L’obiettivo del presente contributo è proporre una pluralità di spunti di riflessione in ordine alle problematiche e alle criticità connesse con l’utilizzo del concordato con continuità indiretta. Il saggio è sostanzialmente suddiviso in tre parti: - nella prima, vengono affrontate considerazioni di carattere normativo; - nella seconda, vengono svolte osservazioni di natura economico-manageriale; - nella terza, viene presentato un caso aziendale. Ciò premesso, il concordato con continuità è stato originariamente disciplinato dall’art.186-bis L.F. introdotto con la novella del 2012 che ne ha delineato i caratteri essenziali. La formulazione della norma ha creato, soprattutto inizialmente, alcune incertezze interpretative in ordine alla qualificazione di alcune procedure concordatarie talché vi sono stati interventi giurisprudenziali non sempre pienamente allineati. Del resto, la questione deriva dal fatto che il concetto di continuità può essere inteso in senso soggettivo – ovvero con riferimento al debitore – oppure oggettivo – ossia con riguardo all’impresa. In un’ottica soggettiva, la continuità viene a mancare allorché il debitore trasferisca l’azienda e si limiti a incassare il prezzo pattuito; tuttavia, resta la continuità dal punto di vista oggettivo giacché non vi è una dissoluzione dell’impresa, ma semplicemente una traslazione della titolarità della stessa ad un altro soggetto. La continuità indiretta è di tipo oggettivo in quanto il riferimento è l’azienda – l’oggetto appunto – e non il soggetto debitore. Dal punto di vista del trattamento di procedure concordatarie con diversi caratteri e articolazione, la scelta del legislatore – preceduta da variegati interventi giurisprudenziali nella vigenza della normativa attuale – sembra condivisibile sotto il profilo dell’equità. Invero, contrariamente a quanto previsto per i concordati liquidatori, non vi è un limite minimo al soddisfacimento dei creditori chirografari per i concordati con continuità e, pertanto, qualora si adottasse una prospettiva di tipo soggettivo i concordati nei quali l’azienda viene trasferita a un terzo sarebbero qualificabili come liquidatori e avrebbero vincoli diversi rispetto a quelli nei quali il soggetto debitore continua a gestire direttamente l’azienda. Un aspetto ulteriore che verrà trattato attiene ai requisiti minimi necessari, in termini di forza lavoro, affinché un concordato possa essere qualificato in continuità indiretta. Senza entrare nel merito di complesse questioni interpretative, si tratta, comunque, di una previsione significativa in quanto tende a riconoscere particolare rilievo a un interesse, quello dei lavoratori, che talora potrebbe essere confliggente con quello dei creditori i quali, secondo l’impianto normativo, sembrerebbero essere i soggetti le cui aspettative andrebbero soddisfatte in via prioritaria. Più in generale, il Codice della Crisi introduce alcune norme che sembrano limitare i diritti dei creditori a favore di un interesse più generale alla continuità aziendale. In altre parole, il progressivo aumento d’importanza della continuità all’interno del concordato preventivo riflette una crescente attenzione verso le aspettative di altri soggetti oltre ai creditori. Al riguardo, si possono citare, tra l’altro, l’art. 47 che attribuisce al Tribunale di potere di verificare la fattibilità economica del piano concordatario e l’art. 86 che prevede una moratoria non superiore a due anni per il pagamento dei debiti privilegiati . Del resto, la tutela del creditore è esclusiva quando le procedure sono liquidatorie e il soddisfacimento si realizza tramite il patrimonio della società. In tale situazione, la prospettiva è statica e il riferimento è a un concetto di valore atomistico. Viceversa, la continuità aziendale richiama il valore di funzionamento e non di liquidazione dell’impresa che si fonda sul contributo di una pluralità di asset che non sono di esclusiva proprietà dell’imprenditore (individuale o collettivo), ma condivisi con una pluralità di soggetti (dipendenti, fornitori e clienti). I flussi economici e/o finanziari che concorrono alla formazione del valore di funzionamento derivano, invero, non soltanto dai beni patrimoniali di proprietà dell’imprenditore, ma anche da altre attività.

Il concordato preventivo con continuità indiretta. Aspetti giuridici ed economico-manageriali / Sancetta, G.; Boldreghini, F.; D'Amore, R.; Lamberti, F.. - (2020), pp. 265-289.

