I flussi migratori dai Paesi islamici verso l’Italia si delineano già a partire dagli anni ‘80, provenienti in primis da nazioni arabe (soprattutto Egitto, Marocco, Tunisia) ed in una seconda fase da quelli asiatici (Bangladesh e Pakistan) ed europei (Albania e Bosnia) e furono caratterizzati da una forte presenza iniziale maschile in cerca di lavoro. I lavoratori musulmani si stanziarono per lo più nelle regioni del Nord, come manodopera per le piccole e medie aziende e i grandi comparti industriali; una volta raggiunga una prima “stabilità” economica, la presenza islamica si è andata via via stabilizzando, grazie anche ai ricongiungimenti familiari. Fatta la doverosa premessa che in assenza di data-base per appartenenza religiosa è possibile procedere solo attraverso delle stime, integrando diverse fonti (ISMU, Pew, Istat) è possibile valutare al 2018 questa presenza islamica a 2,6 milioni di musulmani residenti, di cui oltre un milione con cittadinanza italiana, pari al 4,4% della popolazione complessiva in Italia.Tra le comunità straniere, quelle con maggior numero di musulmani sono quella marocchina (405 mila), albanese (201 mila), bengalese (111 mila), pakistana (108 mila) ed egiziana (102 mila) ed insieme concentrano quasi i 2/3 di tutti i musulmani stranieri; fra quelli con cittadinanza italiana invece, circa il 40% sono “ex-stranieri” naturalizzati (solamente tra il 2012 e il 2017 circa 300 mila stranieri musulmani hanno ottenuto la cittadinanza). Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio, per più della metà (55%) si concentrano in sole quattro regioni: Lombardia (il 25% complessivo, con Milano e Brescia prima e terza provincia per numero in assoluto), Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto. Discreta la presenza anche in Toscana, Lazio, Campania e Sicilia, scarsa in tutte le altre regioni. Relativamente alle modalità di insediamento sul territorio, inizialmente i musulmani si sono insediati nelle aree più periferiche della città, per via del basso-costo degli affitti, seguendo una logica più “etnico-nazionale” che religiosa. Successivamente, nel corso degli anni, nei quartieri/zone di maggiore concentrazione musulmana, sono sorti diversi luoghi di culto spontanei e tutta una serie di attività collaterali (negozi con prodotti tipici dei paesi di origine, ristoranti etnici, macellerie halal, etc.) i cui principali fruitori sono clienti musulmani. In particolare, per quanto riguarda i luoghi di culto, questi possono essere divisi in tre tipologie: a) moschee ad hoc, che possono essere provviste di elementi architettonici islamici visibili quali la cupola o il minareto (in Italia vi sono 8 moschee con questa tipologia); b) centro islamici, di medie dimensioni, che nascono principalmente con funzioni di attività a carattere sociale e culturale al cui interno si svolgono anche attività di culto c) sala preghiera, di piccole dimensioni, la cui nascita è generalmente legata a iniziative volontarie e auto-organizzate di piccoli gruppi di fedeli. Attualmente secondo il Ministero dell’Interno sono circa 1.400 i luoghi di culto islamici presenti sul territorio; tuttavia sono spesso nascosti, in una sorta di “mimetismo religioso”, poiché per lo più ubicati all’interno di edifici (ex capannoni, garage, cantine) che non nascono come luoghi di culto, spesso poco consoni e degni per svolgere attività legate alla proprio fede spirituale, e che a volte alimentano l’immagine del luogo di culto islamico “abusivo” e “illegale”. Tuttavia ad oggi ancora non è stata siglata nessun intesa tra lo Stato Italiano e la seconda confessione religiosa del Paese, quella islamica, che secondo l’art. 8 della Costituzione dovrebbe avvenire, per le religioni diverse da quella cattolica, con la relativa rappresentanza (nel caso dell’Islam in Italia non vi è ne una Chiesa ne un’unica rappresentanza di riferimento, ma diverse associazioni/organizzazioni nate nel corso degli anni). Tale accordo infatti, dovrebbe andare a regolare vari aspetti, e non solo quello dei luoghi di culto: si pensi ad esempio alla possibilità di poter disporre all’interno dei cimiteri comunali di uno spazio specifico per i defunti di confessione islamica; mentre ad oggi questo non avviene quasi mai. Esemplare il caso di Roma, prima città italiana per numero di musulmani, metà dei quali concentrati in soli tre Municipi (I, V e VI), al cui interno vi sono delle aree urbane che più di altre hanno visto nel tempo una serie di modifiche legate alla presenza musulmana, che in pochi anni ha visto un aumento dalle 10 mila presenze dei primi anni duemila agli attuali 140 mila (5% di tutti i residenti nella Capitale). In particolare alcune zone periferiche (tra le più note Torpignattara e Centocelle) ad alta concentrazione straniera, e quindi anche musulmana, nel corso degli anni hanno visto un notevole aumento delle cosiddette “moschee di quartiere”, nonostante Roma disponga di una Grande Moschea ai Parioli, ma non in grado di assorbire il numero dei fedeli islamici, che specie durante speciali occasioni (mese sacro del Ramadan) vede aumentare notevolmente il numero dei praticanti. Siamo in presenza quindi di una collettività musulmana che, seppur conseguenza dei flussi migratori degli ultimi 30-20 anni, oggi ne è sempre meno legata, mentre avanza una seconda generazione di musulmani nati e cresciuti qui; una popolazione che esprime delle proprie necessità e richiede un riconoscimento pubblico che ad oggi non è ancora avvenuto. Anzi, aumentano sempre più episodi di islamofobia e di atteggiamenti ostili da parte della popolazione autoctona nei confronti della minoranza musulmana, che andrebbero monitorati con una certa attenzione.

