Art. 54 I. "Competenza" del pubblico ministero. Le mansioni del pubblico ministero vengono esercitate dai magistrati appartenenti alle procure della Repubblica dislocate presso gli uffici giudiziari preposti a decidere in ordine al reato per il quale si procede. Nella terminologia codicistica, tuttavia, il lemma competenza non viene impiegato per delimitare le mansioni assegnate agli organi inquirenti - più propriamente indicate come "funzioni" ovvero "attribuzioni". La nozione di competenza può essere utilmente richiamata, a scopo pratico, per definire gli ambiti entro cui gli uffici del pubblico ministero esercitano le rispettive attribuzioni. In tale accezione l'eventuale carenza di legittimazione dell'ufficio produce, conseguenze differenti dall’incompetenza propriamente detta. Ogniqualvolta il requirente non “competente” eserciti l'azione penale, viene in gioco la mancanza del relativo potere: l'iniziativa promossa dall'organo non legittimato produce, infatti, una nullità assoluta. In astratto ogni ufficio inquirente è autorizzato ad indagare in ordine a qualunque fatto configurabile come reato ma, in concreto, i suoi esponenti devono astenersi dal farlo se esercitano le loro funzioni presso il giudice incompetente. II. Ratio legis. In origine il meccanismo di risoluzione delle controversie fra pubblici ministeri trovava applicazione nella sola fase - non giurisdizionale - delle indagini preliminari. I novellati artt. 54-bis e ter estendono l'ambito di operatività dei contrasti anche alle fasi processuali successive ed alle situazioni in cui più uffici affermino contemporaneamente la titolarità ad indagare sugli stessi fatti. III. Trasmissione degli atti all'ufficio legittimato. Le indagini preliminari sono caratterizzate da inputs mutevoli concernenti la notitia criminis; può accadere, allora, che, in itinere, mutino i quadri della competenza futuribile. In situazioni del genere l'organo inquirente è tenuto a trasmettere gli atti alla procura incardinata presso il giudice che, allo stato, risulterebbe competente a giudicare; ove questi recepisca l'indicazione del remittente si attiva un meccanismo spontaneo, virtù del quale il fascicolo viene “fisiologicamente” instradato verso l'organo titolare della relativa attribuzione. Se l'electus concorda con il remittente non si instaura, dunque, alcun conflitto. Ove ciò non avvenga (per la restituzione degli atti al mittente ovvero per il coinvolgimento di un terzo ufficio) non si determina ancora un contrasto stricto iure che, invece, si delinea solo quando l'ultimo dei destinatari rispedisca gli atti ad uno dei mittenti. La disciplina dei contrasti non si applica, invece, alle controversie instauratesi fra sostituti della stessa procura, i cui eventuali dissidi vanno risolti dagli esponenti apicali dell’ufficio. IV. Contrasto negativo. Il contrasto negativo si perfeziona, dunque, solo se la catena dei rimandi sfocia in un circolo vizioso. In tal caso il "dissidente" invia un'informativa al procuratore generale presso la Corte d'appello, ovvero al procuratore generale presso la Corte di cassazione, a seconda che sia emerso un contrasto "infradistrettuale", ovvero fra procure appartenenti a distretti diversi. L'incidente è instaurabile unicamente su iniziativa dell'ufficio; all'indagato, alle persone offese ed ai loro difensori è consentito, però, sollecitare l'organo procedente affinché trasmetta gli atti all'ufficio ritenuto competente. Detta informativa implica la trasmissione immediata al procuratore generale di tutti gli atti del procedimento, eventualmente anche in copia. La facoltà di inviare duplicati in luogo degli originali consente, peraltro, all'ufficio da cui ha origine la denuncia del contrasto di non trascurare gli eventuali atti urgenti. Se, nelle more, uno degli uffici, modificando il precedente atteggiamento, afferma la propria competenza, il contrasto si definisce in maniera consensuale; in caso contrario il procuratore generale, investito della questione, risolve la contesa indicando l'ufficio che dovrà procedere, comunicandolo a tutte le procure interessate. Si è posto in dubbio se l'intervento dirimente delle procure generali derivi, o meno, da un potere di