Tra il 2008 e il 2020 l’economia e la società italiana hanno vissuto “gli anni delle crisi”. In passato non erano mancate letture allarmate evocanti il declino di lungo periodo della nostra economia: in questa fase, tuttavia, le crisi si sono avvicendate con rapidità e profondità straordinarie. Ognuna sembrava avere caratteristiche diverse dalle precedenti, pur concatenandosi l’una con l’altra. Il fattore comune, che trae origine nei decenni passati e nelle difficoltà strutturali del sistema produttivo italiano, è rappresentato dalla crescita nulla o modesta del prodotto interno lordo e del valore aggiunto industriale. Siamo di fronte, quindi, a un arresto della crescita economica durato molto a lungo, aggravato da shock esterni, e apparentemente irreversibile; in questa situazione pare difficile trovare elementi di dinamismo persino per l’industria. Nonostante tutto, anche se i valori aggregati non mostrano grandi progressi e spesso presentano tassi di variazione negativi, ritenere che il sistema produttivo sia rimasto bloccato, o semplicemente sia stato soggetto a contrazioni senza registrare grandi cambiamenti nella sua struttura profonda, sarebbe un grave errore. Cercare di comprendere i fenomeni in corso, le crescite e le modernizzazioni di alcuni, o anche i regressi di altri, costituisce un fondamentale elemento di analisi ed è lo scopo, almeno in parte originale, di questo Rapporto: obiettivo del nostro lavoro e delle pagine che seguono è proprio quello di approfondire cosa si è mosso sotto la superficie di un sistema produttivo e industriale complessivamente immobile nelle performance. Dopo una prima parte dedicata alla ricostruzione delle grandezze aggregate nelle statistiche ufficiali, ci addentreremo in analisi più granulari e dirette ai nostri obiettivi. Confronteremo la situazione del 2008, poco prima della deflagrazione formale della crisi finanziaria (Lehman), con le evoluzioni degli anni successivi e con la stessa situazione registrata nel 2020, a un mese dallo scoppio della crisi pandemica (con un rapido aggiornamento in pieno lockdown). Abbiamo utilizzato le indagini di campo svolte da MET e dal nostro gruppo di lavoro, indagini che costituiscono un unico in Italia e in Europa e che coprono l’intero periodo considerato attraverso sette diverse rilevazioni realizzate con cadenza biennale. Si tratta di oltre 24.000 interviste per ciascuna tornata, con l’obiettivo di approfondire i dettagli e le articolazioni di un sistema industriale particolarmente complesso e differenziato come quello italiano. La qualità delle informazioni su cui basare l’analisi è aspetto estremamente rilevante e spesso trascurato: in appendice si troverà il resoconto dettagliato delle metodologie e delle modalità di svolgimento delle indagini. Nella nostra lettura non si indaga solo un’eterogeneità legata a dimensioni di impresa, a localizzazioni o a settori, ma ci si concentra su differenze indotte da strategie e da scelte imprenditoriali, a loro volta favorite o bloccate anche dalle politiche adottate e dal contesto in cui operano. In un’economia matura, il valore medio della crescita dipende da molti andamenti, spesso contrastanti, che avvengono al di sotto della superficie e sono dovuti alla combinazione di movimenti positivi e negativi; ciò è sempre vero, ma in periodi di turbolenza il fenomeno assume dimensioni e rilevanza particolari. Qualunque sia la classificazione adottata – per esempio, per classe dimensionale o per tipologia di dinamismo – non occorre solo registrare e capire la capacità di crescita di ciascun gruppo di appartenenza, ma anche comprendere il contributo e le ragioni che portano determinati soggetti a interrompere i propri progetti di sviluppo, o altri a scegliere di investire in programmi innovativi o di ricerca. In altre parole, non basta capire e misurare solo ciò che determina il successo o meno di ogni categoria di imprese individuata, ma anche ciò che si accompagna ai processi di miglioramento o di peggioramento e, quindi, il passaggio di classe verso l’alto o verso il basso. Questi processi di cambiamento hanno un rilievo speculativo e analitico, ma sono ancor più importanti in una logica di policy: la struttura produttiva di un paese non solo non può essere scelta dai governi, ma deriva anche da un portato storico lontanissimo. Le politiche possono influenzarla in misura marginale e in tempi lunghi, ma favorire i processi di miglioramento e sostenere quei soggetti che li avviano è una strategia di accompagnamento percorribile. Così pure, al contrario, contrastare i regressi, soprattutto in tempi di crisi, può costituire una strategia potenzialmente efficace se tali fenomeni sono legati a fattori esterni alle imprese stesse. Neppure vanno trascurati i comportamenti delle imprese di dimensione minore i cui movimenti, spesso poco considerati, rappresentano fenomeni di grande portata anche solo per effetto della loro incidenza quantitativa sul sistema produttivo. L’interpretazione che vogliamo proporre è che nel tessuto imprenditoriale italiano, in particolare a partire dal 2011/2013, si è radicata e diffusa nei comportamenti di tutte le categorie di imprese, sia pure con intensità e modi diversi, la convinzione che le potenzialità di sopravvivenza e di crescita delle singole strutture industriali fossero strettamente legate all’allargamento dei mercati (in particolare di esportazione), alla realizzazione di innovazioni, sia sui prodotti che su processi e organizzazione e, infine, all’attività di ricerca sviluppata. Queste azioni – soprattutto se integrate tra loro in una strategia compiuta– fino al 2008 sono state patrimonio di una esigua minoranza