L’emergenza Coronavirus e i nodi irrisolti del progetto di integrazione europea

Il settantesimo anniversario della celebre dichiarazione pronunciata il 9 maggio 1950 dal ministro degli Esteri francese Robert Schuman, che segnò la genesi del progetto di integrazione europea, coincide con la crisi pandemica che nel 2020 si è abbattuta sull’Europa e sul mondo. L'emergenza sanitaria generata dal COVID-19 ha acuito le difficoltà dell’Unione Europea nel fronteggiare con coesione e tempestività una crisi imprevista e con effetti di lunga durata. In tal senso, vale la pena evocare la riflessione di Jean Monnet in merito al carattere che dovrebbe contraddistinguere fin dalla sua nascita il progetto europeo, e che si fonda sulla capacità di reagire alle crisi, trovando le soluzioni attraverso unità di intenti e politiche comuni e condivise. In virtù della sua concezione “dei piccoli passi”, Monnet ricorda nei suoi Mémoires che «l'Europa sarà forgiata dalle sue crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per risolvere tale crisi». Tale monito sembra in questi giorni più che mai attuale, in un contesto ampiamente descritto come una nuova “crisi esistenziale” dell’UE – la quarta in dodici anni – dalla crisi economico-finanziaria del 2008, passando per l’emergenza migratoria, fino alla Brexit. La pandemia di Coronavirus sta mostrando, come le precedenti, quanto sia ancora in fieri il processo di integrazione europea e, inoltre, quanto alcune questioni presenti fin dalla nascita dell'UE non abbiano ricevuto risposta e come diverse conquiste, date per acquisite, siano nella realtà ancora da consolidare. In questa ciclicità, quali sono gli effetti della pandemia sul progetto europeo? Quali i “nodi irrisolti” emersi in questo contesto? Stiamo vivendo un’altra di quelle crisi che, secondo Monnet, portano a soluzioni la cui somma dà forma all’Europa?