sovraordinazione gerarchica ad esse riconosciuto rispetto agli uffici inquirenti animatori del contrasto. Nella logica del processo senza istruzione, alla quale si ispira il codice vigente, invero, l'ipotesi di specie non sembrerebbe configurabile. Le modifiche introdotte al testo normativo sembrano ispirate, ad una disciplina verticistica, intesa a privilegiare il ruolo direttivo dei procuratori generali che, in fondo, riconduce la risoluzione dei contrasti ai meccanismi tipici della catena gerarchica. La relativa determinazione ha natura non giurisdizionale ed è inoppugnabile; esso non pregiudica, tuttavia, il diritto delle parti a sollevare eccezioni d'incompetenza di fronte al giudice. La determinazione del procuratore generale vincola, inoltre, l'inquirente designato solo rebus sic stanti bus, risultando, invero, possibile che, mutato lo scacchiere investigativo, si aggiornino, correlativamente, i quadri della competenza futuribile con i relativi riflessi sulla legittimazione ad investigare. V. Conflitti e contrasti; conflitti "analoghi" e contrasti "atipici". A differenza di quanto accadeva con il codice previgente, oggi non sono più configurabili conflitti "eterogenei" tra giudici e pubblici ministeri. La casistica giurisprudenziale ha evidenziato, tuttavia, numerose situazioni in cui talune divergenze insorte fra pubblici ministeri e giudici relativamente all'interpretazione delle norme sulla competenza abbiano dato origine, come strascichi tralatizi ereditati dall'impostazione del codice abrogato, alla prospettazione di "casi analoghi": rispetto ad essi, però, la giurisprudenza ha sempre considerato il relativo conflitto come invalidamente instaurato. L'unica rilevante incertezza giurisprudenziale emersa in argomento concerne, a ben vedere, la disputa negativa tra pubblico ministero e magistrato di sorveglianza sulla titolarità a disporre la sospensione dell'esecuzione della pena ove sia pendente la domanda d'applicazione d'una misura alternativa alla detenzione. VI. Gli atti compiuti dal pubblico ministero “incompetente”. Nell'ipotesi in cui sia intervenuta la trasmissione del fascicolo ad un diverso ufficio, ovvero la designazione autoritativa da parte del procuratore generale, gli atti di indagine compiuti dall'inquirente, privato della titolarità di indagare conservano piena valenza investigativa. Per quanto riguarda, invece, l'eventuale loro impiego a fini decisori, l'utilizzo è condizionato al fatto che siano stati compiuti in epoca antecedente rispetto all'individuazione dell'organo competente Anche al fine di dirimere le relatrive controversie in merito, la giurisprudenza ha stabilito che, in casi simili, il computo dei termini di durata massima delle indagini preliminari debba assumere, quale dies a quo, la data in cui la notitia criminis sia stata iscritta nel registro generale tenuto presso l’ufficio del pubblico ministero successivamente investito. Le misure cautelari eventualmente disposte, su richiesta del pubblico ministero non legittimato, in epoca antecedente la trasmissione spontanea degli atti, ovvero prima della designazione da parte della procura generale, mantengono, invece, stabile efficacia. Art. 54 bis I. Ispirazione finalistica della norma. Nell'impostazione originaria del codice non era previsto che la parallela pendenza di indagini in ordine agli stessi fatti presso diversi organi inquirenti potesse dare origine ad un contrasto fra uffici del pubblico ministero. Lo sviluppo parallelo e la sovrapposizione delle indagini si è ben presto tradotto, però, in una pericolosa disarticolazione delle iniziative, tale da compromettere e delegittimare, talvolta, la stessa funzionalità dell'azione investigativa. II. Oggetto e presupposti. Il contrasto positivo è volto, dunque, a reprimere una inopinata prolificazione delle indagini, quello negativo a prevenirne, invece, la paralisi: entrambi gli istituti presuppongono, infatti, una coincidenza dell'oggetto. Nel secondo caso, tuttavia, è il simultaneo diniego ad investigare su un determinato "reato" a cagionare il contrasto, quali che siano le persone sottoposte a indagini; nella prima ipotesi viene, invece, in considerazione il "medesimo fatto" (inteso come