L’esistenza di un premio salariale urbano (PSU) è stato ampiamente discusso ed analizzato in letteratura. A livello teorico varie spiegazioni sono state proposte per spiegare le determinanti di questo premio salariale. Da un lato sono state evidenziate le esternalità urbane “statiche” (ridotti costi di trasporto, spillovers tecnologici, condivisibilità degli inputs intermedi di produzione e dei rischi di impresa, vicinanza ai consumatori ecc.) che generano un premio salariale immediato nel momento in cui un lavoratore si sposta in un centro urbano. Dall’altro sono state evidenziate le esternalità urbane “dinamiche” che implicano un premio salariale urbano che si genera nel tempo durante la permanenza nelle città (Glaeser and Maré, 2001). Tra queste si possono includere le esternalità di learning, secondo cui nelle città l’accumulazione di capitale umano è più rapida grazie agli spillovers di conoscenza che si sviluppano in aree densamente popolate (Glaeser and Resseger, 2010), e le esternalità di matching, secondo cui nelle città la qualità del match tra lavoratori e imprese è più elevata (Yankow, 2006). La letteratura empirica ha analizzato il PSU focalizzandosi sia sui salari medi (Combes et al. 2008), che sui salari rispetto specifiche caratteristiche dei lavoratori come la professione, il livello di istruzione o la posizione in percentili nella distribuzione dei salari (Matano e Naticchioni, 2012). I risultati hanno mostrato una non uniformità di impatto lungo queste dimensioni. Una dimensione che finora non è stata considerata è quella del mercato del lavoro duale. Attualmente questo tema è particolarmente rilevante dato il considerevole aumento dell’incidenza dei contratti a tempo determinato in Europa avvenuto dalla metà degli anni ’90, che ha seguito la progressiva deregolamentazione del mercato del lavoro. Molti studi si sono concentrati a studiare le conseguenze di questa forma contrattuale su salari e produttività dei lavoratori e imprese, con risultati spesso contrastanti. Non vi è evidenza di studi che hanno considerato la relazione con le esternalità spaziali. Tuttavia, è possibile che i canali attraverso cui le esternalità spaziali stimolano la produttività non siano altrettanto efficaci quando un lavoratore è assunto con un contratto a tempo determinato. Infatti è possibile che i lavoratori assunti a tempo determinato non riescano ad accumulare lo stesso capitale umano (learning) dei lavoratori assunti con forma contrattuale a tempo indeterminato, in quanto le imprese potrebbero essere meno propense a fornire forme di 2 training per questi lavoratori. Inoltre, anche l’efficienza nel processo di incontro con le imprese può essere ridotta, in quanto il cambio di lavoro molto spesso non è determinato dal passaggio ad una relazione di lavoro di maggiore qualità, bensì dalla necessità di trovare un altro lavoro dovuto alla scadenza del contratto. Il presente lavoro si propone di analizzare la relazione tra le esternalità spaziali e la dualità del mercato del lavoro. In particolare si analizza il PSU nelle maggiori città italiane da un punto di vista sia statico che dinamico distinguendo i lavoratori a seconda della forma contrattuale a tempo determinato o indeterminato. Si utilizzano i dati amministrativi degli archivi INPS dei lavoratori italiani dal 1998 al 2016, e l’unità d’analisi è rappresentata dai lavoratori giovani d’età compresa tra i 18 e i 35 anni nel momento in cui entrano nel mercato del lavoro. Al fine di derivare un lasso di tempo per la costruzione della loro carriera lavorativa, l’analisi si focalizza sul periodo 2005-2016. Il campione risulta così costituito da 16.589.176 osservazioni per 2.221.585 lavoratori. I risultati dell’analisi mostrano che i vantaggi di agglomerazione statici nelle maggiori città italiane (Roma e Milano) sono minori per i lavoratori assunti con un contratto di lavoro a tempo determinato. Di conseguenza, il divario salariale tra lavoratori assunti a tempo determinato e indeterminato aumenta. Inoltre, da un punto di vista dinamico, l’aver accumulato esperienza lavorativa in queste città aumenta nel tempo il salario solo per i lavoratori assunti a tempo indeterminato. La Figura 1 riassume graficamente questi risultati. Il panel di sinistra mostra i risultati per un lavoratore a tempo indeterminato, mentre il panel di destra mostra i risultati per un lavoratore a tempo determinato. In entrambi i casi la figura mostra tre possibili situazioni: i) un lavoratore che vive per 5 anni sempre a Roma e Milano; ii) un lavoratore che vive per 5 anni sempre fuori Roma e Milano; iii) un lavoratore che per i primi due anni