di imprese; nell’ultimo decennio si sono diffuse e con esse un numero crescente di operatori ha cercato mercati nuovi associando a questo orientamento l’adozione di innovazioni e un impegno nel campo della ricerca. Si tratta pur sempre di una minoranza delle imprese, specie tra quelle di minori dimensioni, ma potremmo definirla una minoranza qualificata con effetti in termini quantitativi e soprattutto potenziali non trascurabili. Al contempo, il numero di coloro che avviano percorsi di modernizzazione, sia pure in modo non completo, diviene particolarmente elevato. In questo quadro la questione meridionale è di importanza fondamentale per le analisi e non deve trarre in inganno il fatto di non trovarla esplicitamente nell’indice del volume come capitolo a sé stante. È tra gli obiettivi prioritari degli approfondimenti, non viene trattata separatamente perché si considera parte integrante e distintiva del sistema nazionale (e delle sue debolezze). Se si analizza l’industria meridionale, infatti, non ci si trova di fronte a un deserto, a una realtà separata in cui alcune grandi imprese chiudono senza che vi sia null’altro, ma a una manifestazione che raccoglie i punti di forza, e purtroppo, di debolezza del sistema industriale nazionale con alcune caratteristiche specifiche. È un sistema produttivo rarefatto, con importanti eccezioni, che presenta meccanismi di base, dinamiche e processi in larga misura simili a quelli del Centro-nord. Le analisi compiute sottolineano, infatti, una relativa omogeneità di comportamenti del sistema nazionale sul piano territoriale: i fenomeni sembrano i medesimi nelle diverse aree, anche negli andamenti tra i diversi periodi, pur osservando una intensità del dinamismo, nel caso delle regioni del Sud, sistematicamente più ridotta. Le problematiche, in sostanza, sono le stesse del sistema italiano con l’aggravante di una minor presenza di imprese impegnate in modo integrato in tutti e tre i driver della crescita. La ridotta presenza di imprese dinamiche, naturalmente, non è senza conseguenze dirette e indotte sul sistema, ma è dalla comprensione dei meccanismi e delle potenzialità che possono derivare politiche efficaci. In particolare, la rarefazione dei fenomeni di dinamismo rende necessario un disegno di policy specifico e appropriato alle realtà di riferimento. Proprio considerando i driver della competitività, una differenza sostanziale misurata – oltre alla già sottolineata minore diffusione delle strategie per la crescita– è la differenza tra le stesse strategie sulla base della loro prossimità al mercato. Se, infatti, la differenza in termini di attività di ricerca da parte delle imprese è relativamente contenuta tra le diverse ripartizioni territoriali, la stessa differenza si amplia procedendo alle varie forme di innovazione e raggiunge i suoi valori massimi nel caso delle esportazioni e della presenza sui mercati esteri. Così pure sulle reti tra imprese e sulle catene del valore le differenze si ampliano grandemente. Ciò è in parte il frutto di una maggiore intensità delle politiche di sostegno adottate, ma rappresenta anche una maggiore difficoltà specifica dell’industria meridionale. Un aspetto di grande interesse potenziale e in parte distintivo è rappresentato dalla percezione vivace da parte delle imprese meridionali della sostenibilità ambientale come spinta all’azione imprenditoriale, sia nella sua componente di risposta a vincoli regolativi sia nella sua componente proattiva rappresentata dall’utilizzo della sostenibilità ambientale come strumento di marketing. In tutte le regioni italiane sono particolarmente rilevanti i percorsi che le imprese seguono per i possibili processi di crescita. Il mondo reale non presenta caratteristiche omogenee e neppure percorsi standard verso un consolidamento tecnologico e di mercato attento a ciò che la teoria economica raccomanda. I modi in cui le aziende impostano i loro percorsi di miglioramento possono essere molto diversi tra loro. Così, alcuni ricercano per prima cosa nuovi mercati per poi consolidare la loro posizione con innovazione e ricerca, altri pensano prima a innovare e poi a trovare sbocchi adeguati; alcuni sono più solidi finanziariamente, altri meno. I percorsi sono spesso progressivi e seguono strade compatibili con le caratteristiche delle singole imprese e, soprattutto, possono avere direzioni opposte di progresso relativo, ma anche di regresso. Una delle novità del nostro lavoro è quella di presentare un primo quadro informativo dei percorsi seguiti per capire distribuzione, pregi e difetti dei sentieri di crescita. Ciò che viene confermato dalle analisi è come il successo di mercato, tradotto in crescita del fatturato e dell’occupazione, anche negli anni delle crisi, sia stato strettamente legato alla “triade del dinamismo”: Innovazione, Ricerca ed Esportazioni. Ciascuno, nell’ambito delle imprese dinamiche (di ogni dimensione) o in via di divenirlo, si attiva come può e nella misura ritenuta adeguata. Gli spostamenti in miglioramento, gli upgrading da una tipologia di imprese statiche verso imprese con attività progressivamente più dinamiche, hanno dato un contributo non irrilevante alla tenuta dell’industria italiana che, tuttavia, è stata spesso caratterizzata da una evidente fragilità, rappresentata in primo luogo dall’instabilità delle stesse strategie di crescita: chi si affaccia sui mercati esteri o avvia programmi di innovazione e ricerca può facilmente ritornare a una condizione definibile come statica. Affronteremo il tema nel capitolo sui driver mostrando il contributo di tali imprese e ipotizzando quantificazioni specifiche. Va anche considerato