“Fu, soprattutto, un rètore, e la cui opera scientifica si è ridotta a nulla in pochi anni”. Il secco giudizio espresso da Ranuccio Bianchi Bandinelli, tra i padri dell’archeologia classica contemporanea, nei confronti dell’opera di Giacomo Boni esemplifica egregiamente il disagio culturale e disciplinare per decenni avvertito dalla comunità scientifica verso una delle figure più “eccentriche” della storia dell’archeologia italiana; un disagio certamente amplificato dal confronto con la parossistica e quasi ideologica esaltazione che di quella personalità – scienziato, poeta e vate dell’archeologia romana del primo Novecento – costruirono e divulgarono i suoi più fedeli collaboratori ed entusiasti biografi. In effetti, la valutazione critica della proteiforme attività di disegnatore, restauratore, architetto, decoratore, fotografo, archeologo, antropologo, botanico, pubblicista, saggista, filantropo, pedagogo e politico esercitata da Boni negli oltre quaranta anni di attività a Venezia, a Roma e in molte regioni d’Italia, prima come “libero professionista” e poi, dall’età di ventinove anni, nei ranghi del Ministero della Pubblica Istruzione, ha impegnato generazioni di storici, archeologi e architetti, con esiti molto diversi nei rispettivi contesti culturali e politici, dal periodo fascista a oggi. Tuttavia, è solo grazie alla recentissima edizione di un’ampia e diversificata documentazione archivistica, e al relativo inquadramento storico e culturale, che è stato possibile tratteggiare un profilo umano, intellettuale e professionale del personaggio, meno parziale e approssimativo.

Giacomo Boni e l’“Accademia” / Palombi, Domenico. - (2021), pp. 126-131.

Giacomo Boni e l’“Accademia”

domenico palombi
2021

Abstract

“Fu, soprattutto, un rètore, e la cui opera scientifica si è ridotta a nulla in pochi anni”. Il secco giudizio espresso da Ranuccio Bianchi Bandinelli, tra i padri dell’archeologia classica contemporanea, nei confronti dell’opera di Giacomo Boni esemplifica egregiamente il disagio culturale e disciplinare per decenni avvertito dalla comunità scientifica verso una delle figure più “eccentriche” della storia dell’archeologia italiana; un disagio certamente amplificato dal confronto con la parossistica e quasi ideologica esaltazione che di quella personalità – scienziato, poeta e vate dell’archeologia romana del primo Novecento – costruirono e divulgarono i suoi più fedeli collaboratori ed entusiasti biografi. In effetti, la valutazione critica della proteiforme attività di disegnatore, restauratore, architetto, decoratore, fotografo, archeologo, antropologo, botanico, pubblicista, saggista, filantropo, pedagogo e politico esercitata da Boni negli oltre quaranta anni di attività a Venezia, a Roma e in molte regioni d’Italia, prima come “libero professionista” e poi, dall’età di ventinove anni, nei ranghi del Ministero della Pubblica Istruzione, ha impegnato generazioni di storici, archeologi e architetti, con esiti molto diversi nei rispettivi contesti culturali e politici, dal periodo fascista a oggi. Tuttavia, è solo grazie alla recentissima edizione di un’ampia e diversificata documentazione archivistica, e al relativo inquadramento storico e culturale, che è stato possibile tratteggiare un profilo umano, intellettuale e professionale del personaggio, meno parziale e approssimativo.
2021
Giacomo Boni. L’alba della modernità
978-88-9282-109-5
Giacomo Boni; Novecento; storia dell'archeologia; accademia; Foro Romano
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Giacomo Boni e l’“Accademia” / Palombi, Domenico. - (2021), pp. 126-131.
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