vive fuori Roma e Milano, e poi si sposta per i successivi tre anni in una di queste città. Considerando il lavoratore a tempo indeterminato si può osservare la presenza di un PSU statico di circa il 2.3% che è la differenza tra il salario di un lavoratore residente a Roma e Milano con uno residente fuori, quando la loro esperienza lavorativa è pari a 0. Considerando il lavoratore a tempo determinato, lo stesso PSU statico è minore e pari a circa l’1.2%. Nel tempo, il divario salariale tra lavoratori a tempo determinato impiegati dentro o fuori Roma e Milano rimane stabile: lo UWP dinamico per questa categoria di lavoratori è pari a 0. Di conseguenza un lavoratore che si sposta con questa forma contrattuale a Roma e Milano ottiene come vantaggio salariale solo il PSU statico. Al contrario, per un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato, al divario salariale statico nel tempo si aggiunge il divario salariale dinamico dato dalla differenza nei rendimenti dell’esperienza lavorativa tra le grandi città e le altre (circa 1%). Quindi dopo 5 anni due lavoratori 3 assunti con contratto a tempo indeterminato avranno una differenza salariale di circa il 2.8%1. Lo studio prosegue analizzando i meccanismi determinanti lo UWP per entrambe le categorie di lavoratori. I risultati mostrano come per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato siano rilevanti sia il canale dell’onthe- job learning che del matching, mentre per i lavoratori a tempo determinato vi è una, seppur debole, evidenza di on-the-job learning. D’altro lato a Roma e Milano, ed in generale nelle città più densamente popolate, vi è evidenza di un maggior premio salariale quando un lavoratore a tempo determinato passa ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e in alcuni casi di una maggiore probabilità di conversione del contratto. In conclusione questo studio evidenza come da un lato i vantaggi di agglomerazione per un lavoratore assunto con contratto a tempo determinato siano decisamente minori rispetto ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato. D’altro lato questo svantaggio viene (parzialmente) compensato nel momento in cui vi è una conversione del contratto.
Premio salariale urbano e mercato del lavoro duale / Matano, A. - (2019).
Premio salariale urbano e mercato del lavoro duale
Matano A
2019
Abstract
L’esistenza di un premio salariale urbano (PSU) è stato ampiamente discusso ed analizzato in letteratura. A livello teorico varie spiegazioni sono state proposte per spiegare le determinanti di questo premio salariale. Da un lato sono state evidenziate le esternalità urbane “statiche” (ridotti costi di trasporto, spillovers tecnologici, condivisibilità degli inputs intermedi di produzione e dei rischi di impresa, vicinanza ai consumatori ecc.) che generano un premio salariale immediato nel momento in cui un lavoratore si sposta in un centro urbano. Dall’altro sono state evidenziate le esternalità urbane “dinamiche” che implicano un premio salariale urbano che si genera nel tempo durante la permanenza nelle città (Glaeser and Maré, 2001). Tra queste si possono includere le esternalità di learning, secondo cui nelle città l’accumulazione di capitale umano è più rapida grazie agli spillovers di conoscenza che si sviluppano in aree densamente popolate (Glaeser and Resseger, 2010), e le esternalità di matching, secondo cui nelle città la qualità del match tra lavoratori e imprese è più elevata (Yankow, 2006). La letteratura empirica ha analizzato il PSU focalizzandosi sia sui salari medi (Combes et al. 2008), che sui salari rispetto specifiche caratteristiche dei lavoratori come la professione, il livello di istruzione o la posizione in percentili nella distribuzione dei salari (Matano e Naticchioni, 2012). I risultati hanno mostrato una non uniformità di impatto lungo queste dimensioni. Una dimensione che finora non è stata considerata è quella del mercato del lavoro duale. Attualmente questo tema è particolarmente rilevante dato il considerevole aumento dell’incidenza dei contratti a tempo determinato in Europa avvenuto dalla metà degli anni ’90, che ha seguito la progressiva deregolamentazione del mercato del lavoro. Molti studi si sono concentrati a studiare le conseguenze di questa forma contrattuale su salari e produttività dei lavoratori e imprese, con risultati spesso contrastanti. Non vi è evidenza di studi che hanno considerato la relazione con le esternalità spaziali. Tuttavia, è possibile che i canali attraverso cui le esternalità spaziali stimolano la produttività non siano altrettanto efficaci quando un lavoratore è assunto con un contratto