La mobilità appare da sempre una forma potente di urbanogenesi, dal punto di vista funzionale e morfologico. A partire dai primi villaggi posti lungo i fiumi, fino al fitto reticolo infrastrutturale e insediativo che connota il territorio storico europeo, e agli insediamenti spontanei periurbani nati lungo le grandi direttrici della mobilità, appare evidente come la costruzione di relazioni e di scambi sia il motore trainante dell’evoluzione dei contesti, sia a livello globale che locale, relazioni che oggi tendono a marginalizzare le Aree Interne, anche a seguito di processi di dismissione di indispensabili infrastrutture. La politica e l’urbanistica italiana, così come quella spagnola, a partire dagli anni ’60 hanno nel tempo scelto il trasporto su gomma come soluzione moderna alla mobilità del Paese, senza valutare gli effetti sui contesti urbani e naturali, relegando il trasporto pubblico ad una visione anacronistica e poco moderna di mobilità (Cerasoli, 2015), dimenticando le cifre che riguardano la portata e l’efficienza dei diversi mezzi di trasporto pubblico, la loro gerarchia e le modalità di ottimizzazione in relazione allo sviluppo del territorio nel definire le politiche del traffico di molte città italiane, senza prevedere gli effetti e le ripercussione che queste scelte potevano avere a livello territoriale. Inoltre, le politiche di liberalizzazione ferroviaria e la costruzione dell’Alta Velocità hanno di fatto favorito una polarizzazione territoriale dei grandi centri urbani, incrementando una “geografia di potere” basata su territori ad alta e bassa redditività, aree veloci, quelle servite dalla rete principale e dall’AV, e aree lente, quelle del sottoutilizzo e della dismissione delle linee secondarie (Cerasoli, 2012), ricalcando le dinamiche inegualitarie in atto, accentuandole e perdendo così la vocazione sociale che il trasporto pubblico dovrebbe avere. Queste dinamiche hanno prodotto gravi costi sociali, ecologico-ambientali e urbanistici (consumo di suolo, inquinamento dell’aria, frammentazione territoriale e urbana, abbassamento della qualità della vita e delle città, contrazione dello spazio pubblico…), che oggi richiamano la necessità di una strategia che ponga al centro il trasporto pubblico, in particolare quello su ferro, nella sua accezione di rete, capillare, funzionale, come mezzo sostenibile di spostamento e come risorsa per un riequilibrio territoriale e per lo sviluppo e la rigenerazione urbana a scala locale, uscendo dalla logica puramente trasportistica per considerare la grande infrastruttura come un’opera territoriale (Dematteis, 2001), un capitale fisso sociale e dunque luogo di ricucitura tra cittadini e territorio.
Il rilancio del servizio ferroviario per il diritto alla mobilità / Amato, Chiara. - (2019), pp. 177-187.
Il rilancio del servizio ferroviario per il diritto alla mobilità
Chiara AmatoPrimo
2019
Abstract
La mobilità appare da sempre una forma potente di urbanogenesi, dal punto di vista funzionale e morfologico. A partire dai primi villaggi posti lungo i fiumi, fino al fitto reticolo infrastrutturale e insediativo che connota il territorio storico europeo, e agli insediamenti spontanei periurbani nati lungo le grandi direttrici della mobilità, appare evidente come la costruzione di relazioni e di scambi sia il motore trainante dell’evoluzione dei contesti, sia a livello globale che locale, relazioni che oggi tendono a marginalizzare le Aree Interne, anche a seguito di processi di dismissione di indispensabili infrastrutture. La politica e l’urbanistica italiana, così come quella spagnola, a partire dagli anni ’60 hanno nel tempo scelto il trasporto su gomma come soluzione moderna alla mobilità del Paese, senza valutare gli effetti sui contesti urbani e naturali, relegando il trasporto pubblico ad una visione anacronistica e poco moderna di mobilità (Cerasoli, 2015), dimenticando le cifre che riguardano la portata e l’efficienza dei diversi mezzi di trasporto pubblico, la loro gerarchia e le modalità di ottimizzazione in relazione allo sviluppo del territorio nel definire le politiche del traffico di molte città italiane, senza prevedere gli effetti e le ripercussione che queste scelte potevano avere a livello territoriale. Inoltre, le politiche di liberalizzazione ferroviaria e la costruzione dell’Alta Velocità hanno di fatto favorito una polarizzazione territoriale dei grandi centri urbani, incrementando una “geografia di potere” basata su territori ad alta e bassa redditività, aree veloci, quelle servite dalla rete principale e dall’AV, e aree lente, quelle del sottoutilizzo e della dismissione delle linee secondarie (Cerasoli, 2012), ricalcando le dinamiche inegualitarie in atto, accentuandole e perdendo così la vocazione sociale che il trasporto pubblico dovrebbe avere. Queste dinamiche hanno prodotto gravi costi sociali, ecologico-ambientali e urbanistici (consumo di suolo, inquinamento dell’aria, frammentazione territoriale e urbana, abbassamento della qualità della vita e delle città, contrazione dello spazio pubblico…), che oggi richiamano la necessità di una strategia che ponga al centro il trasporto pubblico, in particolare quello su ferro, nella sua accezione di rete, capillare, funzionale, come mezzo sostenibile di spostamento e come risorsa per un riequilibrio territoriale e per lo sviluppo e la rigenerazione urbana a scala locale, uscendo dalla logica puramente trasportistica per considerare la grande infrastruttura come un’opera territoriale (Dematteis, 2001), un capitale fisso sociale e dunque luogo di ricucitura tra cittadini e territorio.File | Dimensione | Formato | |
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