In occasione del centenario della nascita del Bauhaus, la SID ha scelto di dedicare l’Assemblea annuale a una riflessione sulla ricerca di design a partire dalla sua capacità di dialogare con la Scuola che è stata il primo modello pedagogico e didattico per la nostra disciplina. Senza cercare improbabili elementi di pura continuità, che già nel secondo dopoguerra la Scuola di Ulm aveva messo in discussione in modo radicale, l’Assemblea diventa l’occasione per fare il punto su alcune questioni presenti al Bauhaus in forme e intensità molto diverse, poi arricchite in esperienze successive e rielaborate dalla ricerca contemporanea. Parlare del Bauhaus nel centenario della sua fondazione costituisce una riflessione approfondita sulla visione delle arti, del design, dell’architettura, dell’artigianato e della loro relazione con la società e i suoi cambiamenti. Riflettere sul Bauhaus significa riprendere una concezione di scuola ben definita, a partire dalle metodologie progettuali e didattiche fino alle sperimentazioni. Obiettivo della Scuola di Weimar era innanzitutto la riconnessione degli evidenti strappi tra le varie discipline artistiche, distanti in termini di progettazione di criteri etici ed estetici, unitamente alla necessità di intervenire nel processo di ripresa economica e sociale di una Germania in piena crisi postbellica. L’operazione di ricostruzione ideale del Bauhaus si muoveva dunque in due direzioni parallele: da un lato verso la ricerca di una nuova sintesi estetica attraverso lo studio delle forme e delle tecniche; dall’altro verso una nuova sintesi sociale attraverso l’impegno pedagogico della scuola. Pertanto la progettazione di nuovi tipi di prodotto era in grado di dar forma ai mutamenti del tempo e, conseguentemente, di plasmare una nuova società (Argan, 2010). La società contemporanea è la società dell’immateriale, della cosiddetta quinta dimensione (Cosenza, 2012), una dimensione informativa nella quale la conoscenza passa attraverso l’analisi e la comunicazione dei dati: la società dell’informazione pervasiva (Resmini, Rosati, 2011), o società 4.0. All’interno della Rivoluzione digitale, il dato – divenuto pervasivo – perde progressivamente il medium divulgativo, diffondendosi esponenzialmente nell’ecosistema-società, facendone emergere il problema gestionale. Similarmente al Bauhaus, il design contemporaneo si trova a fronteggiare una rilevante questione rispetto al dato: la sua comunicazione, in particolare attraverso la sua visualizzazione. Tale processo avviene nella misura in cui i dati, destrutturati e dalla natura neutra ed immateriale, divengono tangibili e fruibili nell’ottica di elaborare un metodo tanto efficace quanto responsabile. Il fine – attraverso la codifica linguistica – è di elaborare il dato in informazione.La rivoluzione digitale sta progressivamente mutando diversi aspetti della società materiale ed immateriale – social network, domotica, industria 4.0 – attraverso l’ubiquitous internet, l’IoT e le ICT. Small e Big Data sono oggi prodotti da una variegata serie di sensori nei contesti più ampi: dalla casa al campo agricolo, sino allo spazio. Rispetto alla generazione del dato, il Design deve porsi l’obiettivo della sua traduzione linguistica (Baule, Carratti, 2016) in un adeguato strumento comunicativo-interpretativo; ovvero della definizione di un metodo attraverso il quale osservare il fenomeno nella sua complessità. Senza un metodo, la stratificazione di Small e Big Data non ha alcun valore né utilità verso la società, ma è solo una raccolta disordinata di informazioni (Marzocca, 2014). Nel Bauhaus la ricerca della forma costituiva l’indagine di segni che elaborassero un nuovo ideale estetico, semantico e tipologico. Allo stesso modo cento anni dopo, nelle pratiche del Design, emerge fortemente la necessità di elaborare una speculazione in termini di linguaggio, di definizione di segni e di significazione degli stessi. Diviene cruciale dimostrare come ogni dato costituisca l’unità minima di partenza nell’elaborazione di un contenuto strutturato, e dunque rappresenti l’elemento alla base del sistema di comunicazione contemporaneo. Metaforicamente e strumentalmente i dati sono le lettere di un alfabeto moderno alla base di un sistema-linguaggio la cui progettazione – in termini di morfologia e sintassi – avviene attraverso la codifica delle informazioni: dando forma al dato. Ma come si struttura una corretta domanda a una raccolta di Small e Big Data? Quali sono gli strumenti e gli approcci adatti? In termini operativi, la gestione dei dati necessita di strumenti epistemologici che derivano da discipline diverse. L’approccio transdisciplinare costituisce la condizione operativa necessaria per una corretta interpretazione del fenomeno attraverso quello che Marzocca (2014) definisce un approccio meta-conoscitivo complesso al fine di riprogettare una griglia di lettura e un’efficace architettura dell’informazione. Il tema del Data Collect sconfina nell’ambito di ricerca dell’Information Design, in particolare nel ruolo del Data Visualization all’interno del progetto di Design della Comunicazione. L’elaborazione di un linguaggio infografico costituisce, come suggerito da Paul Cox, il risultato di un processo che si basa sulla risoluzione, la semplificazione, la mappatura e la codifica (Corraini, 2016): un processo che parte dall’osservazione della realtà – secondo dati quantitativi e qualitativi – e arriva alla sua rappresentazione attraverso un’operazione di astrazione. Ciò premesso, un linguaggio nuovamente codificato – derivante dall’astrazione come processo – è in grado di introdurre nuovi segni e simboli ampliando il campo precedente di indagine (Treccani) e consentendo di condividere un messaggio, che si configura come un atto creativo basato sulla semplificazione e l’interpretazione. Cento anni dopo l’esperienza del Bauhaus la disciplina del Design si trova ad affrontare riflessioni analoghe a quelle dell’epoca, dovute alla necessità di confrontarsi con una società mutata e in perenne divenire. Negli ultimi decenni si è verificato quello che Baricco (2018) definisce un vero e proprio cambio di paradigma, un’astuta mutazione della società, che ha portato gli individui a conformarsi a un individualismo di massa segnato dalla digitalizzazione e dall’evoluzione di sistemi e strumenti tecnologici sempre più avanzati e smaterializzanti. Alla luce di ciò, il design deve riportare la questione sul piano morfologico-linguistico – nei termini di un dare senso alle cose (Verganti, 2009) – attraverso una lettura critica dei segni e dei simboli della contemporaneità. Emerge, difatti, una domanda di progetto a cui solo il Design, nella sua natura transdisciplinare, può dare.

