Le responsabilità nell’esercizio dell’attività sanitaria sono da vari anni diventate un vero problema non solo giuridico e medico-legale,ma sociale. Infatti, il problema rappresentato dalla medicina difensiva, ossia la diffusa tendenza a prescrivere accertamenti diagnostici e farmaci non utili per il paziente, ma necessari per precostituirsi la migliore difesa possibile in caso di futuro contenzioso, si riflette sia sulla spesa sanitaria che sulla qualità della professione. Sicuramente non si può attribuire la colpa di questa complessiva situazione alla Suprema Corte: né alle Sezioni penali, che anzi hanno assunto posizioni garantiste della professionalità dei sanitari ben prima e più efficacemente del legislatore; né alle Sezioni civili, la cui sensibilità per la tutela risarcitoria del diritto alla salute ha incentivano anche effetti positivi, come una maggiore attenzione alla gestione del rischio e risparmi di spesa attraverso la sostituzione di polizze assicurative eccessivamente costose con prudenti forme di autoassicurazione. Piuttosto, il grande assente in questa dinamica è stato il legislatore. Ad oltre venti anni di distanza dai primi disegni di legge presentati per disciplinare la responsabilità medica, il 28 febbraio scorso ha visto la luce la prima legge (apparentemente) organica in questa materia. Ne riporto la data perché numerosi osservatori hanno affermato che quella resterà una giornata storica per l’attività sanitaria, perché segnerà la fine della medicina difensiva, ossia il ritorno del medico a poter prendere decisioni nell’esclusivo interesse dei pazienti e non solo per ridurre il proprio rischio di procedimenti giudiziari. Sicuramente si tratta di una riforma innovativa. Ma il cambiamento non è un valore in sé; lo diventa se procura beneficio ai suoi destinatari. Il tempo ci dirà se, in seguito all’entrata in vigore di questa riforma, migliorerà la qualità delle prestazioni e aumenterà la serenità dei professionisti nel fornirle. In tal caso, quel 28 febbraio sarà una giornata storica; diversamente, sarà solo il martedì grasso del 2017. Anche se non dovessero esserci effetti positivi sull’attività sanitaria, sicuramente la riforma è di notevole e immediato interesse per giudici, avvocati, medici legali e professionisti della sanità, perché apporta importanti modifiche alla responsabilità penale, civile ed amministrativa di questi ultimi. Infatti, tra le altre principali novità discusse nel libro, si segnalano: a) la generale obbligatorietà, quindi anche nei giudizi civili e amministrativi, delle linee guida che saranno emanate secondo la procedura e le modalità di cui all’art. 5 o, in loro mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, salve le specificità del caso concreto; b) la non punibilità della sola imperizia, anche se grave, purché siano state seguite tali linee guida e buone pratiche e queste siano adeguate alle specificità del caso concreto; c) il diverso regime della responsabilità del sanitario strutturato rispetto a quella del libero professionista e delle strutture; d) l’incidenza della condotta del sanitario sulla quantificazione dei danni risarcibili; e) l’applicazione delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private per la quantificazione del danno in genere, e non del solo danno biologico, come invece prevedeva la disciplina previgente; f) l’introduzione di un tetto all’ammontare del risarcimento nell’azione di rivalsa ed in quella di responsabilità amministrativa per danno erariale indiretto. Ciò detto, tutt’altro che chiaro, tuttavia, sembra il significato di queste nuove disposizioni. Il legislatore, infatti, da un lato, continua a non definire i concetti che usa, come quelli di buone pratiche clinico-assistenziali, negligenza, imprudenza e imperizia, nonostante affidi loro la demarcazione del confine tra punibilità ed irrilevanza penale del fatto; dall’altro, si limita a rinviare ad altre disposizioni, come gli artt. 1218, 1228 e 2043 c.c., trasferendo così nella nuova legge i relativi contrasti ermeneutici, anziché dare agli interpreti indicazioni chiare per risolverli. Altrettanto controvertibile, inoltre, è la stessa legittimità costituzionale di tutti i contenuti di questa nuova responsabilità sanitaria, non solo per alcuni dei motivi già individuati sotto il vigore della legge di conversione del c.d. decreto Balduzzi, ma anche sotto ulteriori profili strettamente connessi alla formulazione letterale degli artt. 5, 6, 7 e 9 della riforma. Da questa situazione emerge l’esigenza di una riflessione ampia, che non si limiti alla mera interpretazione dei nuovi articoli, ma li metta in dialogo sia con le altre regole della responsabilità sanitaria, in particolare l’art. 2236 c.c. e la disciplina delle prescrizioni di farmaci off-label, sia con il complessivo quadro giurisprudenziale della materia. In tal senso, questo libro cerca di individuare il maggior numero di problemi e di dare loro non “la” soluzione, ma le possibili soluzioni. In effetti, il lavoro non tende tanto ad argomentare l’opinione dell’autore, quanto ad offrire un quadro dei motivi che possono essere addotti dalle parti a sostegno delle rispettive azioni e difese in merito a ciascuno degli elementi costitutivi della riforma. A tal fine, particolare attenzione è dedicata non solo agli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi decenni, ma anche alle tesi di autorevole dottrina, puntualmente citate in nota. Tale impostazione è dettata proprio dalla finalità operativa di questo contributo. Infatti, in materia di responsabilità sanitaria, la Suprema Corte ha affermato su molte questioni principi ormai consolidati. Quindi, per sostenere linee difensive idonee a farli cambiare è utile basarsi sulle tesi di importanti studiosi. Tale regola di buon senso ha assunto anche dignità legislativa nell’art. 360-bis c.p.c., che prevede addirittura l’inammissibilità del ricorso in Cassazione se, a fronte di una sentenza di merito conforme alla giurisprudenza di legittimità, i motivi di impugnazione non offrono “elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”. Sulla base di questo intervento legislativo, inizia dunque un necessario lavoro di rielaborazione, analisi e sistematizzazione della nuova responsabilità sanitaria. Occorre evitare di arrivare ad una contrapposizione tra legislatore e giurisprudenza, con periodiche riforme mal scritte, quindi inidonee a modificare il diritto vivente. È già accaduto in materia di anatocismo e non ha fatto bene alla credibilità del sistema bancario. In ambito sanitario avrebbe effetti umani e sociali ben più gravi, dato il differente valore etico delle attività intrinsecamente dirette alla protezione della vita e della salute delle persone. Il mio auspicio, da cittadino prima ancora che da studioso, è che si giunga ad una pacificazione del rapporto tra sanitari e pazienti. Sarà difficile, perché ciò richiederebbe regole che li incentivino ad un maggior rispetto reciproco e che mancano nell’attuale riforma. Si può, però, confidare in interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali equilibrate, che riescano a bilanciare la tutela risarcitoria del diritto alla salute con il necessario rispetto della professionalità degli operatori in funzione della certezza del diritto; quest’ultima sì, in grado di ridurre il contenzioso.