come, nelle fasi iniziali dei percorsi di miglioramento strategico, i risultati delle misurazioni proposte siano stati più rilevanti in termini di performance. I fenomeni di arretramento, viceversa, possono avere effetti particolarmente negativi e meriterebbero maggiori attenzioni nelle politiche pubbliche. Gli stessi regressi, infatti, talvolta sono legati a cambiamenti effettivi di strategia (per esempio dipendenti dalla considerazione che le opportunità di mercato non si rivelano interessanti, oppure le prospettive dei processi di ricerca/innovazione non sono promettenti) ma molto spesso sono dipesi da vincoli specifici e, in particolare, da vincoli finanziari stringenti, tanto più forti quanto più debole era la struttura patrimoniale o assente la possibilità di ricorso alla finanza istituzionale. È bene cercare di non essere fraintesi su questo punto: non esistono giudizi di valore su upgrading o downgrading sul versante microeconomico. Le scelte delle imprese rispondono a condizioni e a prospettive specifiche, talvolta a vincoli, che portano a scegliere spesso azioni razionali sul piano aziendale. Cionondimeno, dal punto di vista sistemico, l’ampliare o il contrarre, per esempio, l’attività di ricerca può avere effetti indotti negativi e rilevanti. Il punto sostanziale che si vuole rimarcare è che la realtà produttiva è una realtà in movimento che prevede, quindi, una mobilità dei soggetti verso comportamenti diversi e con strategie che si adattano: non vi sono innovatori per sempre e neppure imprese immobili per sempre. Avere informazioni su tali movimenti ci sembra rilevante e su questo abbiamo cercato di proporre un contributo specifico con informazioni nuove e aggiornate. L’attenzione verso le dinamiche interne descritte dovrebbe essere molto elevata e impegnare intensamente i policy maker dal momento che, di fronte a shock esogeni, l’arretramento delle funzioni qualificanti è un fenomeno possibile e frequente con potenziali effetti permanenti sul sistema produttivo che non possono essere trascurati. Il fatto di aver provato ad avviare innovazioni o programmi di ricerca o la stessa presenza sui mercati internazionali, sia pure in modo non organico, talvolta discontinuo, segnala comunque una volontà (e una capacità) da valorizzare, sostenere e irrobustire. Sono soggetti imprenditoriali, quindi, particolarmente rilevanti per la definizione di alcuni obiettivi della politica industriale e che hanno già mostrato un’attitudine alla modernizzazione. Tutti questi movimenti, presentati sinteticamente di seguito e in dettaglio nei capitoli successivi, dovrebbero essere analizzati con cura allo scopo di costruire una politica specifica; nel Rapporto se ne forniscono elementi informativi. Alla data di chiusura di questo Rapporto, l’impatto della crisi conseguente alla pandemia da Covid-19 è molto difficile da considerare, tanto più che il nostro obiettivo non è valutare gli effetti di brevissimo periodo quanto piuttosto l’impatto strutturale dei fenomeni. In questo senso, le analisi condotte segnalano due rischi evidenti: in primo luogo, naturalmente, quello della chiusura di attività e di perdita di capacità produttiva; in secondo luogo, il rallentamento di attività strategiche e l’abbandono di progetti che possono proiettare anche nel lungo periodo gli effetti negativi e la perdita di competitività. Entrambi i rischi sono fortemente presenti e non toccano in misura particolare i produttori statici, ma soprattutto quella fascia di soggetti che aveva cercato di avviare attività dinamiche (Innovazioni, Ricerca, Esportazioni) senza essere riusciti a consolidare le posizioni e spesso con situazioni economiche e finanziarie fragili. In questo quadro si sono inserite le politiche pubbliche per l’industria. Come spesso accade, lo scenario è ambivalente. Dalle indagini presso le imprese e dai dati amministrativi sulla gestione degli interventi presenti nel Rapporto, emerge in maniera sufficientemente chiara il grande miglioramento nel gradimento degli operatori per le misure di aiuto pubblico nella seconda metà degli anni Dieci e la loro diffusione crescente tra le imprese: interventi basati su sgravi fiscali, erogazioni automatiche e crediti di imposta, o finanziamenti che prevedono un sostegno pubblico, ma sono decisi in modo quasi esclusivo dal canale bancario, semplificano enormemente le condizioni di accesso ed è naturale che riscuotano l’apprezzamento degli stessi imprenditori. Quando tali strumenti, spesso di modesti importi unitari, si confrontano con tendenze spontanee del mercato coerenti, ma in presenza di vincoli finanziari pressanti, il loro allentamento può avere effetti di aggiuntività e di efficacia rilevanti. Non è sempre così e le misure adottate, valide in certe fasi, si possono rivelare inutili in altre. Non vi sono politiche buone o cattive per sempre; anche nel campo delle agevolazioni alle imprese, le azioni vanno gestite e monitorate con cura (possibilmente orientate tempestivamente) in funzione del ciclo specifico, delle condizioni delle imprese e dei mercati, delle criticità. La continuazione di misure che hanno avuto solo un “successo amministrativo” o che sono raccomandate dalle analisi di periodi passati, per eccesso di inerzia, può essere fortemente inefficiente. Così pure, ritenere che possa esistere uno strumento valido da replicare in ogni circostanza è certamente fuorviante. Anche il massiccio intervento in termini di garanzie pubbliche, che è arrivato a intermediare una parte ragguardevole del finanziamento bancario a medio termine, ha trovato il gradimento contemporaneo delle imprese industriali e delle banche che riuscivano a ridurre i