L’Islam nello spazio urbano italiano e Roma come caso-studio / Ciocca, Fabrizio. - (2021), pp. 319-334.

L’Islam nello spazio urbano italiano e Roma come caso-studio

Fabrizio Ciocca
2021

Abstract

I flussi migratori dai Paesi islamici verso l’Italia si delineano già a partire dagli anni ‘80, provenienti in primis da nazioni arabe (soprattutto Egitto, Marocco, Tunisia) ed in una seconda fase da quelli asiatici (Bangladesh e Pakistan) ed europei (Albania e Bosnia) e furono caratterizzati da una forte presenza iniziale maschile in cerca di lavoro. I lavoratori musulmani si stanziarono per lo più nelle regioni del Nord, come manodopera per le piccole e medie aziende e i grandi comparti industriali; una volta raggiunga una prima “stabilità” economica, la presenza islamica si è andata via via stabilizzando, grazie anche ai ricongiungimenti familiari. Fatta la doverosa premessa che in assenza di data-base per appartenenza religiosa è possibile procedere solo attraverso delle stime, integrando diverse fonti (ISMU, Pew, Istat) è possibile valutare al 2018 questa presenza islamica a 2,6 milioni di musulmani residenti, di cui oltre un milione con cittadinanza italiana, pari al 4,4% della popolazione complessiva in Italia.Tra le comunità straniere, quelle con maggior numero di musulmani sono quella marocchina (405 mila), albanese (201 mila), bengalese (111 mila), pakistana (108 mila) ed egiziana (102 mila) ed insieme concentrano quasi i 2/3 di tutti i musulmani stranieri; fra quelli con cittadinanza italiana invece, circa il 40% sono “ex-stranieri” naturalizzati (solamente tra il 2012 e il 2017 circa 300 mila stranieri musulmani hanno ottenuto la cittadinanza). Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio, per più della metà (55%) si concentrano in sole quattro regioni: Lombardia (il 25% complessivo, con Milano e Brescia prima e terza provincia per numero in assoluto), Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto. Discreta la presenza anche in Toscana, Lazio, Campania e Sicilia, scarsa in tutte le altre regioni. Relativamente alle modalità di insediamento sul territorio, inizialmente i musulmani si sono insediati nelle aree più periferiche della città, per via del basso-costo degli affitti, seguendo una logica più “etnico-nazionale” che religiosa. Successivamente, nel corso degli anni, nei quartieri/zone di maggiore concentrazione musulmana, sono sorti diversi luoghi di culto spontanei e tutta una serie di attività collaterali (negozi con prodotti tipici dei paesi di origine, ristoranti etnici, macellerie halal, etc.) i cui principali fruitori sono clienti musulmani. In particolare, per quanto riguarda i luoghi di culto, questi possono essere divisi in tre tipologie: a) moschee ad hoc, che possono essere provviste di elementi architettonici islamici visibili quali la cupola o il minareto (in Italia vi sono 8 moschee con questa tipologia); b) centro islamici, di medie dimensioni, che nascono principalmente con funzioni di attività a carattere sociale e culturale al cui interno si svolgono anche attività di culto c) sala preghiera, di piccole dimensioni, la cui nascita è generalmente legata a iniziative volontarie e auto-organizzate di piccoli gruppi di fedeli. Attualmente secondo il Ministero dell’Interno sono circa 1.400 i luoghi di culto islamici