Su una parola che, alla deriva, va inesorabilmente affrancandosi dal vincolo che la lega al suo referente e a una funzione mimetica, nell’ambito di una letteratura a sua volta vista sempre più come autoreferenziale e “insufficiente”, il racconto fantastico, nelle sue declinazioni novecentesche, costruisce le sue stesse possibilità narrative e quell’effetto perturbante che ne rappresenta la cifra specifica. Laddove negli esempi della tradizione romantica, infatti, la trasgressione fantastica è rintracciabile quasi esclusivamente a livello semantico, nel contenuto della narrazione, nel secolo scorso gli sviluppi del genere hanno dirottato la carica destabilizzante e conflittuale generata dall’intrusione nella realtà dell’irrazionale verso il piano sintattico, vale a dire l’organizzazione del discorso narrativo, e quello verbale. Da “fenomeno di percezione”, allora, il fantastico passa a essere “fenomeno di linguaggio”. «Il testo fantastico, insomma, non conosce parole innocenti» (Campra 1981, 225) e ciò è più che mai riscontrabile nell’eterogenea produzione fantastica italiana: l’ambiguità emanata da una retorica dell’indeterminatezza, che descrive esibendo la sua incapacità di farlo fino in fondo, la letteralizzazione della metafora, l’oscurità giocata sulla doppia significazione restituiscono nelle pagine di Levi, Ortese, Tabucchi, l’immagine di una realtà incerta e angosciante in cui la parola assume valore demiurgico. Allo stesso modo la figura della creatura mostruosa, ormai logora, cede con significativa frequenza il passo a orrori di chiara natura verbale, “fantasmi linguistici” (Amigoni 1997, 20) come le “parole-viticci” di Landolfi o l’inesorabile Colombre di Buzzati, frutto di una logopoiesi deflagrante, tesa a sondare e superare i limiti stessi della dicibilità del reale. Questa proposta, desunta dalla mia ricerca di dottorato sulla transnazionalità del fantastico novecentesco, raccoglie dunque l’invito di Manganelli a «sollevare le botole delle parole, per scoprire altre botole, e scendere così un precipizio di occulte invenzioni» (Manganelli 1985, 61), quale è, appunto, la letteratura fantastica, nella sua tenace aspirazione a nominare l’innominabile.

La "parola fantastica": logopoiesi, retoriche dell'indicibile e mostri verbali / Carnevale, Davide. - (2019), pp. 65-73.

La "parola fantastica": logopoiesi, retoriche dell'indicibile e mostri verbali

Davide Carnevale
2019

Abstract

Su una parola che, alla deriva, va inesorabilmente affrancandosi dal vincolo che la lega al suo referente e a una funzione mimetica, nell’ambito di una letteratura a sua volta vista sempre più come autoreferenziale e “insufficiente”, il racconto fantastico, nelle sue declinazioni novecentesche, costruisce le sue stesse possibilità narrative e quell’effetto perturbante che ne rappresenta la cifra specifica. Laddove negli esempi della tradizione romantica, infatti, la trasgressione fantastica è rintracciabile quasi esclusivamente a livello semantico, nel contenuto della narrazione, nel secolo scorso gli sviluppi del genere hanno dirottato la carica destabilizzante e conflittuale generata dall’intrusione nella realtà dell’irrazionale verso il piano sintattico, vale a dire l’organizzazione del discorso narrativo, e quello verbale. Da “fenomeno di percezione”, allora, il fantastico passa a essere “fenomeno di linguaggio”. «Il testo fantastico, insomma, non conosce parole innocenti» (Campra 1981, 225) e ciò è più che mai riscontrabile nell’eterogenea produzione fantastica italiana: l’ambiguità emanata da una retorica dell’indeterminatezza, che descrive esibendo la sua incapacità di farlo fino in fondo, la letteralizzazione della metafora, l’oscurità giocata sulla doppia significazione restituiscono nelle pagine di Levi, Ortese, Tabucchi, l’immagine di una realtà incerta e angosciante in cui la parola assume valore demiurgico. Allo stesso modo la figura della creatura mostruosa, ormai logora, cede con significativa frequenza il passo a orrori di chiara natura verbale, “fantasmi linguistici” (Amigoni 1997, 20) come le “parole-viticci” di Landolfi o l’inesorabile Colombre di Buzzati, frutto di una logopoiesi deflagrante, tesa a sondare e superare i limiti stessi della dicibilità del reale. Questa proposta, desunta dalla mia ricerca di dottorato sulla transnazionalità del fantastico novecentesco, raccoglie dunque l’invito di Manganelli a «sollevare le botole delle parole, per scoprire altre botole, e scendere così un precipizio di occulte invenzioni» (Manganelli 1985, 61), quale è, appunto, la letteratura fantastica, nella sua tenace aspirazione a nominare l’innominabile.
2019
Parola. Una nozione unica per una ricerca multidisciplinare
9788832244021
Fantastic; language; logopoiesis
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
La "parola fantastica": logopoiesi, retoriche dell'indicibile e mostri verbali / Carnevale, Davide. - (2019), pp. 65-73.
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