vincoli derivanti dalle loro stesse dotazioni di capitale. L’esercizio principale dei governi a cavallo della fine del decennio è stato quello di accentuare le misure più apprezzate dagli operatori, talvolta cercando di indirizzare la platea di interventi, per loro natura generalisti, verso tipologie di imprese più ristrette limitando il sostegno a categorie di investimenti in tecnologie specifiche (per esempio legate a Industria 4.0) o ad attività particolari. Le stesse start-up hanno trovato numerosi strumenti di agevolazione limitati agli aspetti di base e al finanziamento. Un aspetto critico che rimane e che sembra ineliminabile nel nostro sistema è la grande ridondanza degli strumenti con l’accavallarsi di misure nazionali e regionali spesso caratterizzate da obiettivi e strumenti in tutto analoghi. In questo campo, naturalmente, la concorrenza non è un aspetto positivo e si creano solo confusioni tra i potenziali destinatari, mentre i numerosi tentativi di razionalizzazione non hanno dato frutti apprezzabili. Tuttavia, se l’obiettivo della politica industriale, anche nel campo delle agevolazioni ai privati, è quello di favorire processi di trasformazione più profondi e radicali, gli interventi realmente selettivi e basati su veri e propri progetti da valutare e sostenere sono necessari. Nel momento in cui si entra in gestioni complesse è l’intero processo della politica pubblica a dover essere messo in discussione: i meccanismi operativi sono determinanti. Dalle regole per l’accesso ai criteri di selezione fino al passaggio finale di atterraggio dei benefici, i dettagli e le regole sono essenziali per determinare il successo o l’insuccesso delle misure. In molte misure destinate al rafforzamento patrimoniale delle imprese questi limiti sono apparsi evidenti, ma non solo in esse. Le politiche industriali devono essere soprattutto altro: le opzioni strategiche e le scelte politiche dovrebbero occupare parte non marginale di indirizzi di lungo periodo perseguiti non solo con meccanismi di incentivo diretto, ma anche con un intenso ricorso a sistemi di regolazione e di governo della domanda pubblica. Interi campi indispensabili per una strategia anche di crescita come quelli legati alla Green economy, alla circular economy, alla cura del territorio, alla cura delle persone, alla mobilità sostenibile, – per fare esempi di stringente attualità nell’alveo delle strategie per il Recovery Plan for Europe – avrebbero grande necessità di una visione proiettata nel lungo periodo e associata a un percorso concreto per la definizione delle politiche che però coinvolga anche gli operatori per costruire un percorso sostenibile. Non si tratta di creazione di consenso, ma di realizzazione di progetti basati su percorsi tecnologici condivisi, orientamento e creazione di nuovi mercati. Infine, un ruolo attivo dei governi può essere identificato nei servizi di alta qualificazione: certificazioni, assessment tecnologici, accompagnamento ai centri di ricerca, test dei materiali, servizi e informazioni di mercato per l’export, consulenze strategiche, accompagnamenti finanziari e altre attività di servizi specialistici fanno parte di un’area che, in particolare per le piccole imprese, non trova un’offerta privata adeguata e dove esistono strutture pubbliche da tempo operative (si pensi al CNR, all’ex-ICE, alla SACE, a SIMEST, all’ISS, per esemplificare), l’accesso ai servizi non è così conosciuto da parte della gran parte degli operatori. Coloro che hanno in programma strategie dinamiche dovrebbero essere raggiunti da un’attività di scouting e sostenuti con servizi di accompagnamento. Ecco un ruolo che potrebbe essere gestito efficacemente dalle Regioni come soggetti impegnati in materia e presenti sul territorio. Il volume è articolato in cinque capitoli principali. I primi due presentano l’evoluzione di lungo periodo dell’economia e dell’industria italiana, con un focus sull’evoluzione della ricerca e delle attività innovative; si tratta di analisi e dati tratti in prevalenza dalle statistiche ufficiali che rappresentano il punto di riferimento aggregato fondamentale. Segue un approfondimento sui driver della competitività e della crescita, osservando nel dettaglio le trasformazioni e l’evoluzione del sistema industriale e dei servizi alla produzione nel periodo 2008 2020. In questo capitolo, oltre agli andamenti registrati e alle caratteristiche di dettaglio delle attività determinanti per diverse tipologie di imprese, si analizzano anche i processi di upgrading e di downgrading con alcune conseguenze di rilievo. Viene quindi proposta la lettura dei risultati di un supplemento di indagine (su un campione di circa 8000 interviste) condotta in piena crisi pandemica per cogliere alcuni cambiamenti strutturali derivati dalla crisi determinata dal COVID-19. Infine un capitolo è dedicato alle policy, sia analizzando le caratteristiche dei flussi e delle modalità per alcune tra le principali misure adottate nell’ultimo decennio, sia con indicazioni e suggerimenti derivati dalla grande mole di elaborazioni compiute confrontando la struttura produttiva con le misure in essere. L’ampia appendice metodologica rende il più possibile trasparenti le attività svolte con le indagini compiute e rimarca le caratteristiche qualitative che si considerano importanti. Nei prossimi due paragrafi vengono sintetizzati i suggerimenti di policy e viene proposta la descrizione dei principali fenomeni.

Gli anni delle crisi. L’industria italiana 2008-2020 Rapporto MET 2020 / Barbieri, G; Brancati, E.; Brancati, R.. - (2021).

Gli anni delle crisi. L’industria italiana 2008-2020 Rapporto MET 2020

Brancati E.