elemento materiale del reato, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica) posto "a carico della stessa persona". In ordine a tale ultimo requisito la dottrina ritiene tendenzialmente necessaria una rigorosa coincidenza delle persone sottoposte a indagini nell'ambito dei procedimenti dai quali scaturisce la controversia. La casistica appare, peraltro, assai articolata. III. Procedura risolutiva del contrasto. Il contrasto positivo si instaura in base ad una "notizia" pervenuta al pubblico ministero relativamente alla pendenza, innanzi ad altro organo inquirente, di un procedimento avente ad oggetto fatti per i quali reputa competente il giudice presso il quale svolge le sue funzioni. Indipendentemente dal fatto che su quelle vicende abbia già aperto presso di sé un fascicolo, il "pretendente" ne dà informativa al potenziale concorrente chiedendogli, contestualmente, la trasmissione degli atti. Nel caso in cui l'interpellato aderisca alla richiesta trasmettendo il fascicolo al collega, l'incidente si avvia ad una soluzione spontanea, senza dar origine ad alcun conflitto. Quando il dissidio persista, spetta al destinatario della prima informativa dare, a sua volta, comunicazione del contrasto positivo in atto al procuratore generale presso la Corte d'appello ovvero presso la Corte di cassazione, la cui decisione deve essere adottata "assunte le necessarie informazioni". IV. Natura ed effetti della decisione. La determinazione dell'inquirente legittimato a proseguire le indagini viene assunta, con decreto motivato, applicando le regole sulla competenza del giudice ed è comunicata ad entrambi gli uffici interessati. La decisione, benché priva di valore giurisdizionale, riverbera, gerarchicamente, un'efficacia vincolante sugli antagonisti ma, anch'essa, vale rebus sic stantibus. V. Contrasti positivi atipici. Le disposizioni dell'art. 54 bis c.p.p. risultano applicabili anche ai c.d. contrasti atipici, consentendone un'estensione operativa ad eventuali dissidi insorti in fasi procedimentali diverse da quella delle indagini preliminari come, ad esempio, in sede di esecuzione. VI. Utilizzabilità degli atti. La risoluzione del contrasto negativo consente l'utilizzazione degli atti investigativi compiuti dall’organo spogliato, limitatamente a quelli compiuti nel periodo precedente l'individuazione dell'inquirente legittimato; quelli compiuti ex ante dagli uffici successivamente coinvolti nel contrasto positivo sono fruibili "comunque". Art. 54 ter I. Contrasti in materia di criminalità associativa. La concentrazione in capo agli uffici inquirenti dislocati presso il capoluogo del distretto delle attività investigative in materia di criminalità organizzata rende meno probabile, ma non esclude l'eventualità che anch'essi possano restare coinvolti in contrati positivi e negativi, con riferimento alle fattispecie criminose indicate dal c. 3 bis dell'art. 51. La problematica può manifestarsi a livello infradistrettuale, oppure fra pubblici ministeri appartenenti a distretti diversi. Nel primo caso si configura necessariamente un'ipotesi di contrasto "eterogeneo" fra la c.d. direzione distrettuale antimafia ed una procura ordinaria dislocata presso qualche Tribunale periferico, il cui tema naturale sarà costituito, nella maggior parte dei casi, dalla possibilità di ricondurre alla nozione di crimine organizzato le vicende su cui gli uffici si disputano la titolarità ad indagare. Nella seconda ipotesi, invece, la questione si pone usualmente fra contendenti omogenei (i procuratori distrettuali), con riferimento alle relative attribuzioni territoriali. II. Peculiarità del procedimento. La definizione della controversia è affidata ai procuratori generali presso le Corti d'appello e di cassazione. La procedura risulta, tuttavia, leggermente più articolata poiché il primo è tenuto solo a dare informativa al procuratore nazionale antimafia dei provvedimenti adottati. Nella seconda ipotesi, invece, il procuratore generale presso la cassazione deve provvedere “sentito” il parere del direttore nazionale, il quale assume una funzione consultiva non vincolante.

Artt. 54, 54-bis, 54-ter / Bruno, Pierfrancesco. - STAMPA. - 1(2010), pp. 751-768.

