ma, anche, della totale idiosincrasia dei nuovi abitanti metropolitani a qualsiasi regola urbana. L’unica certezza di questa incredibile distesa di metri cubi dispersa sul territorio è il suo esclusivo ca-rattere domestico: Roma contemporanea, insomma, è una metropoli di sole case.
Una periferia mediterranea / Lanzetta, Alessandro. - (2022), pp. 103-113.
Una periferia mediterranea
Alessandro Lanzetta
2022
Abstract
La grande metropoli mediterranea che nel corso del tardo Novecento si è formata nelle aree più esterne del comune di Roma è, per molti versi, uno dei più potenti paradigmi della sconfitta del sogno moder-nista di progettare razionalmente tutto il territorio antropizzato. In questo paesaggio caotico ma entusiasmante, dominato dalle grandi infrastrutture autostradali, l’architettura non è affatto assente, ma appare sporadicamente con eclatanti manifestazioni cariche di forza figurativa. In particolare, tra i grandi edifici iconici della «Città mediterranea del Grande Raccor-do Anulare» spiccano gli enormi complessi residenziali pubblici della legge 167, le nuove cattedrali del consumo dei centri commerciali e degli outlet, i parchi a tema, i nuovi centri dell’istruzione e ricer-ca universitaria, i grandi poli della Sanità e i giganteschi centri sportivi, a volte “misteriosamente” non finiti, come le famigerate Vele di Santiago Calatrava a Tor Vergata. Tuttavia, nonostante la forza figu-rativa di queste presenze, appare chiaro che a Roma questa città per parti non è affatto riuscita a strut-turare una nuova “identità”, né a caratterizzare le nuove articolazioni urbane, ma è naufragata in un contesto urbano informale e abusivo, nonché nei resti della mitica campagna romana. Nel corso del Novecento, infatti, il normale processo di addizione dei nuovi quartieri al corpo storico della città si è interrotto e il tessuto urbano si è disgregato in una galassia pulviscolare di costruito sen-za più nessuna forma progettata. La città, così, si è accresciuta attraverso aggiunte incoerenti a carattere residenziale che non sono mai riuscite a diventare un sistema, tra cui: i già citati Piani di Zona delle 167 d’iniziativa pubblica; le più recenti lottizzazioni speculative d’iniziativa privata, totalmente sforni-te di qualità urbane e architettoniche; le “villettopoli” altoborghesi dei pregiati territori periferici verso nord e verso il mare; le zone costruite in maniera informale con edifici, lottizzazioni, a volte interi quartieri, non previsti dai piani o addirittura interamente abusivi, frutto dell'infinita fame della classe imprenditoriale locale, ma, anche, della totale idiosincrasia dei nuovi abitanti metropolitani a qualsiasi regola urbana. L’unica certezza di questa incredibile distesa di metri cubi dispersa sul territorio è il suo esclusivo ca-rattere domestico: Roma contemporanea, insomma, è una metropoli di sole case.File | Dimensione | Formato | |
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