Il panorama della pianificazione della mobilità e del trasporto in Italia si è contraddistinto negli ultimi decenni per una crescente attenzione nei confronti delle “nuove missioni” che i soggetti dell’arena urbana hanno inteso affidare allo spazio del movimento. Quest’ultimo ha assunto progressivamente un ruolo polisemico, travalicando gli angusti confini dell’originale dimensione tecnico-funzionale che ne aveva tradizionalmente caratterizzato lo statuto fondativo. Si è trattato di un processo evolutivo che, nel suo iter recente, si è sviluppato fin dalla seconda metà del secolo scorso giungendo ad una condizione di progressiva maturazione con alcuni passaggi rinvenibili nell’ultimo ventennio. Nella filosofia degli strumenti di controllo e di organizzazione della circolazione, dopo il dominio incontrastato dell’automobile nella stagione della grande espansione dell’economia del secondo dopoguerra, i fenomeni di progressiva congestione viaria e accelerato degrado dell’ambiente urbano hanno indotto a riflettere sulla necessità di progettare lo spazio destinato alla circolazione tenendo conto delle modalità di spostamento fino ad allora considerate “recessive” (a due ruote e pedonali); il modello culturale sotteso dai piani di settore tra la fine degli anno settanta e la prima metà del decennio successivo delineava infatti, nei casi più virtuosi, una logica di “coesistenza subordinata” dei sistemi di trasporto collettivo e delle altre forme di circolazione alternative all’auto privata. All’inizio degli anni ottanta, lo spazio del movimento ha cominciato a rivendicare una maggiore qualità progettuale nel disegno di “sedi” specifiche da destinare alle direttrici primarie del trasporto collettivo (in questo favorita dall’innovazione tecnologica dei vettori e dei sistemi di controllo), dei veicoli a due ruote (biciclette in particolare, visto il loro “dna” friendly ed “ecologico ante litteram”), degli stessi pedoni. Il fallimento dei modelli urbanistici di eredità funzionalista, caratterizzati dalla separazione del traffico veicolare e dei luoghi di sosta dal sistema degli spazi pubblici e dalla scarsa “sensibilità adattiva” nei confronti delle matrici morfologiche della città consolidata, induceva le istituzioni e la cultura disciplinare (in Italia sulla scia degli altri paesi europei più avanzati) a riflettere sugli effetti perversi prodotti sull’ambiente urbano non solo in ragione della povertà espressiva e dal deficit d’identità dei nuovi quartieri d’espansione (frutto di una visione incardinata sull’autoreferenzialità delle parti a scapito della riconoscibilità di un’immagine unitaria), ma anche a causa dell’invadente pervasività dell’automobile tendente a compromette i tradizionali valori culturali dell’espace public. Nella seconda metà degli anni ottanta la maturazione delle tematiche legate alla “questione ambiente” e la declinazione in campo urbano dei principi dello “sviluppo sostenibile” producevano riverberazioni sostantive sull’identità degli strumenti di pianificazione del movimento. Il mutamento della gerarchia degli interessi esplicitava il primato derivante dall’”imperativo ecologico” e poneva in rilievo la sensibilità alla tematica emergente della salvaguardia della salute della civitas; da qui la necessità di rimodulare gli obiettivi della pianificazione infrastrutturale in modo da assicurare adeguati livelli di qualità dell’ambiente urbano mettendo in campo tutte le misure utili a monitorare e ridurre i detrattori della salubrità dell’aria, sia in termini di emissioni inquinanti che di rumore. L’ultimo passaggio fin de siecle ha proiettato i contenuti della pianificazione della mobilità verso un orizzonte più maturo, tendenzialmente in grado di cogliere una visione della realtà urbana in chiave “olistica”, integrando ai temi ormai consolidati (performance tecnico-funzionali, qualità ambientale, disegno dello spazio pubblico) le istanze derivanti dai “nuovi bisogni” sociali, emergenti dalla dialettica tra i principi di solidarietà/coesione socio-territoriale e la logica dei sistemi competitivi. Nel testo viene dunque ricostruita sinteticamente la vicenda della pianificazione della mobilità e del trasporto, ai diversi livelli di competenza, dal disegno delle Reti TransEuropee, agli strumenti a scala nazionale, regionale e locale, cui si aggiunge il ruolo dei soggetti istituzionali di settore.

La pianificazione della mobilità e del trasporto in Italia. Un sintetico quadro ricostruttivo e qualche riflessione critica / Monardo, Bruno. - STAMPA. - (2008), pp. 58-70.

