Paola Veronica Dell'Aira, "PERFORMING INSIDES". Da circa un secolo, il tema della “perfettibilità” in ambiente domestico non mostra cali di interesse. Fonte di innumerevoli sperimentazioni progettuali ed inesauribile movente di sfida per il progetto architettonico, non smette di offrire, alla contemporaneità, istanze sempre nuove di prova e cimento. Interno mutevole, casa “elastica”, inside interpretabile, trasformabile, implementabile, differibile. Ci si può chiedere il perché di tale imperitura fortuna. E’ infatti un paradosso che una sperimentazione così incline alle derive ideologiche (determinismi, tecnicismi, meccanicismi) domini in un campo tanto delicato e sensibile. E’ un’immaginario trasgressivo, infatti, quello del mutevole e del transitorio, se riferito alla dimora. Eppure, continuamente la miccia si accende e polarizza gli interessi culturali, e sperimentali. La performance che muove lo spazio è traguardo difficile da conseguire. Facilmente scivola nel gioco restrittivo. Il cambiamento si esaurisce nella permutazione. La flessibilità nella retorica esibizione di ingranaggi e sistemi. L’inside in questione si fa presto chiamare “casa fredda”. La contemporanea domotica ne incoraggia il trattamento “a distanza”. Giusto chiedersi, allora, le ragioni di tanto appeal. Dov’è finita la “casa casa”? Dove la dimora tradizionalmente, o ancestralmente intesa? Dove il nido? Dove il guscio? Dove «l’angolo ove rannicchiarsi» di Bachelard? Dove le «profondità inattese» della Endless di Kiesler? Dove le «pareti di gomma» della Spray di Johansen? Dove il cavernoso Arcosanti di Soleri? L’«organo del dimorare» di Hugo Haring? I nastri di Van Berkel? Le «embriologie» di Greg Lynn? E Mario Praz? La «casa della vita»? Dov’è la casa che mi rappresenta, la collezione dei miei ricordi, il mio «palco nel teatro del mondo»? E ancora, dov’è la casa che mi trascina nel suo “nastro” narrativo? La “casa paesaggio”? L’articolo indaga gli aspetti di tendenze e ricerche inquadrabili sotto il segno del performing inside, riscoprendo al loro interno il persistere di motivi archetipici e di tradizione legati al tema ‘casa’, portando in luce quindi il nocciolo buono del performing inside, quello che porta lontano, quello prudente e scettico nei confronti della tecnologia e massimamente inclusivo nei confronti della vita.
"Performing Insides" / Dell'Aira, Paola Veronica. - STAMPA. - (2010), pp. 40-45.
"Performing Insides"
DELL'AIRA, Paola Veronica
2010
Abstract
Paola Veronica Dell'Aira, "PERFORMING INSIDES". Da circa un secolo, il tema della “perfettibilità” in ambiente domestico non mostra cali di interesse. Fonte di innumerevoli sperimentazioni progettuali ed inesauribile movente di sfida per il progetto architettonico, non smette di offrire, alla contemporaneità, istanze sempre nuove di prova e cimento. Interno mutevole, casa “elastica”, inside interpretabile, trasformabile, implementabile, differibile. Ci si può chiedere il perché di tale imperitura fortuna. E’ infatti un paradosso che una sperimentazione così incline alle derive ideologiche (determinismi, tecnicismi, meccanicismi) domini in un campo tanto delicato e sensibile. E’ un’immaginario trasgressivo, infatti, quello del mutevole e del transitorio, se riferito alla dimora. Eppure, continuamente la miccia si accende e polarizza gli interessi culturali, e sperimentali. La performance che muove lo spazio è traguardo difficile da conseguire. Facilmente scivola nel gioco restrittivo. Il cambiamento si esaurisce nella permutazione. La flessibilità nella retorica esibizione di ingranaggi e sistemi. L’inside in questione si fa presto chiamare “casa fredda”. La contemporanea domotica ne incoraggia il trattamento “a distanza”. Giusto chiedersi, allora, le ragioni di tanto appeal. Dov’è finita la “casa casa”? Dove la dimora tradizionalmente, o ancestralmente intesa? Dove il nido? Dove il guscio? Dove «l’angolo ove rannicchiarsi» di Bachelard? Dove le «profondità inattese» della Endless di Kiesler? Dove le «pareti di gomma» della Spray di Johansen? Dove il cavernoso Arcosanti di Soleri? L’«organo del dimorare» di Hugo Haring? I nastri di Van Berkel? Le «embriologie» di Greg Lynn? E Mario Praz? La «casa della vita»? Dov’è la casa che mi rappresenta, la collezione dei miei ricordi, il mio «palco nel teatro del mondo»? E ancora, dov’è la casa che mi trascina nel suo “nastro” narrativo? La “casa paesaggio”? L’articolo indaga gli aspetti di tendenze e ricerche inquadrabili sotto il segno del performing inside, riscoprendo al loro interno il persistere di motivi archetipici e di tradizione legati al tema ‘casa’, portando in luce quindi il nocciolo buono del performing inside, quello che porta lontano, quello prudente e scettico nei confronti della tecnologia e massimamente inclusivo nei confronti della vita.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.