Il concordato preventivo con continuità indiretta. Aspetti giuridici ed economico-manageriali

G. Sancetta;F. Boldreghini;
2020

Abstract

L’obiettivo del presente contributo è proporre una pluralità di spunti di riflessione in ordine alle problematiche e alle criticità connesse con l’utilizzo del concordato con continuità indiretta. Il saggio è sostanzialmente suddiviso in tre parti: - nella prima, vengono affrontate considerazioni di carattere normativo; - nella seconda, vengono svolte osservazioni di natura economico-manageriale; - nella terza, viene presentato un caso aziendale. Ciò premesso, il concordato con continuità è stato originariamente disciplinato dall’art.186-bis L.F. introdotto con la novella del 2012 che ne ha delineato i caratteri essenziali. La formulazione della norma ha creato, soprattutto inizialmente, alcune incertezze interpretative in ordine alla qualificazione di alcune procedure concordatarie talché vi sono stati interventi giurisprudenziali non sempre pienamente allineati. Del resto, la questione deriva dal fatto che il concetto di continuità può essere inteso in senso soggettivo – ovvero con riferimento al debitore – oppure oggettivo – ossia con riguardo all’impresa. In un’ottica soggettiva, la continuità viene a mancare allorché il debitore trasferisca l’azienda e si limiti a incassare il prezzo pattuito; tuttavia, resta la continuità dal punto di vista oggettivo giacché non vi è una dissoluzione dell’impresa, ma semplicemente una traslazione della titolarità della stessa ad un altro soggetto. La continuità indiretta è di tipo oggettivo in quanto il riferimento è l’azienda – l’oggetto appunto – e non il soggetto debitore. Dal punto di vista del trattamento di procedure concordatarie con diversi caratteri e articolazione, la scelta del legislatore – preceduta da variegati interventi giurisprudenziali nella vigenza della normativa attuale – sembra condivisibile sotto il profilo dell’equità. Invero, contrariamente a quanto previsto per i concordati liquidatori, non vi è un limite minimo al soddisfacimento dei creditori chirografari per i concordati con continuità e, pertanto, qualora si adottasse una prospettiva di tipo soggettivo i concordati nei quali l’azienda viene trasferita a un terzo sarebbero qualificabili come liquidatori e avrebbero vincoli diversi rispetto a quelli nei quali il soggetto debitore continua a gestire direttamente l’azienda. Un aspetto ulteriore che verrà trattato attiene ai requisiti minimi necessari, in termini di forza lavoro, affinché un concordato possa essere qualificato in continuità indiretta. Senza entrare nel merito di complesse questioni interpretative, si tratta, comunque, di una previsione significativa in quanto tende a riconoscere particolare rilievo a un interesse, quello dei lavoratori, che talora potrebbe essere confliggente con quello dei creditori i quali, secondo l’impianto normativo, sembrerebbero essere i soggetti le cui aspettative andrebbero soddisfatte in via prioritaria. Più in generale, il Codice della Crisi introduce alcune norme che sembrano limitare i diritti dei creditori a favore di un interesse più generale alla continuità aziendale. In altre parole, il progressivo aumento d’importanza della continuità all’interno del concordato preventivo riflette una crescente attenzione verso le aspettative di altri soggetti oltre ai creditori. Al riguardo, si possono citare, tra l’altro, l’art. 47 che attribuisce al Tribunale di potere di verificare la fattibilità economica del piano concordatario e l’art. 86 che prevede una moratoria non superiore a due anni per il pagamento dei debiti privilegiati . Del resto, la tutela del creditore è esclusiva quando le procedure sono liquidatorie e il soddisfacimento si realizza tramite il patrimonio della società. In tale situazione, la prospettiva è statica e il riferimento è a un concetto di valore atomistico. Viceversa, la continuità aziendale richiama il valore di funzionamento e non di liquidazione dell’impresa che si fonda sul contributo di una pluralità di asset che non sono di esclusiva proprietà dell’imprenditore (individuale o collettivo), ma condivisi con una pluralità di soggetti (dipendenti, fornitori e clienti). I flussi economici e/o finanziari che concorrono alla formazione del valore di funzionamento derivano, invero, non soltanto dai beni patrimoniali di proprietà dell’imprenditore, ma anche da altre attività.
2020
Crisi d'impresa e insolvenza. Diritto ed economia delle crisi aziendali
978-88-916-4205-9
continuità; gestione; affitto
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Il concordato preventivo con continuità indiretta. Aspetti giuridici ed economico-manageriali / Sancetta, G.; Boldreghini, F.; D'Amore, R.; Lamberti, F.. - (2020), pp. 265-289.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1442287
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