La nuova responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco / MONTANARI VERGALLO, Gianluca. - (2017), pp. 1-202.

La nuova responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco

Gianluca Montanari Vergallo
2017

Abstract

Le responsabilità nell’esercizio dell’attività sanitaria sono da vari anni diventate un vero problema non solo giuridico e medico-legale,ma sociale. Infatti, il problema rappresentato dalla medicina difensiva, ossia la diffusa tendenza a prescrivere accertamenti diagnostici e farmaci non utili per il paziente, ma necessari per precostituirsi la migliore difesa possibile in caso di futuro contenzioso, si riflette sia sulla spesa sanitaria che sulla qualità della professione. Sicuramente non si può attribuire la colpa di questa complessiva situazione alla Suprema Corte: né alle Sezioni penali, che anzi hanno assunto posizioni garantiste della professionalità dei sanitari ben prima e più efficacemente del legislatore; né alle Sezioni civili, la cui sensibilità per la tutela risarcitoria del diritto alla salute ha incentivano anche effetti positivi, come una maggiore attenzione alla gestione del rischio e risparmi di spesa attraverso la sostituzione di polizze assicurative eccessivamente costose con prudenti forme di autoassicurazione. Piuttosto, il grande assente in questa dinamica è stato il legislatore. Ad oltre venti anni di distanza dai primi disegni di legge presentati per disciplinare la responsabilità medica, il 28 febbraio scorso ha visto la luce la prima legge (apparentemente) organica in questa materia. Ne riporto la data perché numerosi osservatori hanno affermato che quella resterà una giornata storica per l’attività sanitaria, perché segnerà la fine della medicina difensiva, ossia il ritorno del medico a poter prendere decisioni nell’esclusivo interesse dei pazienti e non solo per ridurre il proprio rischio di procedimenti giudiziari. Sicuramente si tratta di una riforma innovativa. Ma il cambiamento non è un valore in sé; lo diventa se procura beneficio ai suoi destinatari. Il tempo ci dirà se, in seguito all’entrata in vigore di questa riforma, migliorerà la qualità delle prestazioni e aumenterà la serenità dei professionisti nel fornirle. In tal caso, quel 28 febbraio sarà una giornata storica; diversamente, sarà solo il martedì grasso del 2017. Anche se non dovessero esserci effetti positivi sull’attività sanitaria, sicuramente la riforma è di notevole e immediato interesse per giudici, avvocati, medici legali e professionisti della sanità, perché apporta importanti modifiche alla responsabilità penale, civile ed amministrativa di questi ultimi. Infatti, tra le altre principali novità discusse nel libro, si segnalano: a) la generale obbligatorietà, quindi anche nei giudizi civili e amministrativi, delle linee guida che saranno emanate secondo la procedura e le modalità di cui all’art. 5 o, in loro mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, salve le specificità del caso concreto; b) la non punibilità della sola imperizia, anche se grave, purché siano state seguite tali linee guida e buone pratiche e queste siano adeguate alle specificità del caso concreto; c) il diverso regime della responsabilità del sanitario strutturato rispetto a quella del libero professionista e delle strutture; d) l’incidenza della condotta del sanitario sulla quantificazione dei danni risarcibili; e) l’applicazione delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private per la quantificazione del danno in genere, e non del solo danno biologico, come invece prevedeva la disciplina previgente; f) l’introduzione di un tetto all’ammontare del risarcimento nell’azione di rivalsa ed in quella di responsabilità amministrativa per danno erariale indiretto. Ciò detto, tutt’altro che chiaro, tuttavia, sembra il significato di queste nuove disposizioni. Il legislatore, infatti, da un lato, continua a non definire i concetti che usa, come quelli di buone pratiche