La pianificazione della mobilità e del trasporto in Italia. Un sintetico quadro ricostruttivo e qualche riflessione critica

MONARDO, Bruno
2008

Abstract

Il panorama della pianificazione della mobilità e del trasporto in Italia si è contraddistinto negli ultimi decenni per una crescente attenzione nei confronti delle “nuove missioni” che i soggetti dell’arena urbana hanno inteso affidare allo spazio del movimento. Quest’ultimo ha assunto progressivamente un ruolo polisemico, travalicando gli angusti confini dell’originale dimensione tecnico-funzionale che ne aveva tradizionalmente caratterizzato lo statuto fondativo. Si è trattato di un processo evolutivo che, nel suo iter recente, si è sviluppato fin dalla seconda metà del secolo scorso giungendo ad una condizione di progressiva maturazione con alcuni passaggi rinvenibili nell’ultimo ventennio. Nella filosofia degli strumenti di controllo e di organizzazione della circolazione, dopo il dominio incontrastato dell’automobile nella stagione della grande espansione dell’economia del secondo dopoguerra, i fenomeni di progressiva congestione viaria e accelerato degrado dell’ambiente urbano hanno indotto a riflettere sulla necessità di progettare lo spazio destinato alla circolazione tenendo conto delle modalità di spostamento fino ad allora considerate “recessive” (a due ruote e pedonali); il modello culturale sotteso dai piani di settore tra la fine degli anno settanta e la prima metà del decennio successivo delineava infatti, nei casi più virtuosi, una logica di “coesistenza subordinata” dei sistemi di trasporto collettivo e delle altre forme di circolazione alternative all’auto privata. All’inizio degli anni ottanta, lo spazio del movimento ha cominciato a rivendicare una maggiore qualità progettuale nel disegno di “sedi” specifiche da destinare alle direttrici primarie del trasporto collettivo (in questo favorita dall’innovazione tecnologica dei vettori e dei sistemi di controllo), dei veicoli a due ruote (biciclette in particolare, visto il loro “dna” friendly ed “ecologico ante litteram”), degli stessi pedoni. Il fallimento dei modelli urbanistici di eredità funzionalista, caratterizzati dalla separazione del traffico veicolare e dei luoghi di sosta dal sistema degli spazi pubblici e dalla scarsa “sensibilità adattiva” nei confronti delle matrici morfologiche della città consolidata, induceva le istituzioni e la cultura disciplinare (in Italia sulla scia degli altri paesi europei più avanzati) a riflettere sugli effetti perversi prodotti sull’ambiente urbano non solo in ragione della povertà espressiva e dal deficit d’identità dei nuovi quartieri d’espansione (frutto di una visione incardinata sull’autoreferenzialità delle parti a scapito della riconoscibilità di un’immagine unitaria), ma anche a causa dell’invadente pervasività dell’automobile tendente a compromette i tradizionali valori culturali dell’espace public. Nella seconda metà degli anni ottanta la maturazione delle tematiche legate alla “questione ambiente” e la declinazione in campo urbano dei principi dello “sviluppo sostenibile” producevano riverberazioni sostantive sull’identità degli strumenti di pianificazione del movimento. Il mutamento della gerarchia degli interessi esplicitava il primato derivante dall’”imperativo ecologico” e poneva in rilievo la sensibilità alla tematica emergente della salvaguardia della salute della civitas; da qui la necessità di rimodulare gli obiettivi della pianificazione infrastrutturale in modo da assicurare adeguati livelli di qualità dell’ambiente urbano mettendo in campo tutte le misure utili a monitorare e ridurre i detrattori della salubrità dell’aria, sia in termini di emissioni inquinanti che di rumore. L’ultimo passaggio fin de siecle ha proiettato i contenuti della pianificazione della mobilità verso un orizzonte più maturo, tendenzialmente in grado di cogliere una visione della realtà urbana in chiave “olistica”, integrando ai temi ormai consolidati (performance tecnico-funzionali, qualità ambientale, disegno dello spazio pubblico) le istanze derivanti dai “nuovi bisogni” sociali, emergenti dalla dialettica tra i principi di solidarietà/coesione socio-territoriale e la logica dei sistemi competitivi. Nel testo viene dunque ricostruita sinteticamente la vicenda della pianificazione della mobilità e del trasporto, ai diversi livelli di competenza, dal disegno delle Reti TransEuropee, agli strumenti a scala nazionale, regionale e locale, cui si aggiunge il ruolo dei soggetti istituzionali di settore.
2008
Tecniche e procedure di VIA. Lezioni per un corso di formazione.
9788886368100
"Dominio infrastrutturale; coesione socio-territoriale; approccio olistico"
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
La pianificazione della mobilità e del trasporto in Italia. Un sintetico quadro ricostruttivo e qualche riflessione critica / Monardo, Bruno. - STAMPA. - (2008), pp. 58-70.
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