Artt. 54, 54-bis, 54-ter

BRUNO, Pierfrancesco
2010

Abstract

Art. 54 I. "Competenza" del pubblico ministero. Le mansioni del pubblico ministero vengono esercitate dai magistrati appartenenti alle procure della Repubblica dislocate presso gli uffici giudiziari preposti a decidere in ordine al reato per il quale si procede. Nella terminologia codicistica, tuttavia, il lemma competenza non viene impiegato per delimitare le mansioni assegnate agli organi inquirenti - più propriamente indicate come "funzioni" ovvero "attribuzioni". La nozione di competenza può essere utilmente richiamata, a scopo pratico, per definire gli ambiti entro cui gli uffici del pubblico ministero esercitano le rispettive attribuzioni. In tale accezione l'eventuale carenza di legittimazione dell'ufficio produce, conseguenze differenti dall’incompetenza propriamente detta. Ogniqualvolta il requirente non “competente” eserciti l'azione penale, viene in gioco la mancanza del relativo potere: l'iniziativa promossa dall'organo non legittimato produce, infatti, una nullità assoluta. In astratto ogni ufficio inquirente è autorizzato ad indagare in ordine a qualunque fatto configurabile come reato ma, in concreto, i suoi esponenti devono astenersi dal farlo se esercitano le loro funzioni presso il giudice incompetente. II. Ratio legis. In origine il meccanismo di risoluzione delle controversie fra pubblici ministeri trovava applicazione nella sola fase - non giurisdizionale - delle indagini preliminari. I novellati artt. 54-bis e ter estendono l'ambito di operatività dei contrasti anche alle fasi processuali successive ed alle situazioni in cui più uffici affermino contemporaneamente la titolarità ad indagare sugli stessi fatti. III. Trasmissione degli atti all'ufficio legittimato. Le indagini preliminari sono caratterizzate da inputs mutevoli concernenti la notitia criminis; può accadere, allora, che, in itinere, mutino i quadri della competenza futuribile. In situazioni del genere l'organo inquirente è tenuto a trasmettere gli atti alla procura incardinata presso il giudice che, allo stato, risulterebbe competente a giudicare; ove questi recepisca l'indicazione del remittente si attiva un meccanismo spontaneo, virtù del quale il fascicolo viene “fisiologicamente” instradato verso l'organo titolare della relativa attribuzione. Se l'electus concorda con il remittente non si instaura, dunque, alcun conflitto. Ove ciò non avvenga (per la restituzione degli atti al mittente ovvero per il coinvolgimento di un terzo ufficio) non si determina ancora un contrasto stricto iure che, invece, si delinea solo quando l'ultimo dei destinatari rispedisca gli atti ad uno dei mittenti. La disciplina dei contrasti non si applica, invece, alle controversie instauratesi fra sostituti della stessa procura, i cui eventuali dissidi vanno risolti dagli esponenti apicali dell’ufficio. IV. Contrasto negativo. Il contrasto negativo si perfeziona, dunque, solo se la catena dei rimandi sfocia in un circolo vizioso. In tal caso il "dissidente" invia un'informativa al procuratore generale presso la Corte d'appello, ovvero al procuratore generale presso la Corte di cassazione, a seconda che sia emerso un contrasto "infradistrettuale", ovvero fra procure appartenenti a distretti diversi. L'incidente è instaurabile unicamente su iniziativa dell'ufficio; all'indagato, alle persone offese ed ai loro difensori è consentito, però, sollecitare l'organo procedente affinché trasmetta gli atti all'ufficio ritenuto competente. Detta informativa implica la trasmissione immediata al procuratore generale di tutti gli atti del procedimento, eventualmente anche in copia. La facoltà di inviare duplicati in luogo degli originali consente, peraltro, all'ufficio da cui ha origine la denuncia del contrasto di non trascurare gli eventuali atti urgenti. Se, nelle more, uno degli uffici, modificando il precedente atteggiamento, afferma la propria competenza, il contrasto si definisce in maniera consensuale; in caso contrario il procuratore generale, investito della questione, risolve la contesa indicando l'ufficio che dovrà procedere, comunicandolo a tutte le procure interessate. Si è posto in dubbio se l'intervento dirimente delle procure generali derivi, o meno, da un potere di sovraordinazione