Lo studio – che si inquadra all’interno del progetto Grammatica storica del romanesco (condotto in sinergia da ricercatori attivi a Roma e Zurigo) – intende descrivere le peculiarità linguistiche di un testo novecentesco finora poco considerato dagli specialisti del dialetto capitolino: La bbona notizzia, «versione romanesca» del Vangelo di Matteo approntata alla fine degli anni ’40 da Alessandro Bausani (Roma, 1921-1988), edita postuma nel 1992. Si tratta di un documento degno della massima attenzione per più ragioni, a cominciare dalla “sensibilità (socio)linguistica” del suo autore, docente universitario noto per essere stato non solo tra i massimi esperti di orientalistica, ma anche uno straordinario poliglotta nonché un abile glottoteta. In un’epoca, inoltre, in cui le principali espressioni letterarie della varietà dell’Urbe si contraddistinguono per un elevato tasso di modellizzazione, debiti belliani o per la riproduzione di un dialetto “borghese”, intermedio tra italiano e romanesco, la traduzione allestita da Bausani (1992), stando a quanto riferito nella Premessa, vuole restituire proprio quella «lingua abietta e buffona», diastraticamente marcata verso il basso, che Belli, nella nota lettera al principe Gabrielli, ritenne indegna all’espressione delle sacre scritture (Belli 1961: II, 441-442). In effetti, i sondaggi già compiuti sul testo (De Luca 2017) e soprattutto il confronto con gli autori capitolini postunitari – confronto eseguito sia sulla base di studi come Matt (2016), Trifone (2012), D’Achille (2006), Costa (2001), ecc., sia tramite l’interrogazione digitale dell’Archivio della Tradizione Romanesca (su cui cfr. Vaccaro 2012) – confermano il carattere popolare della varietà riflessa da La bbona notizzia, che si pone a tutti gli effetti, quindi, come un documento rilevante tanto per misurare l’espansione di alcune innovazioni d’epoca postbelliana all’altezza dello snodo postbellico (significativa, per fare due esempi, la rappresentazione sistematica e della degeminazione di -rr- postonica e di avecce vs. avé come verbo supporto; su tali tratti cfr. Trifone 2017 e Loporcaro 2007), quanto per precisare la loro collocazione all’interno della cosiddetta «terza fase» (Bernhard 1992; anche qui, per fare un esempio, si pensi alla mancata indicazione del raddoppiamento fonosintattico dopo ogni, fenomeno recente – cfr. Libbi 2018:74 – e tutt’oggi soggetto a restrizioni).

Il romanesco di Alessandro Bausani / Faraoni, Vincenzo. - (2019). (Intervento presentato al convegno Il romanesco tra ieri e oggi tenutosi a Università di Liegi).

Il romanesco di Alessandro Bausani

Vincenzo Faraoni
Primo
2019

Abstract

Lo studio – che si inquadra all’interno del progetto Grammatica storica del romanesco (condotto in sinergia da ricercatori attivi a Roma e Zurigo) – intende descrivere le peculiarità linguistiche di un testo novecentesco finora poco considerato dagli specialisti del dialetto capitolino: La bbona notizzia, «versione romanesca» del Vangelo di Matteo approntata alla fine degli anni ’40 da Alessandro Bausani (Roma, 1921-1988), edita postuma nel 1992. Si tratta di un documento degno della massima attenzione per più ragioni, a cominciare dalla “sensibilità (socio)linguistica” del suo autore, docente universitario noto per essere stato non solo tra i massimi esperti di orientalistica, ma anche uno straordinario poliglotta nonché un abile glottoteta. In un’epoca, inoltre, in cui le principali espressioni letterarie della varietà dell’Urbe si contraddistinguono per un elevato tasso di modellizzazione, debiti belliani o per la riproduzione di un dialetto “borghese”, intermedio tra italiano e romanesco, la traduzione allestita da Bausani (1992), stando a quanto riferito nella Premessa, vuole restituire proprio quella «lingua abietta e buffona», diastraticamente marcata verso il basso, che Belli, nella nota lettera al principe Gabrielli, ritenne indegna all’espressione delle sacre scritture (Belli 1961: II, 441-442). In effetti, i sondaggi già compiuti sul testo (De Luca 2017) e soprattutto il confronto con gli autori capitolini postunitari – confronto eseguito sia sulla base di studi come Matt (2016), Trifone (2012), D’Achille (2006), Costa (2001), ecc., sia tramite l’interrogazione digitale dell’Archivio della Tradizione Romanesca (su cui cfr. Vaccaro 2012) – confermano il carattere popolare della varietà riflessa da La bbona notizzia, che si pone a tutti gli effetti, quindi, come un documento rilevante tanto per misurare l’espansione di alcune innovazioni d’epoca postbelliana all’altezza dello snodo postbellico (significativa, per fare due esempi, la rappresentazione sistematica e della degeminazione di -rr- postonica e di avecce vs. avé come verbo supporto; su tali tratti cfr. Trifone 2017 e Loporcaro 2007), quanto per precisare la loro collocazione all’interno della cosiddetta «terza fase» (Bernhard 1992; anche qui, per fare un esempio, si pensi alla mancata indicazione del raddoppiamento fonosintattico dopo ogni, fenomeno recente – cfr. Libbi 2018:74 – e tutt’oggi soggetto a restrizioni).
2019
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