clinico-assistenziali, negligenza, imprudenza e imperizia, nonostante affidi loro la demarcazione del confine tra punibilità ed irrilevanza penale del fatto; dall’altro, si limita a rinviare ad altre disposizioni, come gli artt. 1218, 1228 e 2043 c.c., trasferendo così nella nuova legge i relativi contrasti ermeneutici, anziché dare agli interpreti indicazioni chiare per risolverli. Altrettanto controvertibile, inoltre, è la stessa legittimità costituzionale di tutti i contenuti di questa nuova responsabilità sanitaria, non solo per alcuni dei motivi già individuati sotto il vigore della legge di conversione del c.d. decreto Balduzzi, ma anche sotto ulteriori profili strettamente connessi alla formulazione letterale degli artt. 5, 6, 7 e 9 della riforma. Da questa situazione emerge l’esigenza di una riflessione ampia, che non si limiti alla mera interpretazione dei nuovi articoli, ma li metta in dialogo sia con le altre regole della responsabilità sanitaria, in particolare l’art. 2236 c.c. e la disciplina delle prescrizioni di farmaci off-label, sia con il complessivo quadro giurisprudenziale della materia. In tal senso, questo libro cerca di individuare il maggior numero di problemi e di dare loro non “la” soluzione, ma le possibili soluzioni. In effetti, il lavoro non tende tanto ad argomentare l’opinione dell’autore, quanto ad offrire un quadro dei motivi che possono essere addotti dalle parti a sostegno delle rispettive azioni e difese in merito a ciascuno degli elementi costitutivi della riforma. A tal fine, particolare attenzione è dedicata non solo agli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi decenni, ma anche alle tesi di autorevole dottrina, puntualmente citate in nota. Tale impostazione è dettata proprio dalla finalità operativa di questo contributo. Infatti, in materia di responsabilità sanitaria, la Suprema Corte ha affermato su molte questioni principi ormai consolidati. Quindi, per sostenere linee difensive idonee a farli cambiare è utile basarsi sulle tesi di importanti studiosi. Tale regola di buon senso ha assunto anche dignità legislativa nell’art. 360-bis c.p.c., che prevede addirittura l’inammissibilità del ricorso in Cassazione se, a fronte di una sentenza di merito conforme alla giurisprudenza di legittimità, i motivi di impugnazione non offrono “elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”. Sulla base di questo intervento legislativo, inizia dunque un necessario lavoro di rielaborazione, analisi e sistematizzazione della nuova responsabilità sanitaria. Occorre evitare di arrivare ad una contrapposizione tra legislatore e giurisprudenza, con periodiche riforme mal scritte, quindi inidonee a modificare il diritto vivente. È già accaduto in materia di anatocismo e non ha fatto bene alla credibilità del sistema bancario. In ambito sanitario avrebbe effetti umani e sociali ben più gravi, dato il differente valore etico delle attività intrinsecamente dirette alla protezione della vita e della salute delle persone. Il mio auspicio, da cittadino prima ancora che da studioso, è che si giunga ad una pacificazione del rapporto tra sanitari e pazienti. Sarà difficile, perché ciò richiederebbe regole che li incentivino ad un maggior rispetto reciproco e che mancano nell’attuale riforma. Si può, però, confidare in interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali equilibrate, che riescano a bilanciare la tutela risarcitoria del diritto alla salute con il necessario rispetto della professionalità degli operatori in funzione della certezza del diritto; quest’ultima sì, in grado di ridurre il contenzioso.
2017
8858207025
legge Gelli-Bianco; medici; professioni sanitarie; responsabilità penale; responsabilità civile; responsabilità amministrativa
03 Monografia::03a Saggio, Trattato Scientifico
La nuova responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco / MONTANARI VERGALLO, Gianluca. - (2017), pp. 1-202.
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