Il saggio si incentra sul linguaggio dei magistrati in due diversi momenti della loro attività e in un periodo storico che va dall’età liberale ai primi venti anni della Repubblica. Il primo aspetto che si affronterà è relativo al linguaggio “pubblico”, espresso in al-cune, particolari occasioni quali furono i discorsi pronunciati nelle aule delle Corti d’appello e di Cassazione in occasione delle solenni inaugurazioni degli anni giudiziari. È questo un vero e proprio “teatro”, a cui assiste un pubblico qualificato di autorità e altri magistrati e dove si svolge una “rappresentazione” (o, per meglio dire, un’autorappresentazione) della giustizia in toga e tocco. Il secondo aspetto di cui ci si occuperà è invece, come dire, meno evidente: riguarda lo “stile” delle sentenze. Questi testi – si ricorda -, anche se destinati alla pubblica-zione, sono elaborati e scritti invece dall’estensore nel “privato” del suo studio. Qui il magistrato lavora di fino, alla luce dei precedenti, della normativa, della dottrina, ma anche sulla base dei valori culturali, politici, sociali del tempo così come lui stesso e i suoi colleghi di collegio li percepiscono; valori i quali non solo si riflettono sulla sostanza della decisione ma si traducono anche, consapevolmente o inconsapevolmente, nell’utilizzo di alcuni stilemi e di formulazioni peculiari. Il linguaggio dei magistrati emerge alla fine come dualistico, quasi scisso: da una parte quello espresso in forma parlata e pubblica (nei discorsi pronunciati in occasioni ufficiali dagli alti gradi della magistratura) e dall’altra quello scritto, riflesso nella stesura materiale della sentenza. Da questa rassegna, necessariamente sintetica, si trarranno infine alcune possibili conclusioni.
Il discorso giudiziario (1861-1969) / Meniconi, Antonella. - (2021), pp. 227-253.
Il discorso giudiziario (1861-1969)
Antonella Meniconi
2021
Abstract
Il saggio si incentra sul linguaggio dei magistrati in due diversi momenti della loro attività e in un periodo storico che va dall’età liberale ai primi venti anni della Repubblica. Il primo aspetto che si affronterà è relativo al linguaggio “pubblico”, espresso in al-cune, particolari occasioni quali furono i discorsi pronunciati nelle aule delle Corti d’appello e di Cassazione in occasione delle solenni inaugurazioni degli anni giudiziari. È questo un vero e proprio “teatro”, a cui assiste un pubblico qualificato di autorità e altri magistrati e dove si svolge una “rappresentazione” (o, per meglio dire, un’autorappresentazione) della giustizia in toga e tocco. Il secondo aspetto di cui ci si occuperà è invece, come dire, meno evidente: riguarda lo “stile” delle sentenze. Questi testi – si ricorda -, anche se destinati alla pubblica-zione, sono elaborati e scritti invece dall’estensore nel “privato” del suo studio. Qui il magistrato lavora di fino, alla luce dei precedenti, della normativa, della dottrina, ma anche sulla base dei valori culturali, politici, sociali del tempo così come lui stesso e i suoi colleghi di collegio li percepiscono; valori i quali non solo si riflettono sulla sostanza della decisione ma si traducono anche, consapevolmente o inconsapevolmente, nell’utilizzo di alcuni stilemi e di formulazioni peculiari. Il linguaggio dei magistrati emerge alla fine come dualistico, quasi scisso: da una parte quello espresso in forma parlata e pubblica (nei discorsi pronunciati in occasioni ufficiali dagli alti gradi della magistratura) e dall’altra quello scritto, riflesso nella stesura materiale della sentenza. Da questa rassegna, necessariamente sintetica, si trarranno infine alcune possibili conclusioni.File | Dimensione | Formato | |
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