;
2021

Abstract

Tra il 2008 e il 2020 l’economia e la società italiana hanno vissuto “gli anni delle crisi”. In passato non erano mancate letture allarmate evocanti il declino di lungo periodo della nostra economia: in questa fase, tuttavia, le crisi si sono avvicendate con rapidità e profondità straordinarie. Ognuna sembrava avere caratteristiche diverse dalle precedenti, pur concatenandosi l’una con l’altra. Il fattore comune, che trae origine nei decenni passati e nelle difficoltà strutturali del sistema produttivo italiano, è rappresentato dalla crescita nulla o modesta del prodotto interno lordo e del valore aggiunto industriale. Siamo di fronte, quindi, a un arresto della crescita economica durato molto a lungo, aggravato da shock esterni, e apparentemente irreversibile; in questa situazione pare difficile trovare elementi di dinamismo persino per l’industria. Nonostante tutto, anche se i valori aggregati non mostrano grandi progressi e spesso presentano tassi di variazione negativi, ritenere che il sistema produttivo sia rimasto bloccato, o semplicemente sia stato soggetto a contrazioni senza registrare grandi cambiamenti nella sua struttura profonda, sarebbe un grave errore. Cercare di comprendere i fenomeni in corso, le crescite e le modernizzazioni di alcuni, o anche i regressi di altri, costituisce un fondamentale elemento di analisi ed è lo scopo, almeno in parte originale, di questo Rapporto: obiettivo del nostro lavoro e delle pagine che seguono è proprio quello di approfondire cosa si è mosso sotto la superficie di un sistema produttivo e industriale complessivamente immobile nelle performance. Dopo una prima parte dedicata alla ricostruzione delle grandezze aggregate nelle statistiche ufficiali, ci addentreremo in analisi più granulari e dirette ai nostri obiettivi. Confronteremo la situazione del 2008, poco prima della deflagrazione formale della crisi finanziaria (Lehman), con le evoluzioni degli anni successivi e con la stessa situazione registrata nel 2020, a un mese dallo scoppio della crisi pandemica (con un rapido aggiornamento in pieno lockdown). Abbiamo utilizzato le indagini di campo svolte da MET e dal nostro gruppo di lavoro, indagini che costituiscono un unico in Italia e in Europa e che coprono l’intero periodo considerato attraverso sette diverse rilevazioni realizzate con cadenza biennale. Si tratta di oltre 24.000 interviste per ciascuna tornata, con l’obiettivo di approfondire i dettagli e le articolazioni di un sistema industriale particolarmente complesso e differenziato come quello italiano. La qualità delle informazioni su cui basare l’analisi è aspetto estremamente rilevante e spesso trascurato: in appendice si troverà il resoconto dettagliato delle metodologie e delle modalità di svolgimento delle indagini. Nella nostra lettura non si indaga solo un’eterogeneità legata a dimensioni di impresa, a localizzazioni o a settori, ma ci si concentra su differenze indotte da strategie e da scelte imprenditoriali, a loro volta favorite o bloccate anche dalle politiche adottate e dal contesto in cui operano. In un’economia matura, il valore medio della crescita dipende da molti andamenti, spesso contrastanti, che avvengono al di sotto della superficie e sono dovuti alla combinazione di movimenti positivi e negativi; ciò è sempre vero, ma in periodi di turbolenza il fenomeno assume dimensioni e rilevanza particolari. Qualunque sia la classificazione adottata – per esempio, per classe dimensionale o per tipologia di dinamismo – non occorre solo registrare e capire la capacità di crescita di ciascun gruppo di appartenenza, ma anche comprendere il contributo e le ragioni che portano determinati soggetti a interrompere i propri progetti di sviluppo, o altri a scegliere di investire in programmi innovativi o di ricerca. In altre parole, non basta capire e misurare solo ciò che determina il successo o meno di ogni categoria di imprese individuata, ma anche ciò che si accompagna ai processi di miglioramento o di peggioramento e, quindi, il passaggio di classe verso l’alto o verso il basso. Questi processi di cambiamento hanno un rilievo speculativo e analitico, ma sono ancor più importanti in una logica di policy: la struttura produttiva di un paese non solo non può essere scelta dai governi, ma deriva anche da un portato storico lontanissimo. Le politiche possono influenzarla in misura marginale e in tempi lunghi, ma favorire i processi di miglioramento e sostenere quei soggetti che li avviano è una strategia di accompagnamento percorribile. Così pure, al contrario, contrastare i regressi, soprattutto in tempi di crisi, può costituire una strategia potenzialmente efficace se tali fenomeni sono legati a fattori esterni alle imprese stesse. Neppure vanno trascurati i comportamenti delle imprese di dimensione minore i cui movimenti, spesso poco considerati, rappresentano fenomeni di grande portata anche solo per effetto della loro incidenza quantitativa sul sistema produttivo. L’interpretazione che vogliamo proporre è che nel tessuto imprenditoriale italiano, in particolare a partire dal 2011/2013, si è radicata e diffusa nei comportamenti di tutte le categorie di imprese, sia pure con intensità e modi diversi, la convinzione che le potenzialità di sopravvivenza e di crescita delle singole strutture industriali fossero strettamente legate all’allargamento dei mercati (in particolare di esportazione), alla realizzazione di innovazioni, sia sui prodotti che su processi e organizzazione e, infine, all’attività di ricerca sviluppata. Queste azioni – soprattutto se integrate tra loro in una strategia compiuta– fino al 2008 sono state patrimonio di una esigua minoranza di imprese; nell’ultimo