a tempo determinato. Infatti è possibile che i lavoratori assunti a tempo determinato non riescano ad accumulare lo stesso capitale umano (learning) dei lavoratori assunti con forma contrattuale a tempo indeterminato, in quanto le imprese potrebbero essere meno propense a fornire forme di 2 training per questi lavoratori. Inoltre, anche l’efficienza nel processo di incontro con le imprese può essere ridotta, in quanto il cambio di lavoro molto spesso non è determinato dal passaggio ad una relazione di lavoro di maggiore qualità, bensì dalla necessità di trovare un altro lavoro dovuto alla scadenza del contratto. Il presente lavoro si propone di analizzare la relazione tra le esternalità spaziali e la dualità del mercato del lavoro. In particolare si analizza il PSU nelle maggiori città italiane da un punto di vista sia statico che dinamico distinguendo i lavoratori a seconda della forma contrattuale a tempo determinato o indeterminato. Si utilizzano i dati amministrativi degli archivi INPS dei lavoratori italiani dal 1998 al 2016, e l’unità d’analisi è rappresentata dai lavoratori giovani d’età compresa tra i 18 e i 35 anni nel momento in cui entrano nel mercato del lavoro. Al fine di derivare un lasso di tempo per la costruzione della loro carriera lavorativa, l’analisi si focalizza sul periodo 2005-2016. Il campione risulta così costituito da 16.589.176 osservazioni per 2.221.585 lavoratori. I risultati dell’analisi mostrano che i vantaggi di agglomerazione statici nelle maggiori città italiane (Roma e Milano) sono minori per i lavoratori assunti con un contratto di lavoro a tempo determinato. Di conseguenza, il divario salariale tra lavoratori assunti a tempo determinato e indeterminato aumenta. Inoltre, da un punto di vista dinamico, l’aver accumulato esperienza lavorativa in queste città aumenta nel tempo il salario solo per i lavoratori assunti a tempo indeterminato. La Figura 1 riassume graficamente questi risultati. Il panel di sinistra mostra i risultati per un lavoratore a tempo indeterminato, mentre il panel di destra mostra i risultati per un lavoratore a tempo determinato. In entrambi i casi la figura mostra tre possibili situazioni: i) un lavoratore che vive per 5 anni sempre a Roma e Milano; ii) un lavoratore che vive per 5 anni sempre fuori Roma e Milano; iii) un lavoratore che per i primi due anni vive fuori Roma e Milano, e poi si sposta per i successivi tre anni in una di queste città. Considerando il lavoratore a tempo indeterminato si può osservare la presenza di un PSU statico di circa il 2.3% che è la differenza tra il salario di un lavoratore residente a Roma e Milano con uno residente fuori, quando la loro esperienza lavorativa è pari a 0. Considerando il lavoratore a tempo determinato, lo stesso PSU statico è minore e pari a circa l’1.2%. Nel tempo, il divario salariale tra lavoratori a tempo determinato impiegati dentro o fuori Roma e Milano rimane stabile: lo UWP dinamico per questa categoria di lavoratori è pari a 0. Di conseguenza un lavoratore che si sposta con questa forma contrattuale a Roma e Milano ottiene come vantaggio salariale solo il PSU statico. Al contrario, per un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato, al divario salariale statico nel tempo si aggiunge il divario salariale dinamico dato dalla differenza nei rendimenti dell’esperienza lavorativa tra le grandi città e le altre (circa 1%). Quindi dopo 5 anni due lavoratori 3 assunti con contratto a tempo indeterminato avranno una differenza salariale di circa il 2.8%1. Lo studio prosegue analizzando i meccanismi determinanti lo UWP per entrambe le categorie di lavoratori. I risultati mostrano come per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato siano rilevanti sia il canale dell’onthe- job learning che del matching, mentre per i lavoratori a tempo determinato vi è una, seppur debole, evidenza di on-the-job learning. D’altro lato a Roma e Milano, ed in generale nelle città più densamente popolate, vi è evidenza di un maggior premio salariale quando un lavoratore a tempo determinato passa ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e in alcuni casi di una maggiore probabilità di conversione del contratto. In conclusione questo studio evidenza come da un lato i vantaggi di agglomerazione per un lavoratore assunto con contratto a tempo determinato siano decisamente minori rispetto ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato. D’altro lato questo svantaggio viene (parzialmente) compensato nel momento in cui vi è una conversione del contratto.File | Dimensione | Formato | |
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