SID DESIGN RESEARCH AWARD 2019 / Caccamo, Alessio; Mariani, Miriam; Vendetti, Andrea. - (2019).

SID DESIGN RESEARCH AWARD 2019

CACCAMO, ALESSIO
Co-primo
;
MARIANI, MIRIAM
Co-primo
;
VENDETTI, ANDREA
Co-primo
2019

Abstract

In occasione del centenario della nascita del Bauhaus, la SID ha scelto di dedicare l’Assemblea annuale a una riflessione sulla ricerca di design a partire dalla sua capacità di dialogare con la Scuola che è stata il primo modello pedagogico e didattico per la nostra disciplina. Senza cercare improbabili elementi di pura continuità, che già nel secondo dopoguerra la Scuola di Ulm aveva messo in discussione in modo radicale, l’Assemblea diventa l’occasione per fare il punto su alcune questioni presenti al Bauhaus in forme e intensità molto diverse, poi arricchite in esperienze successive e rielaborate dalla ricerca contemporanea. Parlare del Bauhaus nel centenario della sua fondazione costituisce una riflessione approfondita sulla visione delle arti, del design, dell’architettura, dell’artigianato e della loro relazione con la società e i suoi cambiamenti. Riflettere sul Bauhaus significa riprendere una concezione di scuola ben definita, a partire dalle metodologie progettuali e didattiche fino alle sperimentazioni. Obiettivo della Scuola di Weimar era innanzitutto la riconnessione degli evidenti strappi tra le varie discipline artistiche, distanti in termini di progettazione di criteri etici ed estetici, unitamente alla necessità di intervenire nel processo di ripresa economica e sociale di una Germania in piena crisi postbellica. L’operazione di ricostruzione ideale del Bauhaus si muoveva dunque in due direzioni parallele: da un lato verso la ricerca di una nuova sintesi estetica attraverso lo studio delle forme e delle tecniche; dall’altro verso una nuova sintesi sociale attraverso l’impegno pedagogico della scuola. Pertanto la progettazione di nuovi tipi di prodotto era in grado di dar forma ai mutamenti del tempo e, conseguentemente, di plasmare una nuova società (Argan, 2010). La società contemporanea è la società dell’immateriale, della cosiddetta quinta dimensione (Cosenza, 2012), una dimensione informativa nella quale la conoscenza passa attraverso l’analisi e la comunicazione dei dati: la società dell’informazione pervasiva (Resmini, Rosati, 2011), o società 4.0. All’interno della Rivoluzione digitale, il dato – divenuto pervasivo – perde progressivamente il medium divulgativo, diffondendosi esponenzialmente nell’ecosistema-società, facendone emergere il problema gestionale. Similarmente al Bauhaus, il design contemporaneo si trova a fronteggiare una rilevante questione rispetto al dato: la sua comunicazione, in particolare attraverso la sua visualizzazione. Tale processo avviene nella misura in cui i dati, destrutturati e dalla natura neutra ed immateriale, divengono tangibili e fruibili nell’ottica di elaborare un metodo tanto efficace quanto responsabile. Il fine – attraverso la codifica linguistica – è di elaborare il dato in informazione.La rivoluzione digitale sta progressivamente mutando diversi aspetti della società materiale ed immateriale – social network, domotica, industria 4.0 – attraverso l’ubiquitous internet, l’IoT e le ICT. Small e Big Data sono oggi prodotti da una variegata serie di sensori nei contesti più ampi: dalla casa al campo agricolo, sino allo spazio. Rispetto alla generazione del dato, il Design deve porsi l’obiettivo della sua traduzione linguistica (Baule, Carratti, 2016) in un adeguato