decennio si sono diffuse e con esse un numero crescente di operatori ha cercato mercati nuovi associando a questo orientamento l’adozione di innovazioni e un impegno nel campo della ricerca. Si tratta pur sempre di una minoranza delle imprese, specie tra quelle di minori dimensioni, ma potremmo definirla una minoranza qualificata con effetti in termini quantitativi e soprattutto potenziali non trascurabili. Al contempo, il numero di coloro che avviano percorsi di modernizzazione, sia pure in modo non completo, diviene particolarmente elevato. In questo quadro la questione meridionale è di importanza fondamentale per le analisi e non deve trarre in inganno il fatto di non trovarla esplicitamente nell’indice del volume come capitolo a sé stante. È tra gli obiettivi prioritari degli approfondimenti, non viene trattata separatamente perché si considera parte integrante e distintiva del sistema nazionale (e delle sue debolezze). Se si analizza l’industria meridionale, infatti, non ci si trova di fronte a un deserto, a una realtà separata in cui alcune grandi imprese chiudono senza che vi sia null’altro, ma a una manifestazione che raccoglie i punti di forza, e purtroppo, di debolezza del sistema industriale nazionale con alcune caratteristiche specifiche. È un sistema produttivo rarefatto, con importanti eccezioni, che presenta meccanismi di base, dinamiche e processi in larga misura simili a quelli del Centro-nord. Le analisi compiute sottolineano, infatti, una relativa omogeneità di comportamenti del sistema nazionale sul piano territoriale: i fenomeni sembrano i medesimi nelle diverse aree, anche negli andamenti tra i diversi periodi, pur osservando una intensità del dinamismo, nel caso delle regioni del Sud, sistematicamente più ridotta. Le problematiche, in sostanza, sono le stesse del sistema italiano con l’aggravante di una minor presenza di imprese impegnate in modo integrato in tutti e tre i driver della crescita. La ridotta presenza di imprese dinamiche, naturalmente, non è senza conseguenze dirette e indotte sul sistema, ma è dalla comprensione dei meccanismi e delle potenzialità che possono derivare politiche efficaci. In particolare, la rarefazione dei fenomeni di dinamismo rende necessario un disegno di policy specifico e appropriato alle realtà di riferimento. Proprio considerando i driver della competitività, una differenza sostanziale misurata – oltre alla già sottolineata minore diffusione delle strategie per la crescita– è la differenza tra le stesse strategie sulla base della loro prossimità al mercato. Se, infatti, la differenza in termini di attività di ricerca da parte delle imprese è relativamente contenuta tra le diverse ripartizioni territoriali, la stessa differenza si amplia procedendo alle varie forme di innovazione e raggiunge i suoi valori massimi nel caso delle esportazioni e della presenza sui mercati esteri. Così pure sulle reti tra imprese e sulle catene del valore le differenze si ampliano grandemente. Ciò è in parte il frutto di una maggiore intensità delle politiche di sostegno adottate, ma rappresenta anche una maggiore difficoltà specifica dell’industria meridionale. Un aspetto di grande interesse potenziale e in parte distintivo è rappresentato dalla percezione vivace da parte delle imprese meridionali della sostenibilità ambientale come spinta all’azione imprenditoriale, sia nella sua componente di risposta a vincoli regolativi sia nella sua componente proattiva rappresentata dall’utilizzo della sostenibilità ambientale come strumento di marketing. In tutte le regioni italiane sono particolarmente rilevanti i percorsi che le imprese seguono per i possibili processi di crescita. Il mondo reale non presenta caratteristiche omogenee e neppure percorsi standard verso un consolidamento tecnologico e di mercato attento a ciò che la teoria economica raccomanda. I modi in cui le aziende impostano i loro percorsi di miglioramento possono essere molto diversi tra loro. Così, alcuni ricercano per prima cosa nuovi mercati per poi consolidare la loro posizione con innovazione e ricerca, altri pensano prima a innovare e poi a trovare sbocchi adeguati; alcuni sono più solidi finanziariamente, altri meno. I percorsi sono spesso progressivi e seguono strade compatibili con le caratteristiche delle singole imprese e, soprattutto, possono avere direzioni opposte di progresso relativo, ma anche di regresso. Una delle novità del nostro lavoro è quella di presentare un primo quadro informativo dei percorsi seguiti per capire distribuzione, pregi e difetti dei sentieri di crescita. Ciò che viene confermato dalle analisi è come il successo di mercato, tradotto in crescita del fatturato e dell’occupazione, anche negli anni delle crisi, sia stato strettamente legato alla “triade del dinamismo”: Innovazione, Ricerca ed Esportazioni. Ciascuno, nell’ambito delle imprese dinamiche (di ogni dimensione) o in via di divenirlo, si attiva come può e nella misura ritenuta adeguata. Gli spostamenti in miglioramento, gli upgrading da una tipologia di imprese statiche verso imprese con attività progressivamente più dinamiche, hanno dato un contributo non irrilevante alla tenuta dell’industria italiana che, tuttavia, è stata spesso caratterizzata da una evidente fragilità, rappresentata in primo luogo dall’instabilità delle stesse strategie di crescita: chi si affaccia sui mercati esteri o avvia programmi di innovazione e ricerca può facilmente ritornare a una condizione definibile come statica. Affronteremo il tema nel capitolo sui driver mostrando il contributo di tali imprese e ipotizzando quantificazioni specifiche. Va anche considerato come, nelle fasi iniziali dei percorsi di miglioramento strategico, i