presenti sul territorio; tuttavia sono spesso nascosti, in una sorta di “mimetismo religioso”, poiché per lo più ubicati all’interno di edifici (ex capannoni, garage, cantine) che non nascono come luoghi di culto, spesso poco consoni e degni per svolgere attività legate alla proprio fede spirituale, e che a volte alimentano l’immagine del luogo di culto islamico “abusivo” e “illegale”. Tuttavia ad oggi ancora non è stata siglata nessun intesa tra lo Stato Italiano e la seconda confessione religiosa del Paese, quella islamica, che secondo l’art. 8 della Costituzione dovrebbe avvenire, per le religioni diverse da quella cattolica, con la relativa rappresentanza (nel caso dell’Islam in Italia non vi è ne una Chiesa ne un’unica rappresentanza di riferimento, ma diverse associazioni/organizzazioni nate nel corso degli anni). Tale accordo infatti, dovrebbe andare a regolare vari aspetti, e non solo quello dei luoghi di culto: si pensi ad esempio alla possibilità di poter disporre all’interno dei cimiteri comunali di uno spazio specifico per i defunti di confessione islamica; mentre ad oggi questo non avviene quasi mai. Esemplare il caso di Roma, prima città italiana per numero di musulmani, metà dei quali concentrati in soli tre Municipi (I, V e VI), al cui interno vi sono delle aree urbane che più di altre hanno visto nel tempo una serie di modifiche legate alla presenza musulmana, che in pochi anni ha visto un aumento dalle 10 mila presenze dei primi anni duemila agli attuali 140 mila (5% di tutti i residenti nella Capitale). In particolare alcune zone periferiche (tra le più note Torpignattara e Centocelle) ad alta concentrazione straniera, e quindi anche musulmana, nel corso degli anni hanno visto un notevole aumento delle cosiddette “moschee di quartiere”, nonostante Roma disponga di una Grande Moschea ai Parioli, ma non in grado di assorbire il numero dei fedeli islamici, che specie durante speciali occasioni (mese sacro del Ramadan) vede aumentare notevolmente il numero dei praticanti. Siamo in presenza quindi di una collettività musulmana che, seppur conseguenza dei flussi migratori degli ultimi 30-20 anni, oggi ne è sempre meno legata, mentre avanza una seconda generazione di musulmani nati e cresciuti qui; una popolazione che esprime delle proprie necessità e richiede un riconoscimento pubblico che ad oggi non è ancora avvenuto. Anzi, aumentano sempre più episodi di islamofobia e di atteggiamenti ostili da parte della popolazione autoctona nei confronti della minoranza musulmana, che andrebbero monitorati con una certa attenzione.
2021
LAVORI MIGRANTI: Storia, esperienze e conflitti dal secondo dopoguerra ai giorni nostri
978-88-95315-77-5
Musulmani; Islam; moschee; migrazioni
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
L’Islam nello spazio urbano italiano e Roma come caso-studio / Ciocca, Fabrizio. - (2021), pp. 319-334.
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Ciocca_L’Islam nello spazio urbano_2021.pdf

solo gestori archivio

Tipologia: Versione editoriale (versione pubblicata con il layout dell'editore)
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 1.7 MB
Formato Adobe PDF
1.7 MB Adobe PDF   Contatta l'autore

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1566193
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact