Siamo negli anni Trenta, un tempo in cui l’architettura, per molti tra i futuri protagonisti del Novecento, è concepita, o meglio ‘vissuta’, come la costruzione di una visione. Guardare oltre l’orizzonte del convenzionale, oggi come allora, richiede il coraggio della solitudine. Dalla consapevolezza di appartenere ad una ‘minoranza’ nasce la solidarietà nel pensiero e nell’azione che unisce i giovani Franco Albini, Ignazio Gardella, Giancarlo Palanti e Giovanni Romano in una ‘cordata di compagni’ coesi nel sostenere un’idea di modernità autentica, sintesi di adesione alla realtà del proprio tempo e sguardo sul futuro. «Ci si incontrava a caso nella redazione di Casabella [...] qualche volta la sera ci si trovava nelle nostre case. Incontri casuali, a due a tre a quattro, in chiacchiere, a commentare i fatti del nostro mestiere». In questo contesto di comunione d’intenti e dibattito sulle idee, quel gruppo di amici matura la decisione di raccogliere la sfida più impegnativa tra i concorsi dell’E 42 e misurarsi con il progetto dell’edificio-tema dell’Esposizione, il Palazzo della Civiltà Italiana. Qual è la nozione di civiltà che i progettisti rappresentano in quel lavoro condiviso? A quale idea di architettura non intendono rinunciare scegliendo di perdere? Quali le scelte estetiche e compositive cui affidano l’espressione di un punto di vista sul contesto, culturale prima che urbano, alternativo a quello prevalente, retorico e monumentale? Le riflessioni su tali temi sono il contenuto di questo piccolo volume. Supportate dall’indagine grafica e dalla costruzione del modello virtuale, esse offrono i presupposti per un’interpretazione critica della proposta di concorso come prefigurazione di uno spazio vuoto, di aria e di luce, di incontro e condivisione, espressione primaria della ‘piazza italiana’, che consente di rintracciare in questa architettura meno nota e non costruita, una lezione umana e professionale tutt’oggi valida, sul progetto come strumento di azione civile e impegno morale e sulla forza delle idee semplici.
Una piazza al posto di un Palazzo. La rappresentazione della Civiltà italiana all'E 42 per Albini, Gardella, Palanti, Romano / Percoco, Maura. - (2020), pp. 1-152.
Una piazza al posto di un Palazzo. La rappresentazione della Civiltà italiana all'E 42 per Albini, Gardella, Palanti, Romano
Maura, Percoco
2020
Abstract
Siamo negli anni Trenta, un tempo in cui l’architettura, per molti tra i futuri protagonisti del Novecento, è concepita, o meglio ‘vissuta’, come la costruzione di una visione. Guardare oltre l’orizzonte del convenzionale, oggi come allora, richiede il coraggio della solitudine. Dalla consapevolezza di appartenere ad una ‘minoranza’ nasce la solidarietà nel pensiero e nell’azione che unisce i giovani Franco Albini, Ignazio Gardella, Giancarlo Palanti e Giovanni Romano in una ‘cordata di compagni’ coesi nel sostenere un’idea di modernità autentica, sintesi di adesione alla realtà del proprio tempo e sguardo sul futuro. «Ci si incontrava a caso nella redazione di Casabella [...] qualche volta la sera ci si trovava nelle nostre case. Incontri casuali, a due a tre a quattro, in chiacchiere, a commentare i fatti del nostro mestiere». In questo contesto di comunione d’intenti e dibattito sulle idee, quel gruppo di amici matura la decisione di raccogliere la sfida più impegnativa tra i concorsi dell’E 42 e misurarsi con il progetto dell’edificio-tema dell’Esposizione, il Palazzo della Civiltà Italiana. Qual è la nozione di civiltà che i progettisti rappresentano in quel lavoro condiviso? A quale idea di architettura non intendono rinunciare scegliendo di perdere? Quali le scelte estetiche e compositive cui affidano l’espressione di un punto di vista sul contesto, culturale prima che urbano, alternativo a quello prevalente, retorico e monumentale? Le riflessioni su tali temi sono il contenuto di questo piccolo volume. Supportate dall’indagine grafica e dalla costruzione del modello virtuale, esse offrono i presupposti per un’interpretazione critica della proposta di concorso come prefigurazione di uno spazio vuoto, di aria e di luce, di incontro e condivisione, espressione primaria della ‘piazza italiana’, che consente di rintracciare in questa architettura meno nota e non costruita, una lezione umana e professionale tutt’oggi valida, sul progetto come strumento di azione civile e impegno morale e sulla forza delle idee semplici.File | Dimensione | Formato | |
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