La Zeza è una rappresentazione carnevalesca diffusa in molte regioni del centro sud ed in special modo in Irpinia, a Bellizzi, Marcogliano, Capriglia, Cesinali ed in altre località. Si tratta di una farsa -una sorta di teatro di strada- che si esegue a Carnevale e rappresenta il matrimonio tra Vincenzella, figlia di Pucinella e di Zeza e Don Nicola (detto anche Zenobio), giovane medico calabrese pretendente di Vincenzella. Il padre di Vincenzella, Pulcinella, è naturalmente geloso della figlia e non vuole concederla al pretendente, mentre la mamma Zeza, donna smaliziata e ruffiana, ha già organizzato il matrimonio e cerca di convincere il marito. La rappresentazione farsesca gioca naturalmente su doppi sensi e licenziosità varie riattualizzate nel contemporaneo; è cantata, impersonata esclusivamente da uomini spesso ragazzi, con alcune forme di improvvisazione ed è accompagnata da una banda. Nasce presumibilmente nel '600 in un contesto di tradizione orale, probabilmente urbano, ma oggi coloro che la eseguono, per trasmetterla e per "salvarla" nella sua forma orale e cantata, l'hanno fissata in un testo scritto che tuttavia ha numerose varianti diverse tra i vari paesi e da persona a persona, quindi è soggetta a reinterpretazioni continue. La farsa segue un canovaccio, ma la sua comicità è data da una combinazione tra l'interpretazione della canzone, l'improvvisazione che la attualizza con allusioni calate nel contemporaneo, la mimica e l'efficacia del travestimento, spesso molto curato nei dettagli femminili. Si tratta di una rara forma di teatro popolare presente e ammessa nello spazio pubblico, esclusivamente a Carnevale, che negli ultimi anni è andata incontro a diversi processi di patrimonializzazione. In alcuni paesi dell'Irpinia è stata ripresa dopo anni di abbandono, ed è presente anche in altre regioni come Molise, Basilicata e Lazio. Il contributo ripercorre questa forma carnevalesca, prima nella storia degli studi, come "oggetto" folclorico, e in seguito, dopo alti e bassi tra scomparse e riproposte, come oggetto patrimoniale e identitario, "oggetto" affettivo, inclusivo, amicale, rivitalizzato e riletto. Lungi dall'essere semplice retaggio di un passato folklorico, la Zeza rilancia nel contemporaneo il gioco del travestimento, dell'inversione di genere, della maschera farsesca riattualizzando una forma festiva e performativa sicuramente antica, ma giocando con forme e pratiche del contemporaneo. Come caso etnografico si porta quello della Zeza di Bellizzi, frazione di Avellino, dove questa forma rituale carnevalesca è molto nota e partecipata.
La Zeza irpina dal teatro al rito: trasformazioni patrimoniali di una farsa carnevalesca / Broccolini, ALESSANDRA MARIA PAOLA. - (2021), pp. 261-309.
La Zeza irpina dal teatro al rito: trasformazioni patrimoniali di una farsa carnevalesca
Alessandra Broccolini
2021
Abstract
La Zeza è una rappresentazione carnevalesca diffusa in molte regioni del centro sud ed in special modo in Irpinia, a Bellizzi, Marcogliano, Capriglia, Cesinali ed in altre località. Si tratta di una farsa -una sorta di teatro di strada- che si esegue a Carnevale e rappresenta il matrimonio tra Vincenzella, figlia di Pucinella e di Zeza e Don Nicola (detto anche Zenobio), giovane medico calabrese pretendente di Vincenzella. Il padre di Vincenzella, Pulcinella, è naturalmente geloso della figlia e non vuole concederla al pretendente, mentre la mamma Zeza, donna smaliziata e ruffiana, ha già organizzato il matrimonio e cerca di convincere il marito. La rappresentazione farsesca gioca naturalmente su doppi sensi e licenziosità varie riattualizzate nel contemporaneo; è cantata, impersonata esclusivamente da uomini spesso ragazzi, con alcune forme di improvvisazione ed è accompagnata da una banda. Nasce presumibilmente nel '600 in un contesto di tradizione orale, probabilmente urbano, ma oggi coloro che la eseguono, per trasmetterla e per "salvarla" nella sua forma orale e cantata, l'hanno fissata in un testo scritto che tuttavia ha numerose varianti diverse tra i vari paesi e da persona a persona, quindi è soggetta a reinterpretazioni continue. La farsa segue un canovaccio, ma la sua comicità è data da una combinazione tra l'interpretazione della canzone, l'improvvisazione che la attualizza con allusioni calate nel contemporaneo, la mimica e l'efficacia del travestimento, spesso molto curato nei dettagli femminili. Si tratta di una rara forma di teatro popolare presente e ammessa nello spazio pubblico, esclusivamente a Carnevale, che negli ultimi anni è andata incontro a diversi processi di patrimonializzazione. In alcuni paesi dell'Irpinia è stata ripresa dopo anni di abbandono, ed è presente anche in altre regioni come Molise, Basilicata e Lazio. Il contributo ripercorre questa forma carnevalesca, prima nella storia degli studi, come "oggetto" folclorico, e in seguito, dopo alti e bassi tra scomparse e riproposte, come oggetto patrimoniale e identitario, "oggetto" affettivo, inclusivo, amicale, rivitalizzato e riletto. Lungi dall'essere semplice retaggio di un passato folklorico, la Zeza rilancia nel contemporaneo il gioco del travestimento, dell'inversione di genere, della maschera farsesca riattualizzando una forma festiva e performativa sicuramente antica, ma giocando con forme e pratiche del contemporaneo. Come caso etnografico si porta quello della Zeza di Bellizzi, frazione di Avellino, dove questa forma rituale carnevalesca è molto nota e partecipata.File | Dimensione | Formato | |
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