strumento comunicativo-interpretativo; ovvero della definizione di un metodo attraverso il quale osservare il fenomeno nella sua complessità. Senza un metodo, la stratificazione di Small e Big Data non ha alcun valore né utilità verso la società, ma è solo una raccolta disordinata di informazioni (Marzocca, 2014). Nel Bauhaus la ricerca della forma costituiva l’indagine di segni che elaborassero un nuovo ideale estetico, semantico e tipologico. Allo stesso modo cento anni dopo, nelle pratiche del Design, emerge fortemente la necessità di elaborare una speculazione in termini di linguaggio, di definizione di segni e di significazione degli stessi. Diviene cruciale dimostrare come ogni dato costituisca l’unità minima di partenza nell’elaborazione di un contenuto strutturato, e dunque rappresenti l’elemento alla base del sistema di comunicazione contemporaneo. Metaforicamente e strumentalmente i dati sono le lettere di un alfabeto moderno alla base di un sistema-linguaggio la cui progettazione – in termini di morfologia e sintassi – avviene attraverso la codifica delle informazioni: dando forma al dato. Ma come si struttura una corretta domanda a una raccolta di Small e Big Data? Quali sono gli strumenti e gli approcci adatti? In termini operativi, la gestione dei dati necessita di strumenti epistemologici che derivano da discipline diverse. L’approccio transdisciplinare costituisce la condizione operativa necessaria per una corretta interpretazione del fenomeno attraverso quello che Marzocca (2014) definisce un approccio meta-conoscitivo complesso al fine di riprogettare una griglia di lettura e un’efficace architettura dell’informazione. Il tema del Data Collect sconfina nell’ambito di ricerca dell’Information Design, in particolare nel ruolo del Data Visualization all’interno del progetto di Design della Comunicazione. L’elaborazione di un linguaggio infografico costituisce, come suggerito da Paul Cox, il risultato di un processo che si basa sulla risoluzione, la semplificazione, la mappatura e la codifica (Corraini, 2016): un processo che parte dall’osservazione della realtà – secondo dati quantitativi e qualitativi – e arriva alla sua rappresentazione attraverso un’operazione di astrazione. Ciò premesso, un linguaggio nuovamente codificato – derivante dall’astrazione come processo – è in grado di introdurre nuovi segni e simboli ampliando il campo precedente di indagine (Treccani) e consentendo di condividere un messaggio, che si configura come un atto creativo basato sulla semplificazione e l’interpretazione. Cento anni dopo l’esperienza del Bauhaus la disciplina del Design si trova ad affrontare riflessioni analoghe a quelle dell’epoca, dovute alla necessità di confrontarsi con una società mutata e in perenne divenire. Negli ultimi decenni si è verificato quello che Baricco (2018) definisce un vero e proprio cambio di paradigma, un’astuta mutazione della società, che ha portato gli individui a conformarsi a un individualismo di massa segnato dalla digitalizzazione e dall’evoluzione di sistemi e strumenti tecnologici sempre più avanzati e smaterializzanti. Alla luce di ciò, il design deve riportare la questione sul piano morfologico-linguistico – nei termini di un dare senso alle cose (Verganti, 2009) – attraverso una lettura critica dei segni e dei simboli della contemporaneità. Emerge, difatti, una domanda di progetto a cui solo il Design, nella sua natura transdisciplinare, può dare.
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