gerarchica ad esse riconosciuto rispetto agli uffici inquirenti animatori del contrasto. Nella logica del processo senza istruzione, alla quale si ispira il codice vigente, invero, l'ipotesi di specie non sembrerebbe configurabile. Le modifiche introdotte al testo normativo sembrano ispirate, ad una disciplina verticistica, intesa a privilegiare il ruolo direttivo dei procuratori generali che, in fondo, riconduce la risoluzione dei contrasti ai meccanismi tipici della catena gerarchica. La relativa determinazione ha natura non giurisdizionale ed è inoppugnabile; esso non pregiudica, tuttavia, il diritto delle parti a sollevare eccezioni d'incompetenza di fronte al giudice. La determinazione del procuratore generale vincola, inoltre, l'inquirente designato solo rebus sic stanti bus, risultando, invero, possibile che, mutato lo scacchiere investigativo, si aggiornino, correlativamente, i quadri della competenza futuribile con i relativi riflessi sulla legittimazione ad investigare. V. Conflitti e contrasti; conflitti "analoghi" e contrasti "atipici". A differenza di quanto accadeva con il codice previgente, oggi non sono più configurabili conflitti "eterogenei" tra giudici e pubblici ministeri. La casistica giurisprudenziale ha evidenziato, tuttavia, numerose situazioni in cui talune divergenze insorte fra pubblici ministeri e giudici relativamente all'interpretazione delle norme sulla competenza abbiano dato origine, come strascichi tralatizi ereditati dall'impostazione del codice abrogato, alla prospettazione di "casi analoghi": rispetto ad essi, però, la giurisprudenza ha sempre considerato il relativo conflitto come invalidamente instaurato. L'unica rilevante incertezza giurisprudenziale emersa in argomento concerne, a ben vedere, la disputa negativa tra pubblico ministero e magistrato di sorveglianza sulla titolarità a disporre la sospensione dell'esecuzione della pena ove sia pendente la domanda d'applicazione d'una misura alternativa alla detenzione. VI. Gli atti compiuti dal pubblico ministero “incompetente”. Nell'ipotesi in cui sia intervenuta la trasmissione del fascicolo ad un diverso ufficio, ovvero la designazione autoritativa da parte del procuratore generale, gli atti di indagine compiuti dall'inquirente, privato della titolarità di indagare conservano piena valenza investigativa. Per quanto riguarda, invece, l'eventuale loro impiego a fini decisori, l'utilizzo è condizionato al fatto che siano stati compiuti in epoca antecedente rispetto all'individuazione dell'organo competente Anche al fine di dirimere le relatrive controversie in merito, la giurisprudenza ha stabilito che, in casi simili, il computo dei termini di durata massima delle indagini preliminari debba assumere, quale dies a quo, la data in cui la notitia criminis sia stata iscritta nel registro generale tenuto presso l’ufficio del pubblico ministero successivamente investito. Le misure cautelari eventualmente disposte, su richiesta del pubblico ministero non legittimato, in epoca antecedente la trasmissione spontanea degli atti, ovvero prima della designazione da parte della procura generale, mantengono, invece, stabile efficacia. Art. 54 bis I. Ispirazione finalistica della norma. Nell'impostazione originaria del codice non era previsto che la parallela pendenza di indagini in ordine agli stessi fatti presso diversi organi inquirenti potesse dare origine ad un contrasto fra uffici del pubblico ministero. Lo sviluppo parallelo e la sovrapposizione delle indagini si è ben presto tradotto, però, in una pericolosa disarticolazione delle iniziative, tale da compromettere e delegittimare, talvolta, la stessa funzionalità dell'azione investigativa. II. Oggetto e presupposti. Il contrasto positivo è volto, dunque, a reprimere una inopinata prolificazione delle indagini, quello negativo a prevenirne, invece, la paralisi: entrambi gli istituti presuppongono, infatti, una coincidenza dell'oggetto. Nel secondo caso, tuttavia, è il simultaneo diniego ad investigare su un determinato "reato" a cagionare il contrasto, quali che siano le persone sottoposte a indagini; nella prima ipotesi viene, invece, in considerazione il "medesimo fatto" (inteso come elemento materiale del reato, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica) posto "a carico della stessa persona". In ordine a tale ultimo requisito la dottrina ritiene tendenzialmente necessaria una rigorosa coincidenza delle persone sottoposte a indagini nell'ambito dei procedimenti dai quali scaturisce la controversia. La casistica appare, peraltro, assai articolata. III. Procedura risolutiva del contrasto. Il contrasto positivo si instaura in base ad una "notizia" pervenuta al pubblico ministero relativamente alla pendenza, innanzi ad altro organo inquirente, di un procedimento avente ad oggetto fatti per i quali reputa competente il giudice presso il quale svolge le sue funzioni. Indipendentemente dal fatto che su quelle vicende abbia già aperto presso di sé un fascicolo, il "pretendente" ne dà informativa al potenziale concorrente chiedendogli, contestualmente, la trasmissione degli atti. Nel caso in cui l'interpellato aderisca alla richiesta trasmettendo il fascicolo al collega, l'incidente si avvia ad una soluzione spontanea, senza dar origine ad alcun conflitto. Quando il dissidio persista, spetta al destinatario della prima informativa dare, a sua volta, comunicazione del contrasto positivo in atto al procuratore generale presso la Corte d'appello ovvero presso la Corte di cassazione, la cui decisione deve essere adottata "assunte le necessarie informazioni". IV. Natura ed effetti della decisione. La determinazione dell'inquirente legittimato a proseguire le indagini viene assunta, con decreto motivato, applicando le regole sulla competenza del giudice ed è comunicata ad entrambi gli uffici interessati. La decisione, benché priva di valore giurisdizionale, riverbera, gerarchicamente, un'efficacia vincolante sugli antagonisti ma, anch'essa, vale rebus sic stantibus. V. Contrasti positivi atipici. Le disposizioni dell'art. 54 bis c.p.p. risultano applicabili anche ai c.d. contrasti atipici, consentendone un'estensione operativa ad eventuali dissidi insorti in fasi procedimentali diverse da quella delle indagini preliminari come, ad esempio, in sede di esecuzione. VI. Utilizzabilità degli atti. La risoluzione del contrasto negativo consente l'utilizzazione degli atti investigativi compiuti dall’organo spogliato, limitatamente a quelli compiuti nel periodo precedente l'individuazione dell'inquirente legittimato; quelli compiuti ex ante dagli uffici successivamente coinvolti nel contrasto positivo sono fruibili "comunque". Art. 54 ter I. Contrasti in materia di criminalità associativa. La concentrazione in capo agli uffici inquirenti dislocati presso il capoluogo del distretto delle attività investigative in materia di criminalità organizzata rende meno probabile, ma non esclude l'eventualità che anch'essi possano restare coinvolti in contrati positivi e negativi, con riferimento alle fattispecie criminose indicate dal c. 3 bis dell'art. 51. La problematica può manifestarsi a livello infradistrettuale, oppure fra pubblici ministeri appartenenti a distretti diversi. Nel primo caso si configura necessariamente un'ipotesi di contrasto "eterogeneo" fra la c.d. direzione distrettuale antimafia ed una procura ordinaria dislocata presso qualche Tribunale periferico, il cui tema naturale sarà costituito, nella maggior parte dei casi, dalla possibilità di ricondurre alla nozione di crimine organizzato le vicende su cui gli uffici si disputano la titolarità ad indagare. Nella seconda ipotesi, invece, la questione si pone usualmente fra contendenti omogenei (i procuratori distrettuali), con riferimento alle relative attribuzioni territoriali. II. Peculiarità del procedimento. La definizione della controversia è affidata ai procuratori generali presso le Corti d'appello e di cassazione. La procedura risulta, tuttavia, leggermente più articolata poiché il primo è tenuto solo a dare informativa al procuratore nazionale antimafia dei provvedimenti adottati. Nella seconda ipotesi, invece, il procuratore generale presso la cassazione deve provvedere “sentito” il parere del direttore nazionale, il quale assume una funzione consultiva non vincolante.
2010
Codice di procedura penale commentato - IV edizione
9788821731877
02 Pubblicazione su volume::02b Commentario
Artt. 54, 54-bis, 54-ter / Bruno, Pierfrancesco. - STAMPA. - 1(2010), pp. 751-768.
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