risultati delle misurazioni proposte siano stati più rilevanti in termini di performance. I fenomeni di arretramento, viceversa, possono avere effetti particolarmente negativi e meriterebbero maggiori attenzioni nelle politiche pubbliche. Gli stessi regressi, infatti, talvolta sono legati a cambiamenti effettivi di strategia (per esempio dipendenti dalla considerazione che le opportunità di mercato non si rivelano interessanti, oppure le prospettive dei processi di ricerca/innovazione non sono promettenti) ma molto spesso sono dipesi da vincoli specifici e, in particolare, da vincoli finanziari stringenti, tanto più forti quanto più debole era la struttura patrimoniale o assente la possibilità di ricorso alla finanza istituzionale. È bene cercare di non essere fraintesi su questo punto: non esistono giudizi di valore su upgrading o downgrading sul versante microeconomico. Le scelte delle imprese rispondono a condizioni e a prospettive specifiche, talvolta a vincoli, che portano a scegliere spesso azioni razionali sul piano aziendale. Cionondimeno, dal punto di vista sistemico, l’ampliare o il contrarre, per esempio, l’attività di ricerca può avere effetti indotti negativi e rilevanti. Il punto sostanziale che si vuole rimarcare è che la realtà produttiva è una realtà in movimento che prevede, quindi, una mobilità dei soggetti verso comportamenti diversi e con strategie che si adattano: non vi sono innovatori per sempre e neppure imprese immobili per sempre. Avere informazioni su tali movimenti ci sembra rilevante e su questo abbiamo cercato di proporre un contributo specifico con informazioni nuove e aggiornate. L’attenzione verso le dinamiche interne descritte dovrebbe essere molto elevata e impegnare intensamente i policy maker dal momento che, di fronte a shock esogeni, l’arretramento delle funzioni qualificanti è un fenomeno possibile e frequente con potenziali effetti permanenti sul sistema produttivo che non possono essere trascurati. Il fatto di aver provato ad avviare innovazioni o programmi di ricerca o la stessa presenza sui mercati internazionali, sia pure in modo non organico, talvolta discontinuo, segnala comunque una volontà (e una capacità) da valorizzare, sostenere e irrobustire. Sono soggetti imprenditoriali, quindi, particolarmente rilevanti per la definizione di alcuni obiettivi della politica industriale e che hanno già mostrato un’attitudine alla modernizzazione. Tutti questi movimenti, presentati sinteticamente di seguito e in dettaglio nei capitoli successivi, dovrebbero essere analizzati con cura allo scopo di costruire una politica specifica; nel Rapporto se ne forniscono elementi informativi. Alla data di chiusura di questo Rapporto, l’impatto della crisi conseguente alla pandemia da Covid-19 è molto difficile da considerare, tanto più che il nostro obiettivo non è valutare gli effetti di brevissimo periodo quanto piuttosto l’impatto strutturale dei fenomeni. In questo senso, le analisi condotte segnalano due rischi evidenti: in primo luogo, naturalmente, quello della chiusura di attività e di perdita di capacità produttiva; in secondo luogo, il rallentamento di attività strategiche e l’abbandono di progetti che possono proiettare anche nel lungo periodo gli effetti negativi e la perdita di competitività. Entrambi i rischi sono fortemente presenti e non toccano in misura particolare i produttori statici, ma soprattutto quella fascia di soggetti che aveva cercato di avviare attività dinamiche (Innovazioni, Ricerca, Esportazioni) senza essere riusciti a consolidare le posizioni e spesso con situazioni economiche e finanziarie fragili. In questo quadro si sono inserite le politiche pubbliche per l’industria. Come spesso accade, lo scenario è ambivalente. Dalle indagini presso le imprese e dai dati amministrativi sulla gestione degli interventi presenti nel Rapporto, emerge in maniera sufficientemente chiara il grande miglioramento nel gradimento degli operatori per le misure di aiuto pubblico nella seconda metà degli anni Dieci e la loro diffusione crescente tra le imprese: interventi basati su sgravi fiscali, erogazioni automatiche e crediti di imposta, o finanziamenti che prevedono un sostegno pubblico, ma sono decisi in modo quasi esclusivo dal canale bancario, semplificano enormemente le condizioni di accesso ed è naturale che riscuotano l’apprezzamento degli stessi imprenditori. Quando tali strumenti, spesso di modesti importi unitari, si confrontano con tendenze spontanee del mercato coerenti, ma in presenza di vincoli finanziari pressanti, il loro allentamento può avere effetti di aggiuntività e di efficacia rilevanti. Non è sempre così e le misure adottate, valide in certe fasi, si possono rivelare inutili in altre. Non vi sono politiche buone o cattive per sempre; anche nel campo delle agevolazioni alle imprese, le azioni vanno gestite e monitorate con cura (possibilmente orientate tempestivamente) in funzione del ciclo specifico, delle condizioni delle imprese e dei mercati, delle criticità. La continuazione di misure che hanno avuto solo un “successo amministrativo” o che sono raccomandate dalle analisi di periodi passati, per eccesso di inerzia, può essere fortemente inefficiente. Così pure, ritenere che possa esistere uno strumento valido da replicare in ogni circostanza è certamente fuorviante. Anche il massiccio intervento in termini di garanzie pubbliche, che è arrivato a intermediare una parte ragguardevole del finanziamento bancario a medio termine, ha trovato il gradimento contemporaneo delle imprese industriali e delle banche che riuscivano a ridurre i vincoli derivanti dalle loro stesse dotazioni di capitale. L’esercizio principale dei governi a cavallo della