Dobbiamo sforzarci di far capire alla gente a che cosa serve il nostro lavoro. Naturalmente per un architetto questo è possibile farlo in tanti modi: il più naturale è quello di dimostrare di saper incidere direttamente nella realtà qualificandola con il nostro operato. Ed è chiaro che io, quando ho potuto, l’ho fatto: fino alla fine del 2008, quando ho preso di servizio come ricercatore universitario a tempo pieno, mi sono battuto per realizzare tutto quello che ho potuto. Adesso naturalmente non mi è più possibile (e anche su questo dovremmo farci sentire con maggiore forza) e come molti di noi coltivo l’esercizio del progetto in modo diverso. Credo, però, che anche da questa posizione si possa fare molto, seppure in modo indiretto, ovvero contribuire a costruire un consenso diffuso e trasversale intorno all’architettura, che per esempio trovo a Buenos Aires tra le persone che non se ne occupano direttamente, e qui invece è molto difficile riscontrare. Nel libro del quale si è parlato prima, mi chiedevo, come interrogativo retorico, che cosa avrebbero fatto oggi i grandi maestri dell’architettura, richiamando un noto aforisma di Alvar Aalto che recita: “io non scrivo, costruisco”. La risposta che mi sono dato è che forse avrebbero fatto altro, un po’ perché non è più così necessario costruire, almeno nel mondo occidentale che è quello che viviamo, un po’ perché ci sono frangenti nei quali, per usare una metafora, prima di mettersi a giocare è necessario definire il campo, stabilire le regole e coinvolgere il pubblico. Ricostruire una cultura del progetto, uno sfondo ideologico sul quale proiettare il nostro agire è il compito che ci spetta. Non possiamo sottrarci.
Modi di scrivere (intervento tavola rotonda) / Toppetti, Fabrizio. - (2021), pp. 68-70.
Modi di scrivere (intervento tavola rotonda)
fabrizio toppetti
2021
Abstract
Dobbiamo sforzarci di far capire alla gente a che cosa serve il nostro lavoro. Naturalmente per un architetto questo è possibile farlo in tanti modi: il più naturale è quello di dimostrare di saper incidere direttamente nella realtà qualificandola con il nostro operato. Ed è chiaro che io, quando ho potuto, l’ho fatto: fino alla fine del 2008, quando ho preso di servizio come ricercatore universitario a tempo pieno, mi sono battuto per realizzare tutto quello che ho potuto. Adesso naturalmente non mi è più possibile (e anche su questo dovremmo farci sentire con maggiore forza) e come molti di noi coltivo l’esercizio del progetto in modo diverso. Credo, però, che anche da questa posizione si possa fare molto, seppure in modo indiretto, ovvero contribuire a costruire un consenso diffuso e trasversale intorno all’architettura, che per esempio trovo a Buenos Aires tra le persone che non se ne occupano direttamente, e qui invece è molto difficile riscontrare. Nel libro del quale si è parlato prima, mi chiedevo, come interrogativo retorico, che cosa avrebbero fatto oggi i grandi maestri dell’architettura, richiamando un noto aforisma di Alvar Aalto che recita: “io non scrivo, costruisco”. La risposta che mi sono dato è che forse avrebbero fatto altro, un po’ perché non è più così necessario costruire, almeno nel mondo occidentale che è quello che viviamo, un po’ perché ci sono frangenti nei quali, per usare una metafora, prima di mettersi a giocare è necessario definire il campo, stabilire le regole e coinvolgere il pubblico. Ricostruire una cultura del progetto, uno sfondo ideologico sul quale proiettare il nostro agire è il compito che ci spetta. Non possiamo sottrarci.File | Dimensione | Formato | |
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