Se durante l’occupazione italiana in Etiopia una delle principali preoccupazioni è stata quella di costruire infrastrutture, è interessante notare che allora, come oggi, esse sono al centro di interessi particolari, ben lontani dall’obiettivo del miglioramento del benessere della popolazione. Negli anni del fascismo la costruzione della rete stradale ha avuto principalmente una ragione bellica, in quanto risorsa indispensabile all’esercito italiano per reprimere la resistenza (Pankhurst 2006); in modo simile, oggi si dipanano gli interessi di multinazionali cinesi, la cui creazione di collegamenti viari ha come scopo principale lo sfruttamento delle materie prime, mentre perdono di utilità per la popolazione quando si è in assenza di acqua corrente ed elettricità. Nel paese la transizione democratica è andata di pari passo con il decentramento amministrativo e con l’implementazione di strategie di mobilitazione di massa, già sperimentate dall’élite rivoluzionaria che aveva ottenuto il rovesciamento del regime filosovietico del Derg. Ciò ha portato a politiche di sviluppo tese a mobilitare gli attori locali attraverso collaudati sistemi di network territoriali, oggi in grado di veicolare partecipazione e persuasione, garantendo anche il successo delle politiche di vaccinazione. L’organizzazione capillare sul territorio e il lavoro porta a porta sono alla base di una ‘infrastruttura sociale mobile’, capace non solo di supplire a infrastrutture materiali carenti, ma anche di assolverne compiti, funzioni, retoriche e dimensione gerarchica. Il “potere infrastrutturale” dello Stato, cioè la sua capacità di penetrare territori e comunità, attuando di fatto le proprie decisioni (Mann 1993), fa sì che l’infrazione dalla norma del vaccino dia luogo ad un “dramma sociale” (Turner 1986) che conduce a nuove forme di esclusione sociale.
Infrastrutture sociali mobili in Etiopia: strategie vaccinali e crisi pandemica in uno scenario post-coloniale / Santullo, Corinna. - (2021), pp. 213-230.
Infrastrutture sociali mobili in Etiopia: strategie vaccinali e crisi pandemica in uno scenario post-coloniale
CORINNA SANTULLOPrimo
2021
Abstract
Se durante l’occupazione italiana in Etiopia una delle principali preoccupazioni è stata quella di costruire infrastrutture, è interessante notare che allora, come oggi, esse sono al centro di interessi particolari, ben lontani dall’obiettivo del miglioramento del benessere della popolazione. Negli anni del fascismo la costruzione della rete stradale ha avuto principalmente una ragione bellica, in quanto risorsa indispensabile all’esercito italiano per reprimere la resistenza (Pankhurst 2006); in modo simile, oggi si dipanano gli interessi di multinazionali cinesi, la cui creazione di collegamenti viari ha come scopo principale lo sfruttamento delle materie prime, mentre perdono di utilità per la popolazione quando si è in assenza di acqua corrente ed elettricità. Nel paese la transizione democratica è andata di pari passo con il decentramento amministrativo e con l’implementazione di strategie di mobilitazione di massa, già sperimentate dall’élite rivoluzionaria che aveva ottenuto il rovesciamento del regime filosovietico del Derg. Ciò ha portato a politiche di sviluppo tese a mobilitare gli attori locali attraverso collaudati sistemi di network territoriali, oggi in grado di veicolare partecipazione e persuasione, garantendo anche il successo delle politiche di vaccinazione. L’organizzazione capillare sul territorio e il lavoro porta a porta sono alla base di una ‘infrastruttura sociale mobile’, capace non solo di supplire a infrastrutture materiali carenti, ma anche di assolverne compiti, funzioni, retoriche e dimensione gerarchica. Il “potere infrastrutturale” dello Stato, cioè la sua capacità di penetrare territori e comunità, attuando di fatto le proprie decisioni (Mann 1993), fa sì che l’infrazione dalla norma del vaccino dia luogo ad un “dramma sociale” (Turner 1986) che conduce a nuove forme di esclusione sociale.File | Dimensione | Formato | |
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