fine del decennio è stato quello di accentuare le misure più apprezzate dagli operatori, talvolta cercando di indirizzare la platea di interventi, per loro natura generalisti, verso tipologie di imprese più ristrette limitando il sostegno a categorie di investimenti in tecnologie specifiche (per esempio legate a Industria 4.0) o ad attività particolari. Le stesse start-up hanno trovato numerosi strumenti di agevolazione limitati agli aspetti di base e al finanziamento. Un aspetto critico che rimane e che sembra ineliminabile nel nostro sistema è la grande ridondanza degli strumenti con l’accavallarsi di misure nazionali e regionali spesso caratterizzate da obiettivi e strumenti in tutto analoghi. In questo campo, naturalmente, la concorrenza non è un aspetto positivo e si creano solo confusioni tra i potenziali destinatari, mentre i numerosi tentativi di razionalizzazione non hanno dato frutti apprezzabili. Tuttavia, se l’obiettivo della politica industriale, anche nel campo delle agevolazioni ai privati, è quello di favorire processi di trasformazione più profondi e radicali, gli interventi realmente selettivi e basati su veri e propri progetti da valutare e sostenere sono necessari. Nel momento in cui si entra in gestioni complesse è l’intero processo della politica pubblica a dover essere messo in discussione: i meccanismi operativi sono determinanti. Dalle regole per l’accesso ai criteri di selezione fino al passaggio finale di atterraggio dei benefici, i dettagli e le regole sono essenziali per determinare il successo o l’insuccesso delle misure. In molte misure destinate al rafforzamento patrimoniale delle imprese questi limiti sono apparsi evidenti, ma non solo in esse. Le politiche industriali devono essere soprattutto altro: le opzioni strategiche e le scelte politiche dovrebbero occupare parte non marginale di indirizzi di lungo periodo perseguiti non solo con meccanismi di incentivo diretto, ma anche con un intenso ricorso a sistemi di regolazione e di governo della domanda pubblica. Interi campi indispensabili per una strategia anche di crescita come quelli legati alla Green economy, alla circular economy, alla cura del territorio, alla cura delle persone, alla mobilità sostenibile, – per fare esempi di stringente attualità nell’alveo delle strategie per il Recovery Plan for Europe – avrebbero grande necessità di una visione proiettata nel lungo periodo e associata a un percorso concreto per la definizione delle politiche che però coinvolga anche gli operatori per costruire un percorso sostenibile. Non si tratta di creazione di consenso, ma di realizzazione di progetti basati su percorsi tecnologici condivisi, orientamento e creazione di nuovi mercati. Infine, un ruolo attivo dei governi può essere identificato nei servizi di alta qualificazione: certificazioni, assessment tecnologici, accompagnamento ai centri di ricerca, test dei materiali, servizi e informazioni di mercato per l’export, consulenze strategiche, accompagnamenti finanziari e altre attività di servizi specialistici fanno parte di un’area che, in particolare per le piccole imprese, non trova un’offerta privata adeguata e dove esistono strutture pubbliche da tempo operative (si pensi al CNR, all’ex-ICE, alla SACE, a SIMEST, all’ISS, per esemplificare), l’accesso ai servizi non è così conosciuto da parte della gran parte degli operatori. Coloro che hanno in programma strategie dinamiche dovrebbero essere raggiunti da un’attività di scouting e sostenuti con servizi di accompagnamento. Ecco un ruolo che potrebbe essere gestito efficacemente dalle Regioni come soggetti impegnati in materia e presenti sul territorio. Il volume è articolato in cinque capitoli principali. I primi due presentano l’evoluzione di lungo periodo dell’economia e dell’industria italiana, con un focus sull’evoluzione della ricerca e delle attività innovative; si tratta di analisi e dati tratti in prevalenza dalle statistiche ufficiali che rappresentano il punto di riferimento aggregato fondamentale. Segue un approfondimento sui driver della competitività e della crescita, osservando nel dettaglio le trasformazioni e l’evoluzione del sistema industriale e dei servizi alla produzione nel periodo 2008 2020. In questo capitolo, oltre agli andamenti registrati e alle caratteristiche di dettaglio delle attività determinanti per diverse tipologie di imprese, si analizzano anche i processi di upgrading e di downgrading con alcune conseguenze di rilievo. Viene quindi proposta la lettura dei risultati di un supplemento di indagine (su un campione di circa 8000 interviste) condotta in piena crisi pandemica per cogliere alcuni cambiamenti strutturali derivati dalla crisi determinata dal COVID-19. Infine un capitolo è dedicato alle policy, sia analizzando le caratteristiche dei flussi e delle modalità per alcune tra le principali misure adottate nell’ultimo decennio, sia con indicazioni e suggerimenti derivati dalla grande mole di elaborazioni compiute confrontando la struttura produttiva con le misure in essere. L’ampia appendice metodologica rende il più possibile trasparenti le attività svolte con le indagini compiute e rimarca le caratteristiche qualitative che si considerano importanti. Nei prossimi due paragrafi vengono sintetizzati i suggerimenti di policy e viene proposta la descrizione dei principali fenomeni.
2021
Crisi, Imprese, Internazionalizzazione, R&S, Innovazione
Barbieri, G; Brancati, E.; Brancati, R.
06 Curatela::06a Curatela
Gli anni delle crisi. L’industria italiana 2008-2020 Rapporto MET 2020 / Barbieri, G; Brancati, E.; Brancati, R.. - (2021).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1530496
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